Sunday, March 29, 2009

SULLA STRADA, DENTRO UN ABBRACCIO

"il mondo fa il suo viaggio e dentro a questo noi facciamo il nostro, credendo fino in fondo in quello che magari vale davvero di più.  Vi chiedo di salire sulla mia chitarra, di arrivare dentro la mia voce, di suonare e "scrivere" insieme a me.  E' la strada che facciamo insieme, i sorrisi, le lacrime, la forza, l'amore ed i "pezzi di resistenza" che cerchiamo di fermare sotto il nostro cielo, che ci fanno essere vicini in modo speciale."

(Massimo Priviero)




Un tramonto rosso fuoco all'orizzonte e la mia auto che procede via veloce, sulla strada che porta verso casa.
Nel lettore cd un disco scoperto quasi per caso e le note struggenti di una canzone, a rendere quasi surreale l'atmosfera che mi circonda.
La strada del Davai racconta di freddo e neve, di alpini morti lungo una dolorosa ritirata e di prigionieri barbaramente fatti avanzare nel gelo dai soldati russi. E' primavera fuori, mentre quella canzone mi avvolge ed il pallido sole sembra riuscire a scaldare in qualche modo anche il mio freddo cuore, raggiunto dal brivido che é entrato prepotentemente nelle mie vene con la voce di Massimo Priviero.
L'auto d'improvviso rallenta, mentre segue le note ed i ritmi dell'anima, misteriosamente in risonanza con pagine scritte da Bedeschi e da Corti, che in quell'anima erano entrate un giorno,  per non uscirvi più.
E' il mio primo incontro con Priviero, attraverso uno dei suoi migliori lavori, Dolce Resistenza, uscito nel 2006. Anche quel disco entra quel giorno nel mio cuore, senza riuscire più a scapparne via. Incontrato sulla strada e, per quelle strane alchimie che la musica rock é talvolta capace di compiere, fattosi capace d'intrecciarsi con le righe dritte e storte di una giornata qualsiasi di un uomo qualunque, come me.



"La Strada Del Davai" - live al premio Tenco, 2007
A quel primo incontro in musica, col tempo, ne fanno seguito altri, attraverso il paziente ascolto del suo repertorio e la fortuna di una conoscenza personale; spezzoni di vita talvolta raccontati dietro una birra al pub, che colorano di affezione ciò che già avevi percepito come profondo e sincero.
Tratti di esistenze, che s'incrociano ancora una volta sulla strada, là dove tutto sembra partire ed arrivare, attraverso un mutarsi incessante qual é quel continuo divenire che é la storia di ciascuno.
Finché si arriva al concerto di ieri sera al Rolling Stone di Milano, vera e propria festa per celebrare i vent'anni di carriera di Priviero, in contemporanea all'uscita del nuovo disco, che, non a caso s'intitola proprio Sulla strada.
Come il disco, anche il concerto cui abbiamo assistito é stato una straordinaria cavalcata attraverso le migliori canzoni del nostro, da Dolce Resistenza a Nessuna Resa Mai, passando per Fragole A Milano e la nuova Bellitalia. Momenti di rock potente, essenziale ed altrettanto espressivo, alternati a spazi intimi come La Strada Del Davai e Nikolajevka, suonate naturalmente affiancate l'una all'altra ed abbellite dallo splendido lavoro del violinista extraordinaire Michele Gazich.
La voce di Priviero alterna fasi d'intensità struggente ad altre, numerose, in cui la forza ed il colore non sembrano aver subito l'usura della carriera ventennale, anzi appaiono averne decisamente guadagnato. C'è spazio anche per una Mr. Tambourine Man di Bob Dylan, e per una We Shall Overcome finale da brivido.
La band, rodata da tempo, appare sempre all'altezza della situazione, arricchita oltre che dall'ottimo Gazich, anche da un paio di amici saliti per l'occasione sul palco, che portano, con mandolino, flauto e cornamusa elettrica, arricchimenti sonori imprevisti e piacevolmente sorprendenti.



Ritrovo Massimo nel camerino, alla fine del concerto.
Uno sguardo intenso si trasforma in un istante in un abbraccio e dentro quel gesto mi sembra di scorgere il senso più profondo di ciò che abbiamo vissuto questa sera. 
Priviero é sulla strada da sempre, ma il suo faticoso cammino ha forse ora un desiderio più grande dentro sé: quello di trovare un Significato e di poterlo rendere condiviso.
E' per questo che alla sua domanda se é andata bene, rispondo che sì - senza dubbio - é andata bene davvero, perché quello che é passato sul palco é molto di più di una performance rock ben riuscita.
E' qualcosa che ha a che fare con un cuore, quello di un uomo che ci ha fatto "salire sulla sua chitarra" per "arrivare dentro la sua voce" e "suonare e scrivere insieme a lui".
Cuori ed anime che questa sera, ancora una volta, si sono incontrati sulla strada, ma si sono risolti dentro un abbraccio.
"Se il Cielo ci dà forza, faremo una gran bella cosa", mi aveva detto Massimo pochi giorni prima del concerto. Il Cielo é quell'Abbraccio, che ha a cuore la tua storia e la tua strada.
E' per questo che sono tornato a casa felice questa sera, con la certezza di trovarmi fra le mani qualcosa di bello e di vero: quello che stasera é stato costruito insieme.




Nota (mica troppo) a pié di pagina:
menzione d'onore per il bravissimo Francesco D'Acri (il "futuro del rock'n'roll" come lo chiama il mio buon amico Paolo!), che ha fatto da opener al concerto di Priviero. Belle canzoni e splendida performance, con un unico rammarico: é durata troppo poco.
In bocca al lupo, Frank!
http://www.myspace.com/frankdacri

Saturday, March 21, 2009

LET'S STICK TOGETHER

"il paradosso della condizione umana é che l'individualità si realizza solo nella relazione e che il soggetto non esiste al di fuori del riconoscimento reciproco con l'altro da sé"
(Ezio Aceti, psicologo)



Avevi fatto fatica, una stramaledetta fatica ad arrivare quasi in fondo a quella giornata. Ti si leggeva pure in faccia, perché tu sei fatto così, non riesci mai a nascondere nulla e se ne erano accorti tutti, ma proprio tutti, o per lo meno quelli dai quali non eri riuscito a sfuggire.
Ed ora avevi bisogno solo di una cosa: percorrere la strada che portava verso casa.
Così, appena possibile, ti eri scaraventato fuori, eri salito sull'auto ed avevi pigiato il piede sull'acceleratore; fino ad arrivare lì, dove la strada tortuosa s'infilava in mezzo a campi arati e file di pioppi ordinati.
Era allora che avevi finalmente rallentato, fino a fermare la macchina, accostarla lungo la strada sterrata e spegnere il motore. Eri sceso e ti eri messo a camminare, finché le scarpe ed i vestiti ti si erano impolverati, sino a quando il silenzio della campagna, fuori e dentro te, aveva preso il sopravvento, placando finalmente ira e frenesia.
Ti eri messo a guardare gli alberi, come se fossero una cosa nuova, tutti diritti in fila, i rami gli uni vicino agli altri, quasi a tenersi per mano. E un orizzonte in fondo, là dove non vedevi la fine, terso, luminoso, quasi a dare significato al loro stare insieme.
Sulle prime non l'avevi visto, ma poi avevi notato anche quello: l'albero caduto, posto di traverso, disteso proprio in mezzo a tutti gli altri, eppure non escluso da quella strana sensazione d'armonia, che si stava facendo strada a poco a poco nel tuo animo.
Chissà cos'era che l'aveva fatto cadere così; un colpo di vento, una grandinata del mattino, fino a ridurlo in quel modo, coi rami coricati nel canale, quasi ad accarezzare i fusti degli altri alberi, tutti ancora fieramente in piedi, le radici più solide, ben piantate nel terreno.


Lo scontro era stato duro, senza esclusione di colpi.
Posizioni inconciliabili: capivi perfettamente che non sembrava esservi possibilità di una via d'uscita condivisa. Eppure c'erano state quelle parole strane, quegli sguardi e tu capivi che non potevi censurare la realtà, deformarla a tuo piacimento per compiacerti dentro le tue ragioni. Non questa volta, almeno.
Dentro quel litigio - furibondo - lui ti aveva ringraziato per avergli parlato, per essere tornato indietro da lui. Ed alla fine ti aveva pure stretto la mano, in un gesto che ti aveva sorpreso e preso contropiede. Aveva persino avuto parole di stima per la tua fede e per la tua famiglia, eppure tu non gliene avevi mai parlato.
Strane sensazioni crescevano sempre più, inesorabilmente, mentre tu proseguivi a camminare, le scarpe sempre più sporche di terra, il silenzio della campagna sempre più disposto a lasciare spazio al grido dell'anima.


Lo strano titolo di quel disco, poi - chissà perché - continuava a fare capolino di tanto in tanto nella tua mente. Together Through Life - insieme attraverso la vita - che bella frase che aveva pensato Bob Dylan per il suo nuovo disco, in uscita di lì ad un mese; il più bel titolo di sempre - pensavi - mentre ti rendevi conto che quell'uomo ti aveva sorpreso ancora una volta, quando meno te l'aspettavi.
E così, nei tuoi pensieri, ecco di nuovo la tua donna - non che non l'avessi avuta sempre in mente - ma poi quella frase si rimescolava misteriosamente ai pensieri di prima, a quel litigio così strano, al fatto che - accidenti - siamo davvero benedettamente fatti di relazione.
Ed era stato lì che l'animo si era finalmente disteso, che ti sembrava di aver compreso che la relazione non é una modalità di vita, ma l'essenza stessa dell'uomo, ciò che lo definisce più pienamente di qualsiasi altra cosa. Non ci siamo fatti da soli e non siamo stati fatti per essere soli.


Allora e solo allora ti eri deciso ed eri finalmente tornato indietro sui tuoi passi.
Ora sì che c'era un po' di spazio per uno sguardo diverso, dentro e fuori di te.
Una Misericordia più grande, che sempre ti guardava anche quando tu non la vedevi, stava provando a liberarti dall'esito delle vicende della vita. Stava cercando di spiegarti che relazione non é attendere la soddisfazione di ciò che é andato bene, ma credere al senso dell'altro che ti sta davanti, anche dentro il contrasto e l'incomprensione.
Era allora che ti eri ricordato anche di lui, che ti era parso di vedere quell'amico così caro, con gli occhi dell'anima - certo - perché lui non era più tra noi da tanto tempo. Ma la sua lezione tu l'avevi imparata ed oggi era riuscito di nuovo a rivestirti di quell'abito di speranza che ti era stato sempre così a cuore.
Ti aveva insegnato un giorno cos'era relazione e cos'era davvero essere uomo: oggi era una di quelle volte in cui ti pareva d'averlo compreso.
Ripercorrendo a ritroso il cammino verso la tua auto, ti ricordavi - come fosse ieri - le sue parole e le sentivi entrare dentro te, percorrere con un brivido tutte le tue vene.
Ora potevi davvero tornare: avevi ritrovato la strada che porta verso casa.

"la nostra vocazione, cioé il nostro essere figli di Chiara (Chiara Lubich, nda), comporta che noi costruiamo rapporti d'amore, che significa amare colui che mi sta di fronte nell'attimo presente. Questo amore, questo uscire da me stesso, questo farmi uno, questo amare per primo, questo amare senza giudicare, questo amore, comporta una risposta che può essere un rifiuto o un'accettazione. Se é un rifiuto, é la nascita di Gesù Abbandonato, e l'abbraccio di Gesù abbandonato é sempre un Gesù riconosciuto e perché riconosciuto, quel Gesù emana il suo spirito, cioé emana lo Spirito Santo, che raggiunge anche quella persona che rifiuta il nostro amore e lo raggiunge in un modo misterioso che noi non sappiamo, ma lo raggiunge, come raggiunge noi. Se c'é invece un gesto d'accettazione, indipendentemente dal fatto che lui sia o no cristiano, che lui sia o non un credente, indipendentemente da questo fatto, per il semplice fatto che c'è un sorriso o c'è una manifestazione di reciprocità, nasce Gesù perché anche lui ha abbracciato Gesù abbandonato. Cioé in un certo senso anche lui é uscito da se stesso ed é una cellula, é un seme. Se noi questo rapporto lo portiamo avanti, vediamo che genera delle cose meravigliose"

(Domenico Mangano, 1 dicembre 2001)

Tuesday, March 17, 2009

LA COSA PIU' BELLA

Sono nella navicella,
guardo una stella,
ma non è quella,
la cosa più bella.

E’ interessante,
come una fiamma ardente,
illumina il terreno circostante.
Ma ha qualcosa che non va,
non si capisce cosa non ha.

Non c’è vita,
come qui sulla terra,
che è la cosa più bella.

(di Marco Leali, 10 anni)

Tuesday, March 10, 2009

GRAZIE CHIARA




Quando Dio dona un carisma alla sua Chiesa ed all'umanità, fa in modo che esso giunga sino agli estremi confini della terra.
Così il torrente d'amore della vita di Chiara ha riempito rivoli e ruscelli, fino a giungere anche all'arida terra dell'anima mia.
L'ha innaffiata e continua a farlo senza sosta, ogni giorno, perché l'Amore ha fiducia anche nel seme che non vede, quello che d'inverno giace in un campo ricoperto di brina, ma che saprà far germogliare qualcosa, quando finalmente verrà primavera.

Mi sono sentito a lungo inadeguato, pur fedele alla sequela di Chiara e così mi sento anche oggi, nonostante il pezzo di cammino già percorso. Ma proprio Chiara m'insegnò un giorno che l'Unità che Gesù promise ai suoi non era tra coloro che si fossero dimostrati adeguati, ma tra chi si fosse semplicemente unito nel Suo nome.
E' per questo che vado avanti, forte e sicuro dentro l'abbraccio di un popolo che continuamente mi accompagna, certo che la fatica ed il fallimento sono un prezzo già pagato dall'Uomo dei dolori, Colui che - pazzo d'amore per i suoi - é giunto a sentirsi Abbandonato dal Padre.

Così, anche questa sera, nell'incertezza del niente che sono e nella certezza del Tutto che mi sostiene, voglio continuare a seguire senza paura colei che mi ha generato a nuova vita, appassionato d'amore anch'io ad un Dio che ha saputo amarci così.
Finché un giorno - il mio giorno - arriverò al mio incontro col Padre.
E incontrerò di nuovo Chiara e tutti i miei, 
col mio pezzetto di mondo tra le braccia.

"E quale il mio ultimo desiderio ora e per ora? Vorrei che l'Opera di Maria, alla fine dei tempi, quando, compatta, sarà in attesa di apparire davanti a Gesù Abbandonato-risorto, possa ripetergli - facendo sue le parole che sempre mi commuovono del teologo belga Jacques Leclercq: "... il tuo giorno, mio Dio, io verrò verso di Te... Verrò verso di Te, mio Dio ... e con il mio sogno più folle: portarti il mondo fra le braccia". "Padre, che tutti siano uno!"
(Chiara Lubich)


Chiara Lubich
(Trento, 22 gennaio 1920 - Rocca di Papa, 14 marzo 2008)




14 marzo 2009, diretta internet:
Con Chiara - Un dialogo che continua - ore 16-19.30
Al Centro Mariapoli di Castelgandolfo, con la partecipazione di personalità di varie Chiese e del mondo civile, rappresentanti di diverse religioni e delegazioni dai 5 continenti.
Diretta internet a questo link:  HTTP://LIVE.FOCOLARE.ORG/

Monday, March 02, 2009

ME AND MY BROTHER FRANKIE


Ricordo che quando quel mio amico attaccava a suonare e a cantare, l'ammirazione si mescolava inevitabilmente con un po' d'invidia.
Perché il tocco di chitarra era davvero bello e con quella voce, accidenti, sembrava proprio lui, il Boss in persona. E così, in un attimo, era capace di scodellarti lì una Highway Patrolman da brivido, cantata tutta fino in fondo, in un inglese fluido, senza la minima incertezza, quasi che quella canzone l'avesse scritta lui.
E poi, inutile dirlo, tutte le ragazze erano ai suoi piedi cosicché l'invidia si tramutava pure in un po' di rabbia bella e buona.
Ma tant'é, io il Boss dal vivo non l'avevo ancora visto e allora era bello ascoltarlo anche così e non solo dai dischi o da fruscianti e mal registrati bootlegs da strapazzo.

La storia narrata in questa canzone di Springsteen é semplice e naive, vicenda di due fratelli, figli di un'America rurale, lontana da Wall Street e dalla globalizzazione. Stesso sangue ma vite diverse, che, per quegli strani scherzi del destino, fanno sì che uno si trovi dalla parte giusta della strada e l'altro perennemente da quella sbagliata.
Joe che tira dritto tutti i giorni, moglie, figli ed un lavoro onesto, pochi fronzoli e sogni zero; Frankie, invece, sempre nei guai.
La storia la racconta bene Bruce, basta leggere il testo.
Sentirgliela cantare, poi, é meglio ancora:

Il mio nome é Joe Roberts, lavoro per lo stato
Faccio il sergente, fuori Perrineville, palazzine numero 8
Ho sempre fatto un lavoro onesto, il più onesto che ho potuto.
Ho un fratello di nome Frankie e Frankie non é un tipo giusto
da quando si era ragazzi, sempre la stessa storia
La radio chiama, Frankie é nei guai giù in città
Se fosse stato un altro uomo, lo avrei sbattuto dentro
Ma quando é tuo fratello, qualche volta ti giri dall'altra parte

Io e Frankie si rideva e si beveva
Non c'é niente di meglio che essere fratelli di sangue
Facevamo a turno a ballare con Maria
mentre la band cantava "Night Of The Johnstown Flood".
L'ho catturato ogni volta che si é perduto, come ogni fratello deve fare
Un uomo che volta le spalle alla sua famiglia non é uno per bene.

Beh, Frankie si arruolò nel 1965
Io restai a curare la fattoria e sposai Maria
Ma il prezzo del grano cominciò a crollare e sembrava di essere derubati
Frankie tornò a casa nel '68 ed io mi presi questo posto.

Una notte come tante altre, arriva una chiamata ad un quarto alle nove
C'é casino in una roadhouse, sul confine del Michigan
C'è un ragazzo steso per terra, ha un brutto aspetto, perde sangue dalla testa
C'é una ragazza che grida a un tavolo, dicono sia stato Frank.
Beh, l'ho inseguito attraverso le strade della contea
Fino a un cartello: "5 miglia al confine col Canada", diceva
Ho parcheggiato lungo la statale
ed ho guardato le sue luci posteriori sparire




Ermanno Labianca, nel suo "Talk About A Dream", scrive che nella prima strofa di questa canzone c'é già tutto ed in effetti é proprio così, il resto é solo bellezza e pennellate che perfezionano in musica un'opera ed un senso già intuiti.
Ogni volta che sento cantare questa storia, penso a Joe e Frankie come alla stessa persona, nulla di così diverso che li distingua davvero, non certo il ruolo che gli viene assegnato nella vicenda.
E qualche volta penso che siamo Joe e Frankie anche noi, quando facciamo buoni propositi e cadiamo un attimo dopo nelle nostre peggiori contraddizioni.
Quando amiamo gratuitamente e sappiamo poi ferire chi invece ci vuol bene.
Quando ci alziamo già troppo stanchi al mattino, per poi scoprirci stupiti a ritrovare la speranza, dentro qualsiasi piccolo ed inatteso avvenimento della nostra vita.
Noi, dentro la nostra ira e gli scatti d'impazienza, lo sconforto ed il senso d'inadeguatezza; ma anche la voglia e l'entusiasmo di donare la vita - tutta intera - quando scopriamo qualcosa per la quale essa é degna d'essere vissuta.

Perché c'é sempre qualcosa per cui val la pena di ricominciare, sino all'ultima, ennesima volta.
Qualcosa o Qualcuno, laggiù in fondo alla strada, più in là di quel cartello che ti indica il confine.
E' per questo che lo lasci andare, tuo fratello Frankie, e lasci anche a te stesso quell'ultima possibilità.
Di trovare laggiù in fondo Uno più grande di te, pronto ad accoglierti per quello che sei e con il niente che sei riuscito a costruire.
Uno che é Misericordia e che é Perdono
Uno che oggi aspettava proprio te.