Friday, November 23, 2007

DEDICATO A CLAUDIO / 2

Tratto da YouTube, con un grazie a chi ha messo in rete queste immagini

Tuesday, November 20, 2007

DEDICATO A CLAUDIO

Non é sempre brutta la malinconia.
Sarà perché lui adesso non é più qui, su questa terra - anche se la sua presenza ora é più forte che mai - ma quando entro in casa e le note di “Come la rosa” mi avvolgono all'improvviso, non riesco proprio a spazzarla via, e in qualche modo vorrei che non finisse mai.
Poso la borsa, vado a cambiarmi, torno in soggiorno e incontro mia moglie: “sai – le dico – secondo me questo ...” Non mi lascia finire la frase: “.. é il disco più bello di Chieffo”.
Abbiamo pensato la stessa cosa, nello stesso istante.


Come La Rosa
é un disco straordinario.
Pieno di struggente malinconia, in cui la forza di Chieffo, la potenza della sua voce e delle sue parole, si colora, in modo assolutamente unico, di una dolcezza e di una tristezza tutte particolari.
E' il disco che Claudio incise con il pianista David Horovitz, che forse comprese il suo animo più di molti altri.
Il clima in studio, durante la registrazione, dovette essere davvero qualcosa di speciale. Racconta Horowitz stesso: “Lavoro ormai da anni con alcuni dei maggiori musicisti professionisti, che di solito vengono nel mio studio a registrare il loro pezzo e poi, finita la session, ripongono i loro strumenti e se ne vanno. Quelli che hanno suonato nel suo cd, invece, volevano ascoltare altre sue canzoni, suonare ancora. E non era solo per le sue canzoni, era anche per Claudio: erano così presi dalla sua persona, dal suo entusiasmo, dalla sua sincerità...”

Il violino di Charles Libove, ne La Canzone Del Destino, ti entra sotto la pelle e sembra non voler uscire più, lasciandoti addosso solo brividi. E’ una canzone dedicata ai figli e quando Claudio lo sentì suonare, esclamò: “Questo é uno tra i suoni di violino più belli che io abbia mai sentito”.
Era uno Stradivari quel violino. Racconta ancora Horowitz: “Sapevo che ne possedeva uno, ma ci conosciamo da trent’anni e non lo avevo mai visto. Tra altri venti violini che usa aveva scelto quello, che non gli avevo mai sentito suonare. “Oggi ho portato lo Stradivari, perché so che a questo disco tieni in modo particolare”, ha spiegato. E quella é stata l’unica volta, da quando conosco Claudio, in cui non é riuscito a dire una sola parola.”

L’aviatore ha una chitarra che ti fa volare, proprio alla fine del brano, sempre più su, dopo aver “sfidato” le “nuvole della menzogna”, “giocato” con esse, puntando “dritto contro il sole”, respirando forte e cominciando a salire, finché “sull’aereo d’argento abbiamo vinto le nuvole e grazie a Dio, questo é il cielo e non vogliamo guardare indietro, non possiamo tornare indietro, non vogliamo tornare..."

Ho sempre amato la notte.
Ma non quel buio che circonda il fascino della trasgressione.
Quel luogo, invece, dove la frenesia lascia spazio alla memoria, allo sguardo su ciò che ti é accaduto: dove Lo hai visto oggi, dove Lo hai incontrato ?
Quante volte, nelle mie notti di guardia in ospedale, mi sono affacciato, tra un'urgenza e l'altra, a guardar fuori le luci della città; momenti d'improvvisa calma, in cui quegli occhi che prima avevano affrontato il dolore, sembravano poter abbracciare tutta l'umanità.
Anche a casa, spesso, sono l'ultimo ad andare a dormire.
E allora passo a guardare i miei figli e a volte mi fermo sul bordo del loro letto.
Penso alla vita che avranno, ai dolori e dispiaceri che vorrei potessero evitare.
La canzone di Chieffo dedicata a un suo figlio - Canzone di Benedetto - mi fa pensare ad un amore più grande del mio:

Dormi, dormi, dormi, io ti guardo,
accarezzo i tuoi piccoli pensieri:
ti darò l'orizzonte che non muore,
oggi, domani e ieri...

Il grande Muratore ha costruito una casa per te,
l'ha fabbricata sulla roccia
e la notte
si sente il mare
e neanche il vento che soffia forte
la farà crollare...

Come La Rosa finisce spesso, in questi giorni, nel lettore cd della mia auto.
Quante volte la strada ha mescolato fantasia e realtà, sogni ed inventari di giornate intere.
Bilanci rivestiti di un'esistenza condivisa: pensiero di amici che ti richiamano ad un Altro.
E allora preghi, spesso e volentieri, ma lo puoi fare anche con una canzone, Canzone di Maggio:

Gli amici, o quanti amici quella sera,
i canti, i canti come una preghiera

Vive i giorni nella gioia chi mi ha dato prigioniero il cuore:
l'Amico non l'abbandona nella sera,
il canto, il canto come una preghiera


Quando ascolti un disco così, vorresti che lo conoscessero tutti.
Vorresti che il bello si facesse strada, molta più strada di tutta quella che fa spesso il male.
Ma non é questo il punto, in fondo: il Bello si fa strada da solo, noi - a voler vedere bene davvero - siamo solo strumenti.
Come quel giorno di quel concerto, un concerto che Chieffo fece davanti a diecimila persone.
Il giorno dopo, sui giornali, neanche una riga, come se non fosse successo niente.
Ma aveva suonato con lui Mark Harris, pianista ed arrangiatore americano, che gli disse: “Vedi: il successo non é il successo, il successo é che é successo: per quelle diecimila persone e per noi, ieri sera, é successo, é successo qualcosa”. E Chieffo aggiunse: “E lui mi ha aiutato a capire che il successo non é quando c’é un riscontro, ma quando accade qualcosa”.

Io a quel concerto non c'ero, ma oggi é accaduto qualcosa anche a me.
Mi é bastato ascoltare un disco.
Mi é bastato spalancare il cuore.

Post Scriptum:
Ho visto due volte Claudio Chieffo in concerto.
La prima volta al meeting di Rimini, qualche anno fa e la seconda in un’intima chiesetta di Abbiatgrasso.
Sono rimasti ricordi incancellabili. Ma quello che me lo ha fatto scoprire sul serio é il racconto della sua vita nel libro di Paola Scaglione “La mia voce e le tue parole” (ediz. Ares). Da questo libro, che ha anche prefazioni di Jesus Carrascosa, di mons. Luigi Negri, e del mio buon amico Paolo Vites, sono tratte molte delle citazioni di questo post.
A dire il vero, Chieffo lo avevo incontrato anche molto tempo prima, più o meno a diciott’anni, durante un servizio d’ordine ad un Congresso Eucaristico Nazionale, a Monza, sotto il diluvio universale.
Doveva cantare insieme a molti altri e non volevano farlo passare perchè non l’avevano riconosciuto: quella volta lui si era arrabbiato un po’....

Sunday, November 11, 2007

RIEDUCATO DAL DOLORE

"Gesù che grida a gran voce: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mc 15,34) (...) Non é simile a lui forse l'angosciato, il solo, l'arido, il deluso, il fallito, il debole ? Non é immagine di lui ogni divisione dolorosa tra fratelli, tra Chiese, tra brani di umanità con ideologie contrastanti ? Non é figura di Gesù che perde, per così dire, il senso di Dio, che s'é fatto "peccato" per noi - come dice Paolo (2Cor 5,21) - il mondo ateizzante, laicista, decaduto in ogni aberrazione ? (...)
Infinito mistero, dolore abissale che Gesù ha provato come uomo e che dà la misura del suo amore per gli uomini, in quanto ha voluto prendere su di sé la separazione che li teneva lontani dal Padre, colmandola. E così ci ha redenti" . (1)
(Chiara Lubich)

In una sua recente intervista, Massimo Priviero manifesta chiaramente il suo pensiero sulla musica italiana: "In Italia ci sono i cantautori, i cantanti. Gran parte dei cantautori italiani poi non ha voce ed i suoni sono sempre quelli. Ai cantautori non é mai stato chiesto di usare la voce in modo particolare, di curare i testi sì, ma la voce non era mai così importante"
Credo che Massimo, uno dei pochi veri rocker italiani, abbia fondamentalmente ragione.
Forse é per questo che la musica italiana non mi é mai piaciuta granché.
Perché, come dice sempre lui, se ti senti "figlio del rock, del blues, del rock'n'roll", la musica che ascolti é quella americana." (2)
Qualche eccezione però, per quel che mi riguarda, c'é sempre stata, soprattutto quando mi pareva di scorgere, anche in qualcosa di nostrano, quel grido dell'anima che della musica rock ha sempre rappresentato il catalizzatore della mia attenzione.
Così l'ultima uscita discografica, dopo qualche anno di silenzio, di Roberto Vecchioni - Di Rabbia E Di Stelle - non ha potuto lasciarmi indifferente.
Perché dentro questo lavoro c'é tutto quello che potresti trovare in un vecchio blues d'autore.
Ed in concomitanza con l'arrivo del disco, Avvenire pubblica un'intervista (3), che inaspettatamente svela il "rischio educativo" a cui lui non ha voluto sfuggire, rileggendo alcuni passaggi particolarmente dolorosi della sua vita recente.

"Vecchioni, dov'era finito...Vecchioni?"
"Con l'età diventa difficile dare filo conduttore alla vita. E spesso mi sono sentito disarmato, da un sistema che spaccia per verità l'esibizionismo di gente che se soffrisse davvero non lo andrebbe a dire in tv. Anche l'amore mi é parso a tratti non più raggiungibile. Negli ultimi anni insomma ho passato momenti duri e sicuramente nei dischi si sentiva. Ma il peggio sono stati gli ultimi due anni, con la sofferenza per i problemi che ha avuto mio figlio".
"Eppure proprio ora lei sembra rinato. E si sente bene proprio nella canzone per suo figlio".
"Già. La più drammatica della mia vita, scritta in uno stanzino buio in due ore. Una preghiera, forse una "bestemmia", non so. Un patto impossibile con Dio. Non ti offro la mia vita, é già tua; ti dò quanto ho vissuto se tu dai a mio figlio le tue rose blu. Però é vero, questa canzone mi ha rieducato. In fondo ho sempre tratto la speranza dal dolore: ho ripreso a farlo. Forse anche con più misura e sincerità di un tempo. "
"Ma fra le sue 'stelle' Dio c'é davvero ?""In questi ultimi due anni mi sono avvicinato molto a Dio. La mia fede é cresciuta anche per i dolori che ho vissuto in questo tempo: ci deve essere una forza credibile che va oltre la mediocrità terrena. Spesso prego. Dico l'Ave Maria, il Credo, il Pater Noster. Il bello é che con Dio si può parlare ovunque, in chiesa come per strada. "


Non riesco a non pensare a Vecchioni - milanese come me - sulla cattedra in mezzo ai suoi studenti del liceo. E penso anche a quei due anni di giovane docenza, assistente di "storia delle religioni" all'Università Cattolica di Milano.
Chissà se, anche solo per un attimo, ha mai incontrato Don Giussani, quell'uomo che un giorno decise di gettare tutto se stesso in mezzo a tanti giovani, mollando l'ordinarietà di un tranquillo insegnamento in seminario.
Forse no, ma mi piace credere che quello Sguardo, di cui il "Don Giuss" si é fatto sempre tramite, perché molti riuscissero a scorgerlo, oggi abbia colpito anche il professor Vecchioni.
Da quel che dice e quel che ci regala nel suo ultimo disco, sembrerebbe proprio di sì.
Note:
(1) Chiara Lubich - Gesù Abbandonato e la notte collettiva e culturale - Gen's, maggio-agosto 2007.
(2) L'intervista a Massimo Priviero é pubblicata dal Buscadero n.295. E' uscito da poco l'ultimo cd dell'artista- Rocks And Poems - splendido album di covers, da Bob Dylan a Bruce Springsteen, da Paul Simon a Tom Waits, tributo a maestri di fronte ai quali l' allievo non sfigura affatto. Ci sono anche le versioni in lingua inglese di due tra le più belle canzoni di Priviero, Dolce Resistenza e La Marcia Del Davai. Da ascoltare assolutamente.
(3) Andrea Perinelli - "Il dolore per mio figlio mi ha avvicinato a Dio" - Avvenire, 10/11/2007

Saturday, November 10, 2007

ROCK'N'ROLL CAN NEVER DIE


John Fogerty al David Letterman Show, 2 october 2007

"I was so much older than, I'm younger than that now"...

Sunday, November 04, 2007

UN POMERIGGIO A COMETA


Per favore non ditegli mai che sono bravi.
Tra tutte, sembra che questa sia l'unica frase che dia loro fastidio.
Eppure verrebbe voglia di dirglielo, che bravi lo sono sul serio, perché la storia di Erasmo ed Innocente Figini appare davvero speciale.
Una storia che comincia con un bambino in affido, che Erasmo accetta nella sua famiglia e che continua con la richiesta d'aiuto al fratello, per compiere questo gesto insieme.
L'amicizia con Don Giussani, che dice ai due fratelli di "andare a vivere insieme" e poi un'apertura che cresce, affido dopo affido.

Erasmo racconta l'origine di tutto: "Vent'anni fa suona il telefono, alzo la cornetta. E' don Aldo Fortunato che mi dice: "Erasmo, tu conosci tanta gente a Como; mi daresti una mano a collocare un bambino presso una famiglia ? Non può stare nella mia struttura, é un bambino sieropositivo. In quel momento lì, io e Serena, mia moglie - Serena era vicino a me al telefono - immediatamente gli abbiamo detto sì, lo prendiamo noi, che famiglia vuoi cercare ?".
"L'arrivo di questo estraneo - continua Serena - che poi é diventato, invece, parte del tuo cuore, ha permesso di scoprire che la paternità e la maternità, dentro la nostra vita, era un seme che non era germogliato neppure con l'arrivo dei nostri due figli naturali. Perché questo bambino, bisognoso di tutto, ha permesso di conoscere la bellezza del cuore di ciascuno di noi".
Erasmo prosegue il racconto delle origini: "Subito dopo i nostri genitori, i nostri amici erano contrari. Serena lavorava ancora a tempo pieno e anch'io. L'appartamento era piccolo. Il buon senso ti avrebbe fatto dire : no, é impossibile. E se avessimo detto no, probabilmente Cometa non sarebbe neanche venuta fuori, perché il coinvolgimento che io ho chiesto a mio fratello di darci una mano sulla sieropositività, la sua risposta non é stata solo un coinvolgimento da medico, é stato un coinvolgimento totale, suo e di sua moglie. E poi da lì é partito tutto".


Tutto dunque parte da qui, dall'accoglienza di un bimbo in affido, e dal fidarsi di due fratelli, Erasmo ed Innocente, che danno retta al loro amico, don Giussani, che dice loro, cogliendo il desiderio di comunione che c'era nei loro cuori: "andate a vivere insieme".
Ora Cometa é un'associazione, ricca e variegata, ma prima di tutto é un luogo dove questa comunione si é allargata, al punto da essere sperimentabile da chiunque passi da qui anche solo per una semplice visita.
Oggi in quella casa nella periferia di Como ci sono quattro famiglie, ognuna mediamente con dieci figli a testa, tra quelli naturali e quelli in affido.
Ma la casa, allargatasi, é divenuta una "città nella città".
60 bambini che, dopo la scuola, trovano una proposta educativa attraverso l'aiuto allo studio e le attività espressive e ricreative; un'Associazione Sportiva, che coinvolge stabilmente più di 115 ragazzi; una fondazione - Cometa Fondazione - che dà un'opportunità concreta a ragazzi che hanno abbandonato la scuola senza alcuna propsettiva lavorativa; 100 ragazzi coinvolti nel Liceo del Lavoro, in cui "l'esperienza affascinante del valore educativo del lavoro dà motivazione per l'apprendimento, voglia di costruire, possibilità di divenire grandi, diventando proposta anche per gli adulti".
Il progetto futuro é ampliare il piccolo borgo con alcune piazzette, una scuola, botteghe di artigiani, un micro nido e nuove case per l'accoglienza, "per far spazio ad un'esperienza che cresce ogni giorno, perché la proposta di bene incontrata possa raggiungere tutti".



Quando arrivo lì in visita, con la mia famiglia ed un nutrito gruppo di amici, la prima cosa che mi colpisce é la bellezza e l'armonia di quel luogo.
Innocente - qui per tutti é "il Cente" - ci spiega poi che non é così strano, perché la bellezza é la "cosa che assomiglia di più alla Verità".
Giriamo la casa, vediamo gli uffici, le aule di scuola, la casetta, dal di fuori, di un gruppo di "Memores Domini", consacrati laici a vita comune, che sono venuti a vivere anche loro qui.
La sala da pranzo é uno spettacolo: le dimensioni sono quelle delle sale dei conventi di una volta, con un bel tavolo lungo a ferro di cavallo ed un fiore davanti ad ogni posto a tavola.
Sembra un luogo dove sia difficile mantenere l'ordine (in quanti mangiano alla volta ?), ma invece scopri che é un luogo privilegiato d'incontro: molti hanno scoperto Cometa semplicemente cominciando con lo stare a tavola insieme.



Ci si ritrova tutti in giardino, per una merenda insieme, ma anche per una chiacchierata con il Cente, che racconta ancora una volta l'esperienza vissuta in questi anni.
C'é spazio anche per le domande, innocenti e forse un po' scontate, ma preludio a risposte sempre illuminanti.
Come quando qualcuno domanda come fanno ad andare avanti, visto che a noi, con due o tre figli, a volte sembra già difficile. Lui rimbalza la domanda e dice "non so come fate voi ad andare avanti; se siete soli, al giorno d'oggi, non ce la potete fare, io quando qui ho bisogno, chiedo una mano". E allora capisci che é un cammino di popolo quello che ti sostiene: se hai scoperto qualcosa per cui vale la pena di vivere, per cui il tuo desiderio di felicità diviene realtà tangibile per te stesso, allora lo comunichi ad altri e tutto questo diventa credibile e genera al tempo stesso comunione. Ed é quella comunione che ti fa andare avanti, non senza fatiche magari, ma non ti chiedi più se ce la fai: ti accorgi invece che del gusto di una vita fatta così non puoi proprio più fare a meno.



Tornato a casa, alla sera, la cena con mia moglie e i miei figli, mi appare inaspettatamente nuova. Ripenso agli amici, con cui faticosamente cerco di percorrere il mio cammino di condivisione, nelle piccole ed ordinarie cose della realtà di tutti i giorni, ma quando credo e mi affido al disegno di un Altro, non meno denso di quella pienezza che ho incontrato in quella casa, a pochi chilometri dalla mia.
E mi tornano in mente, con gratitudine, quelle parole di Erasmo che ho udito oggi: "Io non riesco mai a capire - rispondo sempre a tutti - come si potrebbe vivere in un modo diverso. Io senza un luogo come questo, che mi obbligasse a stare sulla realtà in modo così stringente, non so proprio come potrei vivere."
Allora finalmente capisco ciò che mi ha reso nuovo questa sera.
Non é stato il vedere l'eroico divenuto quotidiano, ma é stata la dimensione di un incontro.
Mi chiedo tante volte cosa voglia dire incontrare Gesù nella mia vita di ogni giorno e troppo spesso mi dimentico di quelle Sue parole: "chi incontra voi, che siete miei discepoli, incontra me".
Ecco cosa ha reso davvero felice il mio cuore questa sera, l'incontro con Lui e il desiderio di continuare un cammino di comunione.
E' il dono più grande che mi sono portato a casa da Cometa.


per conoscere Cometa:
Associazione Cometa
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