Thursday, September 27, 2007

A BLOWIN' ANSWER

"I'll know my song well, before I'm start singin'"
(Bob Dylan - A hard rain's a-gonna fall)


Posata la chitarra, l'uomo iniziò ad avvicinarsi al palco.
L'andatura esitante e perfino un po' buffa, come gli capitava spesso, specie nelle grandi occasioni.
E qualcuno, ogni tanto, l'aveva perfino paragonato a Charlie Chaplin.
Quell'uomo cammina e non sa dove tenere le mani: una sopra l'altra, una attorno all'altra, le rigira nervosamente su se stesse. Poi, quando arriva agli scalini, inciampa e quasi per miracolo non cade. E intanto si rende conto che sarebbe bene togliersi il cappello, niente male finché si esibisce nella sua cowboy band, ma certamente fuori luogo adesso.
E così lo sfila via, proprio all'ultimo momento.


Emozione, senza dubbio, ma perché ?
Forse perché quella persona in cima al palco é davvero importante, anche se ha sempre fatto di tutto per spostare l'attenzione da sé ad un Altro.
Ma anche quell'uomo che si é avvicinato é famoso.
E, in un certo senso, anche lui ha sempre spostato i riflettori da se stesso.
E' l'incontro tra Giovanni Paolo II e Bob Dylan.

Dylan che canta davanti al Papa.
Accade a Bologna, al Congresso Eucaristico Nazionale, esattamente dieci anni fa, il 27 settembre 1997.
Quando arriva davanti al Santo Padre, ha appena finito di cantare "Knockin' On Heaven's Door" e "A Hard Rain's A-Gonna Fall".
E' un momento intenso, il Papa si alza, parla con lui, stringe le sue mani, quelle mani che poco prima Dylan non sapeva dove mettere.
Pochi istanti, poche parole e uno sguardo intenso tra i due.


"A volte nelle canzoni si dicono certe cose anche se c'é solo una piccola probabilità che siano vere. A volte si dicono cose che non hanno niente a che fare con la verità di quello che si vuol dire, e altre volte si dicono cose che tutti sanno essere vere. O magari si finisce per credere che l'unica verità esistente al mondo é che sul mondo non c'é nessuna verità."
(Bob Dylan - "Chronicles") (1).

Bob torna al suo posto, non ha finito di cantare, ma Giovanni Paolo II riprende la parola.
Il fisico non lo sorregge più e deve andare via, ma si rivolge ancora a tutti per un ultimo saluto; parla di eucaristia, di mistero della croce e di resurrezione e per un attimo il sorriso ricompare su quel volto menomato dal morbo di Parkinson: "grazie per questo incontro".
Poco prima che Dylan arrivasse, il discorso aveva mosso i propri passi da "Blowin' In The Wind" ed il Papa aveva parlato di risposte.
Catechesi su una canzone ? Dylan non lo farebbe, non si prenderebbe mai così sul serio.
Ma il Papa non é insensibile alla portata di quei versi e di quel linguaggio.
E non fu opportunismo, come alcuni dissero in seguito; furono invece la ragione ed il cuore, capaci di meditare sulla realtà, in cui il Mistero s'impone rendendosi presente.

"The answer, my friend, is blowin' in the wind, the answer is blowin' in the wind
".
"Un vostro rappresentante ha detto che la risposta sta soffiando nel vento. E' vero, non nel vento che tutto disperde, nei vortici del nulla, ma nel vento che é soffio e voce dello Spirito, voce che chiama e dice: vieni".
"How many roads must a man walk down, before you can call him a man".
"Mi avete chiesto: quante strade deve percorrere un uomo prima di poterlo chiamare uomo? Vi rispondo: una. Una sola é la strada dell'uomo e questa é Cristo. Questa é Cristo che ha detto "Io sono la Vita", la via della vita
". (2)

Riascoltando oggi queste parole non posso fare a meno di ripensare a quell'ultimo straordinario concerto di Chieffo, già citato in questo blog, ed alla sua risposta, quel significato che pervase sempre la sua vita e le sue canzoni : "....pensate che a quei tempi c'era il più grande cantautore e pirata della storia, Bob Dylan, che cantava che la risposta non c'era. Cosa dovevo fare io se lui aveva un'ammiraglia pirata ed io una barchetta a remi ? Io l'avevo incontrata questa risposta, lo dovevo dire. E feci queste canzoni: "la ballata della società", "la ballata dell'uomo vecchio", che erano il segno di quella risposta che avevo incontrato io, che era Cristo. Guardate che non si può tacere solo perché si pensa di non avere i mezzi adeguati. E queste canzoni, a quanto mi risulta, sono cantate tuttora, esattamente come le canzoni del grande Bob, dopo quarant'anni".


Dopo l'uscita di scena di Giovanni Paolo II, Dylan proseguì con un'altra canzone, Forever Young. Poi pose fine alla sua esibizione. "Il Papa se ne stava andando - spiegò - e ho sentito che mi ero scaricato, che si era interrotto il feeling con il pubblico. Ho preferito smettere" (3).
Così se ne andò anche lui, senza una parola e con quei passi piccoli e impacciati, come sempre. (4)

Negli anni a venire Dylan non parlò mai di ciò che accadde quella sera.
Qualcosa di dimenticato troppo presto ?
Nessuno lo sa, ma a me piace pensare che non sia così, che semplicemente conservi nel cuore momenti giudicati preziosi.

Io, per parte mia, ricordo degli sguardi.
Quelli di un Papa, che parlò coi giovani quella sera, tanti giovani, quelli coi quali aveva un rapporto così speciale.
E quelli di un cantante - il più grande di tutti - che, spettinato e senza cappello, guarda verso il palco allontanarsi quell'uomo che gli ha stretto le mani poco prima, mentre canta la sua ultima canzone, Forever Young :
"Che Dio ti benedica e ti custodisca sempre,
possa la tua canzone essere sempre cantata,
possa tu restare per sempre giovane"


Note:
(1) "Chronicles - vol.1" é il titolo dello splendido primo volume dell'autobiografia di Dylan, edito in Italia da Feltrinelli, con traduzione di Alessandro Carrera.
(2) il discorso integrale di Giovanni Paolo II é disponibile a quest'indirizzo:
(3) "E anche Bob Dylan alla fine ha pianto" - Costantino Muscau - Corriere della Sera, 28/9/1997.
(4) Nell'intevista di Jonathan Lethem, per Rolling Stone, del settembre 2006, Dylan ha dichiarato: "Dicono 'Dylan non parla mai'. Che accidenti c'é da dire ? Non é quella la ragione per cui un artista sta di fronte alla gente" - Le parole sembrano insolenti ma il tono é quasi supplicante - "un artista ha uno scopo differente. Io non voglio essere insensibile e dire che non me ne importa niente. Ti importa, ti importa molto altrimenti non saresti lì. Ma c'é un diverso tipo di connessione. Non é una cosa leggera. E' vivere ogni sera, o sentirsi vivi ogni sera. Rischi la tua vita suonando musica, se lo fai nella maniera giusta".

Friday, September 14, 2007

RISCHIO EDUCATIVO

Tardo pomeriggio, quasi ora di cena: la fine della giornata si avvicina ed é stata intensa.
Carico l'ascensore di sacchetti della spesa. Poco più in là, sul pianerottolo, i bambini giocano e ridono, nell'attesa di salire in casa.
Incontro la signora del piano di sopra, quella sempre arrabbiata, frettolosa e che non ride mai - ma proprio mai - che ti verrebbe voglia di provare a fargli il solletico qualche volta, per vedere se ne é ancora capace.
"Un attimo di pazienza signora, porto su la spesa e le libero subito l'ascensore..."
"Certo che deve essere dura con tre figli vero ? Non so come fate. Comunque gridare con uno o con tre in fondo é la stessa cosa..."
Rimango lì, accenno un sorriso, ma non so cosa rispondere.
Forse mi ha sentito qualche volta, chissà.
Ma io so solo che, anche se sono stanco e preferirei starmene in poltrona col giornale in mano, in questo momento non ho nessuna intenzione di gridare con i miei figli.
Mi vengono incontro tutti e tre quando torno giù con l'ascensore vuoto ed io mi faccio felice della loro presenza.


Ma cosa vuol dire educare i propri figli ?
E' questo che s'intende oggi: un'autorità - non certo autorevolezza - che si esprime con il "gridare" ?
Certo che la domanda é difficile.
Qualche giorno fa li guardavo mentre eravamo tutti a tavola: uno di quei rari momenti in cui la confusione ed il frastuono lasciano miracolosamente posto a prolungati istanti di sguardi e gesti rallentati, dolci ed intensi insieme. Istanti in cui il tempo sembra fermarsi e percepisci solo uno sguardo largo, sgombro di fatiche e difficoltà, pieno solo d'amore.

Ma é sufficiente l'affetto che provi per loro a educarli ? Oppure occorre un "amore educativo" ?
Quell'amore che "sa penetrare come sguardo spirituale" e che fa sì che "solo a questo livello di relazione-comprensione l'educatore provi la commozione profonda per la grandezza di questo essere" (1) .

Allora la questione é seria. E in un mondo in cui qualsiasi attività é sempre più complessa, certificata, raggiungibile dopo adeguati corsi di preparazione professionale, questo rimane un mestiere che nessuno t'insegna a scuola. Eppure é quello a cui tieni di più, per cui valgono l'impegno e la fatica quotidiani, l'amore donato gratuitamente, la sofferenza patita senza lamento.
In questo lavoro ti impegni senza sosta. E quando le circostanze ti chiedono di più non protesti come se te l'avesse chiesto il capo e non vai dai sindacati a contestare il lavoro straordinario non pagato.
In più, come se non bastasse, non ti senti neppure troppo bravo.
Capita invece che ti colgano alla sprovvista.
E' come se t'interrogassero su un argomento che non avevi studiato.
Ti sentivi pronto, pensavi davvero di farcela e invece no, i tuoi figli ti spiazzano.
E poi ci si mette anche il tuo limite, l'essere talvolta fuori posto, preso nel momento sbagliato: "adesso non ho tempo, sono stanco, dopo ne parliamo, dopo vediamo..."
E così, in fondo, capita di sentirti anche un po' indifeso.
Ma poi l'entusiasmo ritorna e con esso il desiderio di dare tutto te stesso, la ferma volontà e nel medesimo tempo la certezza di farti sempre capace di ricominciare, in ogni momento.

E allora come fare ? Si sentirebbe il bisogno di un metodo semplice e sicuro, che magari non dia tutte le risposte, ma che ti faccia sentire sufficientemente a posto, sulla strada giusta quasi in ogni circostanza.
A volte mi aiuta il pensiero che educare sia fondamentalmente un'esperienza di condivisione.
Mettere in comune, cioé, con i propri figli, quell'esperienza di misericordia che io e mia moglie vediamo compiersi quotidianamente in ogni momento; e quella di farli partecipi di quell'avventura che é la nostra vita continuamente rigiocata in una compagnia di persone amiche in Cristo.
Compagnia, cioé, che é capace di rimettersi in discussione, nel verificare le proprie scelte, piccole o grandi che siano, alla luce di una Presenza che diviene luce che rischiara notti oscure fatte di mille dubbi e tentennamenti.


Ma perché ciò accada veramente - e che cioé i figli siano davvero partecipi di tutto questo - occorre che essi non rimangano spettatori, ma, essendo amati gratuitamente, divengano attori di quest'avvenimento.
Uno sguardo così su di loro é solo quello che non ha pretese, che si fa nulla spostando ogni ambizione, che li considera primi prossimi ed é disposto a morire a se stesso pur di "farsi uno".
Uno sguardo, alla fine, che é amore per la libertà.
Libertà di rispondere affermativamente ad una proposta, che é significato per la vita.
Una scommessa, forse, ma sulla quale vale la pena di puntare tutto, come spiega Franco Nembrini, in un suo recente intervento:

"(...) tutto il segreto dell'educazione mi pare sia questo: i tuoi figli ti guardano; quando giocano non giocano mai soltanto, qualsiasi cosa facciano in realtà con la coda dell'occhio ti guardano sempre, e che ti vedano lieto e forte davanti alla realtà é l'unico modo che hai di educarli.
Lieto e forte non perché sei perfetto (tanto non lo crederanno mai, e come é patetico e triste il genitore che cerca di nascondere ai figli il proprio male), ma perché sei tu il primo a chiedere e ad ottenere ogni giorno di essere perdonato. (...) Questa solidità, questa certezza che hai tu e che vivi tu, con i tuoi amici, con tua moglie, é l'unica cosa di cui hanno bisogno i figli per essere educati, é l'unica cosa che anche senza saperlo ci chiedono, e su questa testimonianza poggia la loro speranza. Si tratta di scommettere tutto sulla loro libertà
". (2)


Note:
"Il rischio educativo" é naturalmente il titolo dello splendido libro di Luigi Giussani, del quale ho, con impertinenza, sfruttato il titolo.
(1) M. De Beni - "Il coraggio di essere educatori oggi" - Nuova Umanità, XXIX (2007/2) 170, pp. 241-251
(2) Il testo integrale del contributo di Franco Nembrini ("Gesù é il Signore. Educare alla fede, alla sequela, alla testimonianza") al Convegno ecclesiale diocesano del giugno 2007 presso la basilica di S.Giovanni in Laterano, é disponibile a questo indirizzo:

Tuesday, September 11, 2007

BABY STOP CRYING

Ci sono tanti modi per ricordare l'11 settembre.
A me piace farlo coi versi delle canzoni del Boss, tratti da quel capolavoro che é "The Rising".
Rabbia, ritmo e rock'n'roll.
Dolore, dolcezza, malinconia.
E struggente desiderio di redenzione.

Left the house this morning
Bells ringing filled the air
Wearin' the cross of my calling
On wheels of fire I come rollin' down here

There's spirits above and behind me
Faces gone black, eyes burnin' bright
May their precious blood bind me Lord,
As I stand before your fiery light

Come on up for the rising
Come on up, lay your hands in mine
Come on up for the rising
Come on up for the rising tonight

Sono uscito di casa stamattina
Il suono delle campane riempiva l'aria
Portavo la croce della mia vocazione
Su ruote di fuoco sono arrivato quaggiù

Ci sono spiriti sopra e dietro di me
Facce diventate nere, occhi che bruciano e splendono
Che il loro sangue prezioso mi leghi Signore,
quando sarò di fronte alla tua luce ardente

Vieni su per risorgere
Vieni su, metti le tue mani nelle mie
Vieni su per risorgere
Vieni su per risorgere questa notte

(Bruce Springsteen, "The Rising")


With these hands, with these hands,
With these hands, I pray Lord
With these hands, with these hands,
I pray for the strenght, Lord
With these hands, with these hands ,
I pray for the faith, Lord

With these hands, with these hands,
I pray for your love, Lord

Come on, rise up
Come on, rise up.

(Bruce Springsteen, "My City Of Ruins")


Tuesday, September 04, 2007

PROPOSITI


Settembre come inizio dell'anno.
Inizio d'anno per chi va a scuola, ma anche per chi rientra dalle vacanze estive e per chiunque veda comunque il fluire del proprio quotidiano che riprende in qualche modo nuova vita.
E allora in mezzo a tanti mugugni e lamentele che si sentono in giro, in una routine che talora schiaccia o nelle difficoltà di chi fa sempre fatica a tirare avanti, per me settembre diviene anche tempo di propositi.

Quest'anno mi piacerebbe andare controcorrente a me stesso.
Controcorrente rispetto a ciò che mi fa più comodo.
E così avere più attenzione per quella persona più insofferente delle altre, per quel collega meno simpatico degli altri, per quell'amico la cui amicizia ho coltivato meno di altre.
Più amore per l'imprevisto, scomodo, che mi capita addosso ogni giorno nell'attimo presente.
Ce la posso fare ?
Ho paura di no, perché questo é amore della croce, ma non delle "croci eroiche, che potrebbero nutrire l'amor proprio, ma ... quelle croci volgari, che purtroppo porto con ripugnanza ... quelle che si incontrano ogni giorno nella contraddizione, nell'insuccesso, nei falsi giudizi, nella freddezza, nei rifiuti e nei disprezzi degli altri, nelle tenebre della mente e nel silenzio e aridità del cuore" (Bob Kennedy)

E allora so già che spesso fallirò, ma non importa.
Perché ho imparato col tempo che é tutto un gioco di Misericordia e che il bello é ricominciare sempre, basta affidarsi.
Perché, come diceva Cesare Pavese, "l'unica gioia al mondo é cominciare. E' bello vivere perché vivere é cominciare sempre, ad ogni istante".

Buon anno a tutti.