Saturday, November 28, 2009

SFIDE


Un minuto a mezzanotte, squilla il telefono. Sto aspettando che mia moglie torni a casa, ma non é lei che sta chiamando. Sul display del cellulare compare "UTIC", unità coronarica: c'é da tornare in ospedale. Dodici ore appena passate là dentro e non é ancora abbastanza. C'é un moto di stizza, ma é la reazione di un istante, qualcosa che per fortuna dura poco. Mi vesto di corsa e dopo poco sono di nuovo fuori sulla strada. "E' una vita rock'n'roll!" dico al collega appena arrivo, il mio sguardo decisamente più assonnato del suo. Ma é un volto che si veste di sorrisi, il nostro, mentre lui é già pronto a partire, per andare ad aprire quella coronaria che si é chiusa, quella che ha portato quella donna fino a qui.
Mentre lui sarà al lavoro in sala di emodinamica, io continuo il mio in ospedale, che qui tempo per fermarsi sembra che non ce ne sia proprio mai. Tornerà dopo un paio d'ore, un lavoro ben riuscito, lo sguardo soddisfatto; é tutto calmo ora, posso tornare indietro anch'io.

Le note di Low Rising sono la colonna sonora ideale, lungo la strada deserta che porta verso casa, una fine nebbiolina umida che bagna di tanto in tanto il parabrezza. Nello stesso istante il collega rimasto in ospedale sta bevendo un té alla macchinetta, quella che entrambi conosciamo bene, quella che ha come sfondo la costellazione delle luci della città. Quattro del mattino e siamo in pista tutti e due, facendoci felici di ciò che accade e dell'essere strumento nelle mani di un Altro, perché un disegno più grande di noi si compia anche dentro la misteriosa circostanza di un dolore.
Ci scambiamo qualche sms: sono cose che vanno condivise queste.

"The road was our school... a goddam impossible way of life", c'é scritto all'interno del vinile di "The Last Waltz", il concerto d'addio di The Band, per il sottoscritto il più grande show di tutti i tempi. Cos'altro é anche questa mia strada, se non questa sfida, la stessa divina e impossibile avventura dell'abbraccio alla realtà, tutta da vivere, passo dopo passo, fino alla fine del viaggio? "Se Dio esiste - scrive un amico francese, diciassette anni come responsabile del dipartimento d'emergenza dell'ospedale di Blois - abita là, nel cuore di quell'uomo". Un paziente "scomodo", di cui lui era stato capace di prendersi cura a dispetto di tutto e di tutti. "E Dio é amore!", aggiunge.
E' tutto dentro qui, niente di più, niente di meno. Si può desiderare di più?


Friday, November 20, 2009

THE RAIN


Una sottile e stringente malinconia continuava ad avvolgere ogni suo pensiero.
Uscì all'aperto ed iniziò a camminare, il passo deciso su quel tappeto di foglie cadute ed ingiallite che ricopriva il marciapiede ed ogni passaggio della mente. Era un autunno strano, questo, ancora caldo, eppure, allo stesso tempo, freddo e raggrinzito come era giusto dovesse essere. Era bello l'autunno, pensava, anche se spesso troppo difficile da sostenere, proprio come la malinconia.
Alzò gli occhi verso il cielo, grigio come sempre, inguaribilmente triste. Cielo scuro e nuvole tetre; nuvole feroci come quelle di cui narrava Claudio, amico di sempre - pensava - eppure mai incontrato prima. Quella sua sua canzone - L'aviatore - gli balenava ogni tanto nella mente ed ora quelle nuvole l'avevano richiamata a sé come d'incanto: "le nuvole della menzogna dicono di essere il cielo, ma sono grigie come l'asfalto e tolgono il respiro; il sole lo vedono solo loro e lo raccontano come gli pare, ma sono nere come la morte e non lasciano respirare".

Le nuvole nere dei sentimenti grigi avevano troppo spesso obnubilato i suoi pensieri, come una cappa di piombo che impediva al suo sguardo di andare poco al di là del proprio naso. Ed ora, come se non bastasse, si era messo pure a piovere, ma in fondo non gl'importava neppure così tanto. Una dolce melodia, anch'essa triste e malinconica, ma in qualche modo differente, aveva ridato all'improvviso brio all'essere del suo cuore. Era un lento risalire, qualcosa che avvertiva incedere a poco a poco, ma inesorabilmente capace di sconfiggere la durezza del suo cuore. Era per quello che la pioggerellina, sempre più fitta, non gli dava più fastidio, neppure ora che solcava ogni ruga del suo volto.
Il cuore, a poco a poco, stava tornando ad essere di carne, capace di nuovo di vedere e respirare.
Ed era solo in quegli istanti che lui era riuscito ad andare oltre la prima strofa di quella canzone. Claudio cantava ancora e mai la sua voce gli era apparsa più sicura. Ora sì che era felice per davvero, anche lui oltre, al di là di quelle nuvole che non erano mai sincere. Volato a vedere un po' più in là, se ne era finalmente compiaciuto: "ma io col mio aereo d'argento ho sfidato le nuvole e, grazie a Dio, ho visto il cielo; e non volevo guardare indietro, non potevo tornare indietro, non volevo tornare".

Era lontano ormai, ma la pioggia, il cielo cupo e il vento non gli facevano più paura.
Ed era proprio là in fondo che aveva incontrato nuovamente lei. Lei che lo aveva sempre accompagnato e sostenuto, che mai si era stancata, in ogni momento, di mostrargli il volto dell'Amore. Si guardarono negli occhi e s'incamminarono di nuovo lungo il viale, mano nella mano, lungo la strada che portava verso casa.
Lei sapeva che l'Amore era stato sempre presente dentro il suo cammino e non si stancava d'insegnarglielo ogni giorno. Lui, ogni tanto faceva finta d'ignorarlo, ma quel giorno non era stato in grado di sfuggire alla bellezza.
Bellezza che aveva incrociato i loro destini un giorno e per sempre.
Bellezza con inscritto dentro di sé un Disegno che ha le sembianze di un volto.
Il volto buono del Mistero fattosi carne per amore.

Thursday, November 19, 2009

RAINY DAY WOMAN

" ‘Cause I heard Jesus, He drank wine
And I bet we’d get along just fine
He could calm a storm and heal the blind
And I bet He’d understand a heart like mine.
Oh yes, He would"
(Miranda Lambert, Heart Like Mine)



Ancora nuvoloni, cieli grigi e giorni di pioggia un giorno sì e un giorno no in quest'affascinante terra che é la pianura padana. Datemi un po' di mare, o almeno un po' di sole per favore. E poi, accidenti, sono pure metereopatico e questo non aiuta.
Allora, almeno, datemi del country, che di quello non riesco a stare senza troppo a lungo e se é country mescolato al rock ancora meglio. Che poi, come se non bastasse, non mi sono ancora ripreso dall'ascolto dei Blue Ridge Rangers di ritorno, l'ultima "fatica" di John Fogerty, che fatica lo é stata per davvero, almeno per me, al punto che, neanche arrivato a metà disco, mi ci sono voluti due ascolti consecutivi di Grievous Angel di Gram Parsons per ritirarmi su. E no, accidenti, non si maltratta il genere così, davvero non si fa. Ma dovevo aspettarmelo da un album dove il buon John, a corto d'idee, invita pure gli Eagles Don Henley e Thimoty B. Schmidt a dividere la partita in sala d'incisione. Com'é che diceva quello là, Drugo, il tizio del Grande Lebowsky? "butta via quella m.. e metti su i Creedence!"...

I Creedence, appunto, sarebbe molto meglio. Ma nel frattempo ho bisogno d'altro, che non si può mica vivere solo di ristampe. E così ecco un dischetto nuovo nuovo, fatto da Miranda Lambert, venticinquenne di belle speranze, peraltro giunta già al terzo album in carriera. Belle come bella é la copertina, perché, lo ammetto, mi ci sono fermato per un po'. D'altra parte anche in libreria si fa così: ci si fa attrarre da titoli, colori e geometrie, ma poi ci si mette pure a leggere, sennò in libreria cosa ci sei andato a fare, allora te ne vai a una mostra di quadri o di fotografia.
Comunque Miranda sarà pure - commenteranno i più maligni - più bella che brava, ma questo disco non é mica solo Nashville, pedal steel guitar e niente testa, tant'é che, arrivato al terzo giro, mi son messo ad ascoltare le canzoni. Ballatone country ariose, mescolate a poderose virate rock'n'roll, con in mezzo pure un po' di deriva verso qualcosa che sa di punk; il tutto sufficiente, insomma, a spazzar via il maltempo dall'orizzonte della mia giornata. Le liriche? Beh, quelle sono così così, anche se Heart Like Mine mi ha fatto fermare qualche istante, non fosse altro perché richiama al fatto che un cuore, per essere ascoltato veramente, ha bisogno di rivolgere lo sguardo verso un Altrove. Questi testi, comunque, sanno di onestà, tant'é che Miranda stessa ci racconta che non tornerebbe indietro di una riga su ciò che ha scritto, perché é tutto parte di ciò che é lei. "If you're into honesty, I have the records for you", dice ridendo e allora prendiamocelo su, questo disco, che poi la ragazza ha solo 25 anni e si farà.

OK, tutto qua, lasciatemi ascoltare queste canzoni e stay tuned, se ne avete voglia.
Prossima fermata del mio country train: le forze naturali di Lyle Lovett; dicono che sia un bel disco, superiore a quello di John Fogerty e probabilmente anche a quello di Miranda. Lui, Lyle, é molto più brutto, però...


Sunday, November 15, 2009

BEING THERE


"I'm trying to break your heart", canta Jeff Tweedy e la platea milanese ha un sussulto, il primo vero sussulto della serata. Una platea che ha gremito ogni ordine di posti per il ritorno in Italia degli Wilco, uno show sold out da mesi, atteso ormai da troppo tempo. Il cuore, Tweedy e soci, nuovi heartbreakers del terzo millennio, lo spezzeranno in realtà di lì a poco, con un'appassionata versione di California Stars di Woody Guthrie. Il cuore pulsante dell'America delle radici e delle tradizioni é già tutto lì, contenuto in quella canzone e nell'alchimia di voce e suoni che trasformano d'incanto via del Conservatorio in Mermaid Avenue.
Per quanto mi riguarda, potrebbe bastare già così, ma per fortuna questo é un concerto degli Wilco e c'é molto, ma molto di più.
Paolo Vites definisce cosmic music il prodotto musicale della band e non si potrebbe trovare definizione migliore. Come descrivere altrimenti il piacevole smarrimento generato dall'impatto sonoro complessivo, quando i musicisti si muovono sui terreni inesplorati della distorsione di chitarre e tastiere, svolti sul tappeto ritmico incessante e martellante generato da quel folletto al basso di John Stirratt e da quel gigante di virtusosismo e muscoli alla batteria che corrisponde al nome di Glenn Kotche? Sono i momenti in cui l'eclettico e geniale Nels Cline sfodera dalle sue chitarre i suoni più improbabili, muovendosi sul palco come fosse stato morso da una tarantola; ma sono anche i momenti in cui l'acustica di Tweedy e la sua voce riemergono improvvisamente, facendo insperatamente e magicamente ripiombare l'ascoltatore in atmosfere intime ed intense raramente sperimentate altrove.
Due ore e mezza di grande musica, in cui puoi trovare tutto ciò che hai sempre desiderato. E' Bob Dylan, é Woody Guthrie, sono i Pink Floyd, oppure gli Stones. No, sono gli Wilco invece, unici e inimitabili, la più grande rock band americana che ci sia in circolazione.
Mi porto a casa immagini e suoni. L'etereo assolo di chitarra di Cline su Impossible Germany, la magia di Via Chicago, il crescendo di wall of sound su Handshake Drugs. E poi Jeff Tweedy, gambe larghe, la cassa della chitarra acustica abbracciata, il manico un po' in giù, ma sì, dai, proprio come faceva lui: Bob Dylan nei sessanta.
Dovessi rubare il lavoro agli amici dell'Armadillo Bar, metterei uno champagne in abbinamento a questo show. Marca e annata? Fate voi. Basta che sia di quello buono. Quale sia il futuro del rock'n'roll, io davvero non lo so. Ma ho voglia di brindare al presente. E il presente si chiama Wilco.


Friday, November 06, 2009

IT'S ALL GOOD

"I don't give a shit who plays bass"
(Bob Dylan a Kenny Aaronson, 1989)


Un giorno, quando il Never Ending Tour sarà finito, spero che scriva le sue Chronicles anche lui. L'uomo inossidabile, sempre tranquillo e sorridente al fianco di Bob Dylan da vent'anni a questa parte, da quando cioé sostituì al basso Kenny Aaronson, costretto a lasciargli il posto nella band per intraprendere la battaglia, fortunatamente vinta, con un melanoma. Tony Garnier, qualche giorno fa a Chicago, in una sera di Halloween in cui a Dylan dev'essere venuta in mente la sua performance di mille anni fa a Philadelphia (1), non se l'é sentita di stare al gioco col maestro in vena di scherzi, che ha tentato di fargli imitare Willie Nelson sul palco, dopo essere riuscito nell'intento con quella statua di sale di Stu Kimball, presentato come fosse Tom Waits e che poco c'é mancato che Tom Waits sembrasse sul serio. Stu aveva sfoderato una bella voce blues, cantando il primo verso di Jesus Gonna Be Here, prima di tornare diligentemente al suo posto, là in fondo, a fare lavoro di tappeto ritmico, con quella chitarra senza lode e senza infamia in mano. Ma Tony no, lui non se l'é sentita ed ha continuato come sempre a far da sfondo a Bob, lui che ha visto musicisti di ogni tipo girargli incontro, lui che, probabilmente, conosce Dylan meglio di chiunque altro e che proprio per questo non ne parla mai con nessuno.
Chi, invece, sa stare al suo posto, ma, allo stesso tempo, si fa capace di stuzzicare senza pari il bardo, é quel fenomeno di Charlie Sexton, che, oltre ad aver fatto finalmente comparire una chitarra nello show, sta facendo ritrovare a Dylan energie, umorismo e desiderio che sembravano assopiti per sempre, senza possibilità di recupero alcuna.


Qualche giorno fa, le note del concerto di Chicago fuoriuscivano allegramente dal mio stereo, a fronte di una giornata che allegra non sembrava essere stata proprio per nulla. Ci sono giorni in cui ti sei impegnato a fondo nel fare la tua parte: amare il prossimo, piangere con chi piange, ridere con chi ride; l'hai fatto al punto tale che, lo sguardo calato ogni momento dentro ciò che accade, giunto alla fine della giornata ti sembra d'aver perduto l'amore che hai donato e di provare solo stanchezza, quasi fosse polvere accumulata su di te, polvere che offusca la visuale, toglie il senso a ciò che hai fatto e stai facendo, appesantendoti e facendoti smarrire. Ma ci sono giorni - tanti, troppi - in cui non riesci affatto ed il tuo fare é uno sfuggire, un trascinarsi stancamente, una tristezza di fondo dalla quale sembra sia quasi impossibile uscire.
Forgetful Heart, messa lì dentro quel concerto, ti coglie e ti spiazza all'improvviso, in un momento così, al ritorno dal lavoro, in cui l'orizzonte del tuo sguardo sembra non andare più in là di quei pochi metri che separano il muso dell'auto dal pezzo di strada che riesce a intravedere là davanti. La voce di Dylan ti prende di sorpresa, intonata e appassionata come non mai, su un tappeto sonoro lento, discreto ed avvolgente, che inesorabilmente si fa spazio un po' alla volta, in mezzo a pensieri così densi che nemmeno una furibonda Highway 61, cantata di lì appresso, sarebbe riuscita in qualche modo a spazzar via.
Quella canzone, che parla di cuori perduti e smemorati ("forgetful heart / lost your power of recall / every little detail / you don't remember at all"), é la tua canzone, canta i versi del tuo cuore. Perché tutto questo é quello che sei tu, nel tuo giudicare la realtà condizionato dai fantasmi della mente, dalle emozioni che hai provato e dall'esito delle vicende che hai vissuto, successi e fallimenti che, come diceva quello là, in fondo non sono altro che maledetti impostori.
No, non é l'esito ciò che ti definisce, ma un cuore che recuperi la memoria del proprio desiderio. Un cuore appassionato, che sappia leggere, dentro le vicende del momento, l'agire di un Altro che lega le cose tra di loro con un filo rosso che sa di Destino buono.
E' in quell'istante - quando la percezione di ciò che é l'Amore riesce a farsi strada nuovamente - che quella stessa strada si allarga all'improvviso e, scossa la polvere di dosso, fa sì che lo sguardo riesca a vedere ogni cosa da vicino e da lontano. "It's all good", canta Bob Dylan, ed é tutto buono, tutto davvero, senza che nulla, ma proprio nulla, debba essere censurato dalla tua giornata.
Quando sei arrivato in fondo, ed il cammino é giunto sino a casa, ti accorgi che anche oggi un Altro si é fatto largo per misericordia dentro la tua vita, attraverso la canzone di un amico.
Vecchio disgraziato di un Bob Dylan, che ci volevi proprio tu, questa sera, a fare da strumento per ridestarmi dal mio solito e inguaribile torpore.



Note :
(1) "I have my Bob Dylan mask on, I'm masquerading," Bob Dylan, Philarmonic Hall, Philadelphia, "The Halloween Concert", 31 ottobre 1964.

Sunday, November 01, 2009

CERTE NOTTI




Tre del mattino, fermo davanti alla macchinetta del caffé. Guardo le luci della città, sembra una gigantesca costellazione. La vista da quassù é fantastica. Il decimo piano dell'ospedale é un osservatorio in mezzo alla pianura: ci sono delle volte, di giorno, che vedi tutte le montagne, dalla Marmolada fino al Monviso. Ma a quest'ora é ancora più stupendo e suggestivo.
Il paziente che ho messo a letto, più di un'ora fa, ora sembra stare meglio. Il dolore é passato ed il respiro, sotto quella mascherina, non é più affannoso come prima. Tutto sembra più tranquillo, anche qua come là fuori, qui dentro dove il giorno é uguale alla notte, la domenica uguale al lunedì, la sofferenza che bussa alla porta ogni momento, che interroga incessantemente il cuore di chi é malato e di chi assiste, se solo quel cuore lasci che lo interroghi qualcosa.
Certo che é davvero una vita rock'n'roll, questa. Tre del mattino e ti prendi un caffé mentre continui a guardare fuori. Peccato che la macchinetta non distribuisca una birretta, ci starebbe proprio bene. Ma no, che dici, sto scherzando, che in servizio non si può; la birretta me la faccio domani sera a casa, se riesco a non crollare prima sul divano, che come si fa, a quasi cinquant'anni, a continuare a fare una vita così.

E invece sì che si può, continui a pensare mentre guardi fuori, uno sguardo anche al cicalino che tra un pò si rimetterà a suonare, perché quando mai ti lasciano tranquillo un tempo che sia sufficientemente lungo in questo posto. Si può perché é una sfida e a me le sfide mi fanno sentir vivo, a dispetto di una fragilità sempre più sperimentata, apparentemente più intensa giorno dopo giorno.
Vivo nella misura in cui, davanti al prossimo paziente che mi arriverà innanzi, avrò il coraggio di chiedermi una volta ancora "chi sono io", un desiderio mai sopito di educarmi al bene, perché solo così, se sono capace di rompere le palle senza tregua all'uomo vecchio dentro me (1), posso provare a rispondere alla sua domanda, il "se vuoi mi puoi curare" che oggi l'ha portato fino a qui.
E' ancora notte, notte fonda, ma l'alba si farà strada a poco a poco, l'alba del primo giorno di novembre, il giorno di Ognissanti. Qui dentro di santi se ne incontrano parecchi, da uno a tre per ogni stanza, l'ultimo é quello che ho messo a letto poco fa. Santi perché stanno passando dentro sofferenza e redenzione, anche se a quella, la redenzione, non ci credono come tanta altra gente là fuori, quella che sta bene. Eppure ne hanno bisogno, come ne ho bisogno anch'io, pure adesso che, mentre li curo - volesse il cielo, invece, che fossi capace di prendermene cura, che é tutta un'altra cosa - non faccio altro che fare compagnia alla loro strada.

Stamattina, quando smonto da questa notte lungo le torri di guardia, me ne torno a casa e, con la famiglia, faccio il giro dei cimiteri. Perché il giorno di Ognissanti, guarda un po', é attaccato a quello dei defunti e se ci pensi bene non é un caso, é un filo rosso che lega le cose tra di loro e che ha a che fare col Destino, un Destino buono che sa di eternità.
Vado con mia moglie e con i figli, é una cosa che, tutto sommato, piace ancora anche a loro. Perché non é mica una faccenda triste, questa, c'entra con il bene che prosegue, con l'amore che non muore.
Amore che non muore, amore che sa di carità: "Nessuno é perduto di quelli che entrano in Dio: ché, se qualcosa vale realmente nel fratello che ora ha "la vita mutata, ma non tolta", questa é la carità. Sì, perché tutto passa. Passano persino, con la scena di questo mondo, la fede e la speranza. La carità resta" (Chiara Lubich).

Quel cicalino che non sta mai zitto, ha ripreso a suonare di nuovo. In altri momenti mi avrebbe dato fastidio, ma questa notte no. Certe notti cogli meglio il senso delle cose, non perché tu le capisca meglio, ma perché c'é Qualcuno sempre pronto a dare le risposte a chi non smette mai di domandare, anche quando la voglia di farlo non ce l'ha.
La domanda del "chi sono io?" troverà forse risposta di fronte al prossimo paziente che verrà, quello che ha fatto scattare ancora questo benedetto cicalino.
Vado a vedere, sono curioso: non é mica una notte qualunque, questa.

Note
(1) "Non mentitevi gli uni gli altri. Vi siete infatti spogliati dell'uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore. Qui non c'è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti." (San Paolo, lettera ai Colossesi)