Saturday, October 25, 2008

HO SOLO LE HAWAII




Maui, Hawaii, the Westin Maui Hotel


Questo libro di Riro Maniscalco, mi ha appassionato subito, fin dal titolo - Mi mancano solo le Hawaii - perché io, invece, ho solo le Hawaii. Anche un pezzetto di Los Angeles, per la verità - una giornata su e giù per gli Universal Studios e per Hollywood Boulevard (ma Julia Roberts non l'ho mai incontrata) - ed un un po' più lungo - tre giorni - di San Francisco, una splendida città, che mi rimarrà sempre nel cuore.
Accadde nell'ottobre 1995, un'avventura vissuta con mia moglie (ai tempi in attesa della nostra prima figlia!) e che entrambi non dimenticheremo mai.
Ma dell'America, ahimé, mi manca tutto il resto. Sogni coltivati sin da ragazzo, ascoltando Bob Dylan e tutta la musica rock americana che trovai, sogni fatti di Route 66 mai percorsa, di paesaggi alla Paris Texas, di indiani che non salteranno mai fuori dagli speroni rocciosi della Monument Valley.
Dreams on the road, su highway che corrono dritte fino all'infinito, con la polizia che ti corre dietro quando vai troppo forte, invece di fregarti a casa con la foto dell'autovelox; di autoradio che se l'accendi salta fuori Hank Williams e Johnny Cash e non Radio Deejay.
Insomma tutti sogni che resteranno tali, perché dove vai oggi se hai famiglia e tre figli e fai già fatica a tirare fine mese? Ma tant'é, in fondo se anche riuscissi un giorno o l'altro a guidare una bella Chevrolet - la Chevy, come la chiama Riro - forse scoprirei che era tutto diverso da come me l'ero immaginato.


Hollywood Boulevard, LA: "Dany, parcheggia tu la macchina, che io scendo a prendere il pane e il giornale..."


Maui, la spiaggia dell'Hotel Westin Maui. "Ma se ci siamo stati l'altro giorno, come mai qui non ho la pancia e i capelli sono tutti neri??"


E allora, insomma, questo libro lo dovevo leggere per forza.
Perché é un libro sul viaggiare ed il viaggiare é ancora uno di quei sogni del cassetto.
"
Andiamo. Non so dove, ma l'importante é andare", scriveva Jack Kerouac nel suo On The Road e così Jackson Browne, un'altra delle colonne sonore della mia esistenza, che canta "Non so dove stia correndo, sto solo correndo": é in Running On Empty, la title track di un disco che mi porterei sulla classica isola deserta.
Ma il mito di Kerouac e la lettura del suo libro mi hanno sempre messo una profonda tristezza, perché correre per correre o andare per andare non possono rimanere tali, così senza uno scopo. Altrimenti l'euforia é giocoforza l'anticamera della disperazione. Così avevo bisogno di un altro libro, di un'altra storia. E meno male che é arrivato il libro di Riro.
Riro Maniscalco l'ho visto quest'estate al Meeting di Rimini, sul palco insieme a John Waters, Walter Gatti ed agli amici Paolo Vites e Stefano Rizza, a presentare "
Help! Il Grido del Rock", un altro di quei libri che non si dovrebbe perdere nessuno. E' un italiano trapiantato in America, lo dice lui nel sottotitolo del libro e "Mi mancano solo le Hawaii" sono i suoi appunti di viaggio in lungo e in largo per gli USA.
Un libro bello, appassionante, estremamente divertente. Così gradevole che, ad un certo punto della lettura, ho dovuto cominciare a rallentare; anche a tavola faccio così quando ho davanti qualcosa di gustoso: non mi piace l'idea che una cosa bella e buona passi troppo in fretta. Così sono andato un po' più piano, per andare dietro al viaggio, per farlo anche un po' più mio, per entrare di più dentro un'esperienza di vita.
Tornando a Kerouac, ricordo che invece, quando lessi
On the Road, feci fatica ad arrivare in fondo. Perché proprio di fatica era pieno il racconto, pur conservando un fascino tutto particolare. Quel viaggiare fine a se stesso alla fine era proprio questo: solo una gran fatica. E la disperazione é ciò che rimane se il tuo andare non possiede il desiderio del bello; disperazione da cui, oltre tutto, non ti liberi più se alla fine essa stessa si autoalimenta nel sottile compiacimento di sé.

In questo libro, invece, si recupera la gioia del viaggiare, forse perdendo qualcosa del mito, ma guadagnando quel sottofondo che é amicizia, un modo d'intendere l'esistenza che ha il sapore di famiglia, una compagnia che sottende ad ogni avvenimento od avventura.
In fondo anche la bellezza della natura, così prorompente negli scenari americani, perde significato se vista come qualcosa a sé, senza legame con il resto: "
la felicità non é reale se non é condivisa" scrive nel suo diario Chris McCandless - il personaggio di cui narra lo splendido film Into The Wild di Sean Penn - immerso nella bellezza di una natura cercata a lungo, ma prigioniero allo stesso tempo di una solitudine che lo porterà all'autodistruzione.


San Francisco, downtown. "Fausto, fai una foto da qui, che secondo me viene bene!".
"(...) ma perché le mogli hanno sempre ragione? (beh, quasi sempre....)"


Allora datemi retta, mettetevi a leggere questo libro anche voi.
Vi avventurerete così in mille posti, come, ad esempio, ad East New York ed immaginerete la faccia di quel poliziotto, mentre dice "
this is East New York. You don't want to be here", o quella della cameriera di Mancos, Colorado, dopo che hai fatto l'errore di ordinare una birra...
O ancora penserete d'essere lì anche voi, immersi in stupendi paesaggi texani, o a bordo di motoslitte nel parco di Yellowstone, oppure ancora a far due passi fuori dalla casa degli amici ad Anchorage, Alaska:
"(...) però se vedi l'alce o il grizzly, stattene immobile e aspetta che se ne vada..."
Arriverete in fondo al libro in un baleno, ve l'ho già detto, e vi dispiacerà.
Ma quando avrete chiuso l'ultima pagina del libro, una cosa rimarrà lì con voi, senza fretta d'andar via, ed é lo spirito che pervade tutto il vivere di cui si é letto. Dice Riro:
"(...) "qualche tempo fa ho "cambiato natura". Sono un "naturalizzato americano", con tanto di doppia cittadinanaza e doppio passaporto. Ho fatto bene o male? L'ho fatto. L'ho fatto perché questa é oggi la mia vita e ho sempre pensato che l'unico modo per vivere quel che può durare anche solo un attimo é di viverlo come se fosse per sempre. Bisogna fare così anche quando si viaggia".
Vivere ogni attimo come se fosse per sempre é quel che mi fa sentire vicino ad uno come Riro.
E come a Riro anche a tanti altri amici, alcuni anche comuni ad entrambi.
Forse il fascino del libro, alla fine, sta tutto qui: in quella frase della Dichiarazione d'Indipendenza citata nel racconto: "
vita, libertà e ricerca della felicità". Questo, dice Riro, é qualcosa che gli corrisponde, che sente come suo.
Ecco perché mi piace come scrive: tutto questo corrisponde anche a me.



Post Scriptum
C'é un'altra cosa che mi ha fatto ripiombare di schianto nei miei sogni di ragazzo targati USA ed é il nuovo disco di
Bob Dylan, Tell Tale Signs. Lasciatemelo ascoltare ancora per un po' - erano anni che non ascoltavo musica bella così - e poi ci scrivo sopra qualcosa...

Wednesday, October 22, 2008

HO UNA SOLA MADRE SULLA TERRA

"Ho una sola madre sulla terra:
Maria Desolata.
Non ho altra madre fuor di Lei.
In Lei è tutta la Chiesa per l’eternità,
e tutta l’Opera nell’unità.
Nel suo disegno è il mio.
Andrò pel mondo rivivendoLa.
Ogni separazione sarà mia.
Ogni distacco dal ben che ho fatto
un contributo a edificar Maria.
Nel suo 'stabat' il mio stare
Nel suo 'stabat' il mio andare.
'Hortus conclusus'
e 'fonte sigillato'
coltiverò le sue virtù più amate,
perché sul nulla silenzioso di me
sfolgori la sapienza di Lei.
E molti, tutti,
i suoi figli prediletti,
i più bisognosi della sua misericordia,
abbiano dovunque la sua materna presenza
in un’altra piccola Maria."

Chiara Lubich
Oberiberg, 20 agosto 1962






Bob Dylan, 'Cross The Green Mountain

Saturday, October 18, 2008

STABAT


Avrei voluto esser qui, a parlare del nuovo libro di Riro Maniscalco o del disco di Bob Dylan.
Lo farò, certamente, ma oggi é giorno di arresto per i miei scritti e i miei pensieri.

Arresto come quello cardiocircolatorio, causato dall'infarto che si é portato via davanti ai miei occhi un uomo poco più che quarantenne, marito e padre di figli troppo piccoli per capire.
Quando fai il cardiologo e lavori in ospedale, il quotidiano é sempre eroico, perché fa i conti tutti i giorni sia con le tragedie - come questa - che con le gioie di situazioni insperatamente superate.
Se questo é il tuo lavoro e la tua passione sai che va bene così e non vorresti né potresti mai trovarti in nessun altro luogo.
Ma di fronte al dramma di una vita, ripresa da un Altro quando é giunta al momento cui era destinata, la tua professionalità non basta e l'unica posizione possibile di fronte al reale é quella di Maria, nel suo stabat, di fronte alla croce di Gesù.
E quando le lacrime riescono forse ad andar via un poco - anche se non vanno via i pensieri - perché sei già preso dentro al lavoro ed all'assistere quelli che arrivano dopo, senti crescere in cuore la gratitudine, per un mestiere che forse non ti lascerà mai tranquillo, ma ti richiama ogni giorno all'essenziale:

"Oh Madonna, tu sei la sicurezza della nostra speranza!"
Questa è la frase più importante per tutta la storia della Chiesa; in essa si esaurisce tutto il cristianesimo.
«Tu sei la sicurezza della nostra speranza» indica il fiorire delle cose. Senza la Madonna noi non potremmo essere sicuri del futuro, perché la sicurezza del futuro ci viene da Cristo: il Mistero di Dio che si fa uomo. Non sarebbe potuto accadere questo, non si sarebbe potuto neanche ridire, se non avessimo avuto la Madonna"

(Luigi Giussani)

Tuesday, October 14, 2008

SCUOLA DI MEDICINA


Nel luogo dove io lavoro - in ospedale - si svolgono spesso riunioni.
E lì si parla di casi clinici e di organizzazione, di carichi di lavoro e di costi.
Peccato che non si parli mai di ciò che conta veramente, perché darebbe molto più senso alla mia giornata, spesso complessa e faticosa.
Ma, per fortuna, in questi giorni c'é padre Aldo Trento, che di mestiere fa il sacerdote in Paraguay, ma che si occupa così bene di ospedali che vorrei fosse il mio direttore generale.
Anche se, forse, non accetterebbe mai un ruolo del genere, perché - come ci spiega bene nella sua ultima lettera - lui il direttore generale ha già capito da un pezzo che é un Altro.

Già, le lettere di padre Aldo.
Ne arrivano parecchie in questi giorni e così noi, suoi amici, non possiamo che farcene felici.
L'ultima, poi, ha tutta l'aria d'essere una di quelle lezioni che all'università non mi hanno mai fatto.
Peccato, perché, quando studiavo, avevo tanta voglia d'incontrare gente così e invece non mi é mai capitato. Ma ad imparare c'é sempre tempo ed a me, nonostante i capelli grigi, la voglia di andare a lezione non é ancora passata.
E allora grazie padre Aldo, per tutto ciò che vivi e ci comunichi.
Ecco qui qualcosa del suo ultimo scritto:

"(...) nella mia clinica il direttore generale é il Santissimo Sacramento. Dio mio se tutti, o alcuni per lo meno, capissero che gli ospedali rischiano di essere dei frigoriferi solo perché non si mette il Santissimo Sacramento ben visibile come direttore generale. Mi chiedo: perché perdere un sacco di tempo a parlare di riforme sanitarie senza capire che l'unico problema delle riforme é che Cristo rioccupi il posto che gli compete? Siamo testardi come gli economisti che in generale non capiscono mai che il principio dell'economia si chiama "Provvidenza Divina". Ma perché é fallita quella banca americana che ha messo in tilt l'economia? Perché la Divina Provvidenza non esiste più nelle coscienze, neanche come sostantivo. (...)
A un ammalato che può interessare un ospedale in cui non accade ciò che accade nel mio ospedale, che é un'ipotesi altamente positiva per affrontare tutto?
Capite che quando si parte da un'ipotesi positiva é conseguente che nasca un'ospedale come questo, perché qui ciò che accade non é l'esperienza della morte, ma del destino, del Mistero che fa tutte le cose. Qui il Mistero é chiarissimo. Io lo vedo guardando gli ultimi sospiri del moribondo, affannosi fintanto che il Mistero lo prende per mano e se lo porta con sé, lasciandomi vedere nel volto bello del morto, pieno di pace, il segno della Sua Presenza.
Insomma termino, perché altrimenti vi stancherei, mentre io vibro, raccontando queste cose.
Un abbraccio,
padre Aldo"


(la parrocchia San Rafael, ad Asuncion, Paraguay, al cui interno si trova una clinica per malati terminali, un asilo, un centro di distribuzione di beni per i poveri, un centro culturale, ed altro ancora)

Friday, October 10, 2008

EROI

"Ognuno ha i propri eroi, non é vero? Per molti Mohammed Alì é un eroe. Ed Albert Einstein, lui era un eroe, certamente. Credo che potreste dire che Clark Gable lo fosse. E Michael Jackson. Bruce Springsteen. Ma a me non importa di queste persone. Nessuno di loro é un eroe, non significano nulla per me. Mi spiace, ma le cose stanno così. Voglio cantarvi una canzone sul mio eroe..."
(Bob Dylan on stage, 1986, prima di In The Garden, la sua canzone sull'Uomo del Getsemani)




C'é una frase, citata da Giovanni Paolo II a proposito di San Benedetto, che spessa gira e rigira nella mia mente e che mi sembra sempre attuale.
E' quella che parla di eroismo e di quotidianità: "era necessario che l'eroico diventasse quotidiano ed il quotidiano eroico". 
Mi é sempre piaciuta perché mi rimette sempre in gioco e, allo stesso tempo, possiede un fascino particolare in quel suo dare dignità a tutto ciò che pare troppo piccolo nelle fatiche della giornata.
Oggi trovo, sul blog dell'amico Paolo Vites, una frase di Bob Dylan, che sembra dare un fascino aggiuntivo a quello che già mi ronza in testa:
"L'eroe é chi capisce il grado di responsabilità che deriva dalla sua libertà".
Dove sta quel fascino se non in quel giocarsi fino in fondo dentro un approccio alla realtà che é libertà?  Libertà vera, intesa come antitesi a disimpegno e fatalismo, a pregiudizio e presunzione.
Libertà cioé di rispondere con l'amore a quello che nella vita ti si para innanzi, stessa libertà che si tratti di gioia o di dolore, di successi o fallimenti, quelli che Kipling definiva impostori.
C'é eroismo in tutto questo ed é terribilmente eccitante.

Eppure può essere illusione e delusione, più terribile di altro se questo approccio rimane idea e non esperienza.
Perché mi é già capitato troppe volte che l'euforia - la voglia d'essere eroi - si trasformi in sconforto, nel momento in cui il tuo limite, la tua incapacità, trasforma la realtà in qualcosa d'impossibile da abbracciare.
C'é un solo modo per venirne fuori ed ha la forma del cammino in una compagnia.
Questa compagnia é un'umanità che si fa capace di superare i propri limiti perché permette ad un Altro di dimorare in mezzo a lei : "dove due o più sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro", ha detto Gesù.

Mentre scrivo queste righe, un'altra frase gira e rigira nella mia mente e sembra illuminare sentimenti ed esperienze di una luce nuova.  
Me l'ha mandata un amico - uno di quegli amici veri, che rendono quella compagnia realtà e non idea - in occasione della triste circostanza della partenza per il cielo di una persona a lui cara: "oggi ho toccato con mano che la nostra compagnia, la chiesa, é davvero il corpo fisico di Cristo; quando uno di noi se ne va, questo corpo si lacera con dolore immenso, ma subito siamo ripresi nell'abbraccio della compagnia".
Grazie, amico mio, questa frase, questa sera, me la porto via con me.
Col desiderio di non lasciarla mai - quest'unità tra noi - qualunque cosa accada.
E di continuare a rendere eroico il quotidiano.


Post Scriptum
Non é un caso, credo, che questi pensieri affiorino il giorno del primo anniversario della nascita al cielo della mia nonna Teresa. Grazie, nonna, anche tu fai parte di quella compagnia e sei ancora qui, nella stessa casa. Solo in un'altra stanza.

Monday, October 06, 2008

VINCOLI DI GIOIA




"Il giorno per me incomincia alle 5 del mattino e termina alle 23. Sono un po' stanco, lo ammetto, ma Gesù é con me tutto il giorno, tutti i giorni, così che tutto é più semplice e bello"
(padre Aldo Trento)

Basterebbe una frase così, l'incipit della lettera di padre Aldo Trento, pubblicata da Avvenire il 1 ottobre (leggi il resto dell'articolo qui o sul bellissimo blog degli Amici di Simone) per vivere bene la propria giornata, dovunque ci si trovi.
Ma conviene andare più in là e fare propria una storia, la sua, che sembra di ordinaria follia.
Sembra, perché invece, quella di questo sacerdote - che vive in Paraguay da 19 anni, dirige una clinica per malati terminali e si occupa di famiglie e di educazione - é storia ordinaria, perché lui é la persona più normale che ci si possa immaginare.
Così normale che, quando tutto ebbe inizio, il primo a non credere in se stesso era proprio lui, schiacciato dalla depressione, una malattia sempre più frequente e così atroce perché toglie la speranza.  Una speranza che pareva svanita, ma che rifiorì in un abbraccio, quello con Don Giussani. E quando il don Gius, dopo averlo amato fino in fondo, gli dice vai, sei pronto, lui si fida e parte per il Paraguay, dentro quell'abbraccio e sicuro di Colui che fa nuove tutte le cose. L'uomo spogliatosi di tutto, rinasce nuovo e l'annuncio - un seme marcito nella terra - ora dà frutto cento volte tanto. 

Mi sento indegno a parlare di padre Aldo sul mio blog, ma non posso farne a meno.
Perché sono giorni che leggo e rileggo le sue lettere, dopo aver ascoltato la sua splendida testimonianza al Meeting e mille pensieri affollano la mia mente, nel vedere spunti continui per la mia vita, la mia povera vita di ogni giorno.
E ce n'é uno, in particolare, che mi affascina più di tutti gli altri: quello dell'adesione alla realtà.
Basta un po' di coraggio, anche quando ti sembra che ti manchino le forze, ma lo sforzo di un'obbedienza così, tutti i momenti, é quello che rende la vita valevole d'essere vissuta. Proprio come dice lui in quella lettera : "(...) mi piace pensare che tutto questo bel "casino" che la Provvidenza ha messo in piedi ad Asuncion non esisterebbe se non avessi cercato in tutti i modi di obbedire alla realtà".
Non sembra avere altro modo Dio, di affascinarci al Suo disegno, di rendere partecipe la nostra libertà, se non questo: metterci davanti a qualcosa ed a qualcuno, metterci di fronte la realtà.
Come quella di questi giorni, una crisi che pare aver messo in ginocchio l'occidente, crisi del capitalismo, ma che lascia intravedere, sullo sfondo, una crisi ben più profonda di valori.
L'hanno già preso in giro in molti, ma oggi Benedetto XVI ha detto la cosa più saggia che abbia sentito da molti giorni a questa parte e cioé che il denaro passa e solo la parola di Dio resta.
Ma tant'é, la gente é strana e spesso s'infastidisce a sentirsi dire cose vere.
Anche i miei figli a volte fanno così, quando li sgridi e in cuor loro sanno che hai ragione, ma non lo vogliono ammettere.
Il fatto é che siamo tutti uguali, tutti recalcitranti, sempre pronti a sfuggire la fatica, credendo sempre di saperla più lunga. Ma basta poco, in fondo ed é lo spazio di un istante: ti accorgi che alla fine c'é Uno che é sempre lì, pronto ad aspettarti; Uno - come dice padre Aldo - che ti fa dire che "tutto é più semplice e più bello".


Questa sera, quando l'esame di coscienza della mia giornata s'avvicina, guardare in faccia la realtà e desiderare l'obbedienza al Vero rimane la sfida più affascinante che ci sia.
Obbedire alla realtà, nel condividere gioie e dolori degli amici e di chi ti passa accanto.
Nel dire sì alla circostanza scomoda e inattesa.
Nell'aderire ai successi ottenuti - e magari attesi! - ma solo nel momento in cui ti sei fatto capace di metterli nelle mani di un Altro, perché non sono tuoi: é a Lui che appartengono davvero.
Un sì che é sentir te stesso servo inutile, ma strumento prezioso alla Sua opera.
Un sì nel sentirti - lo volesse il cielo! - stanco alla sera per aver troppo amato...
Un sì, alla fine del giorno, che si fa povero di ogni cosa e si addormenta - felice finalmente - nel sentirsi legato a mille vincoli di gioia, come in quella frase di Tagore che l'amico Factum ha messo in cima al suo blog:

la mia liberazione non é nella rinuncia, 
sento l'abbraccio della libertà in mille vincoli di gioia