Tuesday, September 30, 2008

IL PUNTO


E' più condizionante un circolo virtuoso o vizioso?
Verrebbe da dire il primo, così di primo acchito. Eppure a volte é il secondo, quando le cose sgradevoli si susseguono, a far precipitare la tua esistenza quotidiana in una sorta di baratro dal quale ti sembra poi impossibile trovare la forza di uscire.
Accade così che alla fine della giornata prevalga il pessimismo, la sensazione d'aver perso di vista il vero significato di ciò che ti accade.
E' sufficiente che le circostanze abbiano sconfitto il tuo senso di responsabilità, il tuo desiderio di far bene la tua parte, di tenere fisso lo sguardo sulla tua coscienza. E' sufficiente che la situazione sia difficile, che qualcuno ti abbia seriamente ostacolato, che tu abbia trovato dei nemici sul cammino.

Ieri sera stavo così, una volta giunto a casa dal lavoro, con questo sguardo di fallito su di me. Allora, per un attimo, ho provato a perdere tutto me stesso, a perdere quello sguardo senza senso, per caricarmi di un altro modo di vedere e rivolgermi così, in questo modo nuovo, a mia moglie, cioé a colei che un disegno provvidenziale ha posto sul mio cammino (volete sapere cos'é un disegno provvidenziale? Allora provate a leggere questo post: http://amicidisimone.blogspot.com/2008/09/kevin-che-vive-peoria-illinois.html )
E le ho chiesto: "Ma tu come fai quando ti senti così? E' sufficiente per te porre tutta l'attenzione sul fare bene la tua parte, fino in fondo, anche quando tutto sembra così difficile?"
Lei mi ha detto: "Sì, é sufficiente, ma non basta: il punto é un altro. Il punto é che tu non ti senti guardato. Se tu ti sentissi davvero guardato da un Altro, smetteresti di stare a pensare a chi ti sta intorno, alle cose che non vanno e ti metteresti ad agire guardando solo Lui. Prova a pensare se lì con te, al lavoro, ci fosse Chiara (Chiara Lubich, nda): tu ti metteresti a guardare lei, ti sentiresti guardato e cominceresti a fare le cose in maniera diversa"


Mentre mia moglie mi parlava, ad un dato punto mi é parso di vederla commuoversi. Forse era solo un'impressione o forse era anche lei presa da uno sguardo, quello di un padre quale le é sempre stato Don Giussani.
Quello che é certo é che ho fatto una bella fatica a nasconderla io, invece, la mia commozione.
E mentre lei parlava, mi é tornato in mente lo sguardo di Rose su Vicky, quello che lei ci ha raccontato quest'estate al Meeting di Rimini : “Trovavo la forza nel suo sguardo. Se Rose mi guarda in questo modo, pensavo, come sarà lo sguardo di Dio? Poi ho capito che nel volto di Rose stavo guardando quello di Dio”.

Quando passi momenti così, l'esperienza che incontri é molto più di uno sguardo: diventa abbraccio. E non può che essere così, perché é la percezione dell'agire di Colui che, unico al mondo, sia capace di farti sentire veramente amato.
E' per questo che all'indomani sento rifiorire la speranza, negli stessi luoghi e di fronte alle stesse facce dove tutto, all'apparenza, sembra non essere cambiato.
Il fatto é che, con un vedere così, tutto é tornato ad essere un dono.


Friday, September 26, 2008

FERITE






Le ferite degli altri non fanno altro che interrogarmi, in continuazione.
Come questo video - Everybody Hurts, dei REM - dove i pensieri di ogni singolo protagonista inquadrato sembrano squarci su esistenze intrise di dubbio e di dolore.
Ma sono soprattutto le ferite che incontro dalla mattina alla sera, in ospedale, in questo mestiere che non fa altro che metterti continuamente di fronte al limite. Quello del paziente e della sua malattia, ma anche il tuo, nel ritrovarti lì, insieme a lui, in quella terra di frontiera - terra desertica e bruciata - dove ognuno desidera trovare risposte che risolvano la propria domanda di felicità.

Il video dei REM fornisce immagini dove ti sembra di trovare via d'uscita, attraverso quell'incedere progressivo e nella sua soluzione finale, con quegli uomini e donne che si ritrovano tutti insieme, quasi a condividere un cammino.
E' già un traguardo, ma rischia di non bastare, c'é bisogno di più. E' necessario che quella ferita cessi d'essere fastidio, di apparire scomoda, di suscitare desiderio di fuga e misconoscimento della realtà.
Solo nel momento in cui essa diviene benedizione dentro la tua vita, qualcosa può finalmente cominciare a girare per il verso giusto.
Sembra uno scandalo voler definire il dolore così, eppure, a fronte di un mondo che invece lo censura, ti accorgi sempre più che rappresenta parte di un percorso vitale, che risponde cioé realmente al tuo desiderio più profondo di felicità.

Gli amici aiutano sempre quando sei alla ricerca di soluzioni ed anche la canzone dei REM si muove nella stessa direzione, con lo stesso desiderio. Ma gli amici veri non sono quelli che ti tolgono di mezzo i guai: sono quelli, invece, che ti aiutano a scoprire il vero significato di ciò che ti accade.
Quello di questo libro é uno di quegli amici e da lui sto imparando molte cose.
A vedere, per esempio, con occhi nuovi proprio quella scomoda, inattesa, inesplicabile ferita: la ferita dell'altro.

"(...) prima o poi ogni persona fa un'esperienza che segna l'inizio della sua maturità: capisce nella propria carne e intelligenza che, se vuole sperimentare la benedizione legata al rapporto con l'altro, deve accettarne la ferita.
Comprende cioé che non c'é vita buona senza passare attraverso il territorio buio e pericoloso dell'altro e che qualunque via di fuga da questo combattimento e da questa agonia conduce inevitabilmente ad una vita umana senza gioia"

(Luigino Bruni)



Luigino Bruni - La Ferita dell'altro - editrice Il Margine

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Thursday, September 18, 2008

HONEST WITH ME


"To be outside the law, you must be honest"
(Bob Dylan)

La situazione si era fatta francamente imbarazzante.
Perché, insomma, dopo tre o quattro canzoni, già non ce la facevo più.
E sì che dopo i suoi sguardi ammiccanti a quella bionda in prima fila, distante solo pochi passi da me, l'uomo sembrava decisamente galvanizzato e messo nelle condizioni migliori per tirar fuori un grande show.
E invece no, il concerto stava diventando francamente noioso.
Come se non bastasse, poi, quella sgradevole sensazione stava drammaticamente sostituendo l'ebbrezza del trovarmi per la prima volta lì davanti, cinque, dieci metri al massimo da colui che non avevo mai smesso di seguire nei suoi shows, fin da quando - il lontano 1984 - l'avevo visto la prima volta a San Siro.
Macché, questa volta Bob Dylan mi stava profondamente deludendo e dopo un po', se il bar non fosse stato troppo lontano, sarei proprio corso lì, ad annegare i dispiaceri in una bella birra.


Cosa c'é che non va nei concerti di Bob Dylan oggi?
Cosa non funziona nel suo riproporsi senza tregua, in un neverending tour che ormai prosegue senza soluzione di continuità esattamente da vent'anni?
Tante cose. La voce logorata, ad esempio, ma non solo. Anche il suo attuale defilarsi dietro alle tastiere (suonate male) e, abbandonata la chitarra, quel suo porsi di lato, quasi a sfuggire lo sguardo diretto del pubblico. E poi una band apparentemente inadeguata, che sembra avere un basso tasso tecnico, ma che é volutamente fatta suonare in un certo modo, così che tutto assume le sembianze di un funk-blues, che rende le canzoni tutte uguali.
Canzoni, poi, che, pur variando un poco la scaletta da un concerto all'altro, appaiono sempre più ripetitive, a fronte di un repertorio che, invece, potrebbe essere tra i più vasti in assoluto nel rock.
Non é un caso se, nel sito italiano di Bob Dylan per eccellenza - Maggie's Farm - si é aperto un dibattito che qualche tempo fa sarebbe parso impensabile: "Dylan pro e contro".


Qualcuno va anche oltre, nelle critiche al buon vecchio Bob, sostendendo che la vena compositiva si sia ormai inevitabilmente affievolita. Ed effettivamente c'è da dire che le pubblicazioni di materiale live od inedito pregresso (le Bootleg Series, di cui é imminente l'uscita del nuovo Tell Tale Signs) appaiono francamente più esaltanti degli ultimi album in studio, Love & Theft e Modern Times.
Eppure, sull'ultimo disco - Modern Times - c'é Ain't Talkin', una canzone spesso proposta dal vivo e che personalmente non può lasciarmi indifferente, al punto da avere ispirato il titolo di questo blog.
Una ballata lenta ed avvolgente, dotata di una musicalità scarna, essenziale, ma terribilmente incisiva; un incedere quieto ed intenso allo stesso tempo. L'anima di chi scrive ha sofferto (heart burnin', still yearnin'), é stanca, e non parla, ma cammina solamente. Quello che viene descritto e attraversato é uno stanco mondo di dolore (just walkin' through this weary world of woe), con ponti che bruciano prima che tu possa raggiungerli (I'll burn that bridge before you can cross). C'é un pianto che consuma (Now I'm all worn down by weeping) ed é un mondo cinico e crudele (danzeranno sulle tue disgrazie quando sarai a terra), ma forse la speranza é destinata a non morire: "il fuoco é scomparso ma la luce non muore/ chi lo dice che non otterrò l'aiuto dal cielo?". Quell'anima non é sterile e si fa capace di chiedere ancora: "dicono che la preghiera abbia il potere di guarire/ perciò prega per me, madre/ nel cuore dell'uomo può albergare uno spirito malvagio/ sto provando ad amare il prossimo e far del bene/ma, oh madre, le cose non vanno così bene".
Quando ascolto questa canzone non riesco a non pensare ad un'anima mendicante. Cioé a qualcuno che non rinuncia all'idea della bellezza di un destino, ma che ora che ha sofferto percepisce che questa non risiede nelle proprie mani perché, oltre che desiderata, va richiesta.
E per me la mendicanza per eccellenza é quella che descrisse un giorno don Giussani, quella a cui forse, inconsapevolmente, tende anche quell'anima che non parla, ma cammina solamente :
"il Mistero come misericordia resta l'ultima parola anche su tutte le brutte possibilità della storia. Per cui l'esistenza si esprime, come ultimo ideale, nella mendicanza. Il vero protagonista della storia é il mendicante: Cristo mendicante del cuore dell'uomo e il cuore dell'uomo mendicante di Cristo"



Il mio amico Paolo Vites sostiene che una possibile chiave di lettura della perseveranza del neverending tour di Dylan, coi ritmi e nelle condizioni attuali, possa essere il suo desiderio d'andare dietro al destino, costi quel costi.
Penso che abbia ragione, che possa essere proprio così.
Nel corso dell'intervista all'interno del programma "60 minutes" della CBS, Ed Bradley chiede a Dylan "perché lo fai? perché sei ancora in giro?". "Torniamo al discorso del destino", gli risponde Bob: "Ho fatto una specie di patto di ferro col destino... sai, un sacco di tempo fa".
Una ragione, dunque, uno scopo. Né più né meno quanto raccontò al giornalista di Playboy trent'anni fa, che gli chiese perché stesse facendo quello che stava facendo: "Devi avere uno scopo. Devi credere di poter passare attraverso i muri. Senza quella fede non riuscirai a diventare un cantante rock o un cantante pop o folk-rock davvero bravo, e neppure un bravo avvocato. O un dottore. Devi sapere che stai facendo ciò che stai facendo"
Un Dylan che va sempre dritto per la sua strada, noncurante di tutto e di tutti. In fin dei conti ha sempre fatto così. Racconta, alla fine di Chronicles - che già all'inizio della sua carriera, l'attitudine era quella d'imboccare strade apparentemente scomode ed incerte: "(...) la strada si stava facendo pericolosa e io non sapevo dove portava, ma la seguii ugualmente. Laggiù, più avanti, uno strano mondo stava per svelarsi, un mondo tuonante, dagli spigoli taglienti come fulmini. Molti non lo capirono e non l'avrebbero mai capito. Io ci entrai senza esitare".
Forse é perché Dylan é così che, nonostante tutto, non perderò mai del tutto la voglia di andarlo a sentire in un concerto. E sfidare così la sua strafottenza, la poca umiltà, ma rimanendo affezionato a quella strana ed imbarazzante cocciutaggine ed onestà di fondo. Dylan continua ad essere "Honest with me", una canzone spesso in scaletta nei concerti ed altrettanto spesso noiosa.
Ma, onestamente, Bob, ho deciso di seguirti lo stesso, fino alla fine: sai com'é, questa questione del Destino interessa anche me. Costi quel che costi.

Sunday, September 14, 2008

CARA BELTA'



"There's a beauty in the silver singing river, there's beauty in the sunrise in the sky, but none of these and nothing else can match the beauty, that I remember in my true love's eyes"
(Bob Dylan)

C'è un groviglio di palazzi che cresce sempre più, vicino ad Assago, alle porte di Milano.
Amici che hanno visto i progetti affermano che il risultato finale dei lavori sia bello. Li ha disegnati, pare, un famoso architetto olandese. Sarà. Sta di fatto che quando ci passo di fianco in autostrada a me non é che piacciano un granché.
Forse perché il concetto di bellezza che ho in mente ha a che fare con qualcosa di diverso.
Come un fiore, o un filo d'erba, o le guglie di una cattedrale. Magari intraviste da lontano, tra gli alberi e l'orizzonte della strada, quando le prime case dell'abitato non si vedono ancora. Doveva succedere così, credo, ai cavalieri di un tempo, quando percorrevano le loro vie e scorgevano la chiesa. E dubito che provassero il disagio che l'uomo d'oggi si sente addosso quando osserva il paesaggio metropolitano.
Le cattedrali, una volta, le costruivano anche con il contributo della gente. Tutti ci mettevano del proprio, anche pochi denari, ma l'importante era far parte di quell'opera. Anche il duomo di Milano fu eretto in questo modo (1). Non solo grazie a questo, certamente, ma quel che é certo é che ciascuno sentiva anche qualcosa di sé quando la chiesa era finalmente finita. Ed erano capolavori di architetti e lavori complessi, né più ne meno come oggi, ma capaci, quelli sì, di far sentire cielo e terra più vicini.


Il fatto é che c'é bisogno sempre più di bellezza, un'armonia che il mondo d'oggi sembra non cercare più, preda di nevrosi tecnologiche e d'idoli sempre più sofisticati.
Idoli di cui papa Benedetto ha parlato a Parigi (2), alle 260.000 persone convenute per la Messa e cui ha contrapposto, davanti alle innumerevoli fiaccole portate dai fedeli, l'essere luce, che poi vuol dire chiedere, cercare ed allo stesso tempo essere Bellezza: "questo gesto riassume da solo la nostra condizione di cristiani in cammino. Abbiamo bisogno di luce e nello stesso tempo siamo chiamati a divenire luce".
E di luce e di bellezza doveva essercene parecchia ieri, all'esplanade des Invalides.


Bellezza, tante volte, é la luce del mattino, prima che tutto cominci a correre e ad urlare.
A volte mi sorprendo a guardare l'alba alla finestra, dopo una notte di corse, di guardia all'ospedale, quando tutto sembra finalmente quietarsi ed anche il dolore lascia un po' di tregua, consentendo al mattino di farsi strada un'altra volta.
Quella luce del mattino assomiglia, a volte, a quella del tramonto.
Luce crepuscolare, che pare un suono, così che quella miriade di luci e di colori sembrano infinite note che compongono una melodia.
E' il jingle jangle morning, quello che sento attraversare la mia pelle, quel suono mercuriale e selvaggio, di cui Bob Dylan parlò una volta (3). Un suono della strada, una musica che, come per Dylan, anch'essa "filtra in me con l'esplodere dell'alba".
Non sono suoni né luci come tutti gli altri : "(...) E' il suono delle strade con i raggi del sole, il sole che splende in certe ore particolari... un particolare tipo di persone che camminano lungo un particolare tipo di strada. Un suono che vaga fino alle finestre aperte, che tu puoi sentire. Il suono delle campane e i treni di una ferrovia lontana e le chiacchiere negli appartamenti e il tintinnio dell'argenteria, i coltelli, le forchette e lo schioccare delle cinghie di cuoio... Sì, nessun carpentiere suona, nessun aeroplano suona. Solo tutto quello che é abbastanza naturale suona, sai, l'acqua che fluisce in un ruscello." (4)
Un'altra forma di Bellezza, anche questa.


Mettersi in macchina al mattino, dopo notti di guardia così, o all'inizio di giornate partite invece svogliatamente, é comunque imbattersi violentemente col tuo personalissimo desiderio del bello.
E questo, invariabilmente, finisce per diventare un Tu.
Quel Tu a cui affidare tutto ciò a cui tieni. E quel Tu a cui ti rivolgi, nel momento in cui hai drammaticamente sperimentato la tua incapacità.
Quando Bob Dylan incontra quello strano personaggio - un vecchietto di nome Sun Pie - nelle campagne vicino a New Orleans - si sente domandare: "Lei é uno che prega, vero? Per che cosa prega? Prega per il mondo?". "Non ci avevo mai pensato a pregare per il mondo", gli risponde Dylan e aggiunge: "Io prego per diventare una persona migliore" (5).
Cercate ciò che é vero, diventate luce, ha detto il Papa.
Ma, per quanto ci sforziamo, non siamo capaci di farci da soli, né da soli di cambiare.
Abbiamo tutti, per fortuna, un benedetto bisogno: quello di un Tu.

Note:
Cara Beltà é naturalmente il titolo di una poesia di Leopardi ed é anche quello di un libro di Luigi Giussani. Non posso pensare a cosa significhi la bellezza nella mia vita ignorando maestri che hanno fatto tanto per illuminarne la strada.
(1) "meglio ancora che encomio, é dovuta riconoscente ammirazione a quei nostri maggiori, che con tanta generosità concorsero a fornire i mezzi per la gigantesca costruzione. Senza differenza di classe, tutti accorrevano a portare il proprio obolo per la grande impresa, con le materiali offerte di denaro e robe" (tratto dagli Annali della fabbrica del Duomo)
(2) "il mondo contemporaneo non si é forse creato i propri idoli? Non ha forse imitato i pagani dell'antichità, distogliendo l'uomo dal suo vero fine, dalla felicità di vivere eternamente in Dio?" (dall'omelia di Benedetto XVI, durante la Messa all'esplanade des Invalides)
(3) Nell'intervista di Ron Rosenbaum - Playboy Interview Bob Dylan - A Candid Convesation - pubblicata su Playboy nel marzo 1978, Dylan disse ad un certo punto: "Ho quasi raggiunto la musica che immagino nell'album Blonde On Blonde: un suono sottile, mercuriale e selvaggio. Metallico e lucente, con tutto ciò che evocano queste parole. Quello é il mio vero suono."
(4) ibid.
(5) tratto da: Bob Dylan, Chronicles, vol.1, ed. Feltrinelli

Wednesday, September 10, 2008

UN NUOVO INIZIO


"Allora, é più di una settimana che non pubblichi niente sul tuo blog! Come mai? Guarda che io, ogni fine settimana, controllo...".
La domanda del collega mi coglie di sorpresa, mentre sorseggio il cappuccio al mattino, ancora mezzo addormentato, al bar dell'ospedale.
Sorrido compiaciuto: ci sono amici che ti seguono sempre da vicino.
Ma é solo un attimo, perché l'affezione si mischia all'orgoglio e allora voglio scacciarlo via subito - troppo pericoloso! - così mi nascondo e gli rispondo, scherzando: "e tu quand'é che metti di nuovo un commento? E' un sacco di tempo che non lo fai più! Guarda che va bene qualsiasi cosa tu scriva: al massimo ti censuro!".

Già, scrivere qualcosa di nuovo, anche oggi, dopo la Bellezza di un'esperienza, quale quella del Meeting é stata. Ma questo non é un quotidiano e non devo fare l'editoriale ad ogni costo, cosa che poi, in fondo, non interesserebbe a nessuno. E' un giornale di bordo dell'anima, invece, questo sì e mi aiuta, ogni volta, a mettermi in rapporto con Lui, colui che move il sole e l'altre stelle, un Tu che regge e rende sostenibile ogni attimo del mio quotidiano, così poco eroico, così terribilmente ordinario (ma era necessario che il quotidiano divenisse eroico e l'eroico diventasse quotidiano, non é vero?)
E poi, ogni volta che passo di qui, dal diario di bordo, vorrei prima aver vissuto.
Perché quel che scrivo non siano pensieri inutili, pronti a volar via nel tempo, ma un'esperienza.
Allora sì che, forse, potrebbero rischiare d'interessar qualcuno, chiunque passi di qua per condividere; qualcuno che usi questo strumento per scoprire d'aver voglia, anche lui, di parlare con quel Tu, di scoprire che l'aspetta sempre, che é pronto lì ad ascoltare, in qualsiasi momento.

E allora, caro amico e collega, eccoti accontentato: anche oggi, alla fine, ho scritto qualcosa.
Che cosa? Non lo so, nulla, forse, a voler ben vedere.
Ma posso terminare con un augurio, augurio d'inizio anno, se l'anno, come pensiamo in molti, comincia con il mese di settembre.
E siccome ogni inizio - guarda un po' - cade spesso al lunedì, ecco una frase che amo molto e che ad ogni inizio rende nuovo il cominciare. La metto qui, molti l'avranno già sentita; ma anche chi la conosce non può non sapere quant'è vera, soprattutto se vissuta insieme:

"la giornata più bella della settimana é il lunedì, perché il lunedì si riinizia, si riinizia il cammino, il disegno, si riinizia l'attuazione della bellezza, della affezione"
(Luigi Giussani)