Sunday, March 27, 2011

SOLO UNA CANZONE


Quoi que tu fasses, je ne sais pas / ce que ça remplace / et derrière nous / c’est encore à l’ombre / faut-il encore qu’on raconte / que quelques chose nous revienne / faut-il qu’on soit seul sur terre, ici aussi

Boire pour la soif, je ne sais pas / ce qui de nous deux restera / tu dis mais je ne regarde pas / je n’ai jamais vu la mer / mais j’en ai vu des noyés / comment fais-tu pour oublier, pour oublier / et la pluie qui revient dans nos voix / pas une chanson, je ne pense à toi / dans ce monde inhabitable / il vaut mieux danser sur les tables / à Port Coton qu’on se revoit, qu’on se revoit

Et quoi que je fasse, / je ne sais pas ce que ça remplace / et derrière nous / c’est encore à l’ombre / aller auprès des phares / et la vie est sans fard / à Port Coton qu’on se revoit / dans ce monde inhabitable / il vaut mieux danser sur les tables / à Port Coton qu’on se revoit, qu’on se revoit
(Port Coton / Raphael - Zaz )



Port Coton é un angolo dell'isolabella, la Belle Ile del sud della Bretagna, anfratto di rocce, spiaggia mai quieta, frustate di vento e di mare stregato. Clemenza del tempo albergata altrove, acqua che ribolle, come la lava adirata di un vulcano. Onde e spruzzi per un ricamo d'ovatta biancastra, affascinante e terribile allo stesso tempo. Terra di Merlino abbandonata dai viaggiatori, un faro d'inverno, solo in balia del freddo e delle correnti dell'oceano.

Port Coton é una canzone. Che parla di mare e di gente che non l'ha mai visto. Ma che ha visto un sacco di annegati. O ha fatto finta di non vederli. Giovani europei di un tempo, gente dell'ovest a cui la guerra é stata solo raccontata, da libri dalle pagine ingiallite o labbra di reduci vecchi e noiosi, che ormai sembrano non interessare più nessuno. Eppure la guerra é sempre lì, ad un passo, i suoi padroni vivi e vegeti, come sempre. Vissuta lungo i confini del sud o dell'est. Vista dentro occhi di ragazze, sguardi spauriti di giovani madri resi vuoti dal troppo dolore che gli é passato dentro.

Port Coton é una canzone. Che parla della speranza che rischia di morire dentro noi. Una morte fatta di abitudine, d'indifferenza, d'egoismo che é la pasta di cui siamo fatti, dalla pelle fin giù nel profondo, dentro al midollo. Di occhiate rivolte di fianco, o verso il basso, o - ancora peggio - ripiegate su se stesse, al di dentro, come se quegli occhi che ci furono donati un giorno non fossero stati fatti dritti, posti sul capo per guardare avanti, tesi verso quel prossimo che é lo specchio della nostra stessa vita.
Port Coton é la mia meschinità. Luogo di desiderio e di contraddizione. Il Bello e il Vero non accolti. L'umile e l'indifeso mai abbracciati abbastanza.


Port Coton é una canzone. Cantata da una donna, voce roca e voce dolce, voce talvolta disperata.
Port Coton é una canzone che accompagna la mia strada, che mi porta dove devo andare. E' uno sguardo verso l'alto, é una preghiera. Certezza che dopo la burrasca e il vento - le onde che turbano la mente, lungo il percorso di pensieri, parole, atti ed omissioni - c'é sempre un sereno che ritorna, sole mai tramontato per sempre all'orizzonte. Alba che porterà bonaccia dopo la galleria oscura di una una notte buia e senza stelle.

Port Coton é la musica del cuore, che cresce giorno dopo giorno, che ringiovanisce mano a mano che invecchia il corpo, che la polvere si accumula, che i peccati riempono sempre più l'anfora di una Misericordia che si fa più grande a mano a mano che passa il tempo.
Port Coton, in fondo, é solo una canzone. Ma é anche il luogo dove la mia burrasca trova finalmente pace. La sconfitta definitiva di ogni inquietudine e tempesta. Il sì detto ad un Altro, dentro l'unico grande dono che mi rimane in mano. Quello della mia libertà.


Wednesday, March 16, 2011

METTI UNA SERA A MILANO



"E adesso si mette pure a piovere....": provo a protestare un po', ma mia figlia mi richiama subito all'ordine: "E cosa vuoi che sia, papi, di fronte a quello che ha patito Gesù...".
E no, che non si fa così, cara la mia Chiara. Proprio no.
E sì che sono stato pure bravo: una giornata dura di lavoro in ospedale, poi alle 18 puntuale in parrocchia per la messa con gli amici focolarini, un'oretta giusta giusta per cenare e sistemare la cucina... e alle 20 tutta la famiglia davanti alla chiesa, in partenza per la via crucis cittadina con l'arcivescovo, dietro alla croce di San Carlo. E allora avrò pur diritto di dire qualcosa... e invece no: mia figlia mi richiama subito all'essenziale.
Che poi non piove. Eh già. Lo dovevo sapere che é sempre così, in fondo. Dio non si lascia mai battere in generosità.
E così, tant'é: tutti e 5 dietro alla croce di San Carlo ed alla reliquia del Santo Chiodo: io, mia moglie ed i nostri tre figli: Chiara di 15 anni, Marco di 12 ed Andrea di 8. Ed oltretutto resistono che é un piacere, fino alla fine della processione. Due ore e mezza secche, compresa l'omelia del nostro amato cardinale. Che, alla fine, sono pure allegri e brillanti: quasi mezzanotte sul tram, al ritorno verso casa, e si fa pure fatica a tenerli fermi.

Comunque, l'altra sera, é stato proprio bello.
Camminare lentamente, pregare dietro alle splendide meditazioni ed a quella croce, ricentrare tutto su quella Misericordia dove riesco sempre a deporre, alla sera, la durezza del mio cuore.
Guardavo la magia notturna della nostra città, le guglie del Duomo, quelle vie illuminate dalla fede che le camminava dentro. Lo sguardo, tra una preghiera e l'altra si posava ora su quella bellezza, ora sui volti che riempivano le vie. Tanti giovani, ma anche alcune persone anziane, coppie di sposi e fidanzati, preti e suore, gente di ogni ceto ed ogni età.
Poi, dentro alla cattedrale, il calore e la solennità allo stesso tempo. L'amore mai sopito per l'arte gotica, ricordi - magici e indelebili - di messe benedettine all'abbazia di Mont Saint Michel o di Sénanque o, più moderne, a Chiaravalle, insieme alle scuole dei miei figli. La sensazione, al fondo, di una Bellezza che si fa strada, l'unica capace ancora di rapire il cuore ferito dell'uomo moderno.
Poi mi é venuta in mente quella meditazione di Chiara Lubich: "Risurrezione di Roma", e tutto si é rivestito di nuova luce, cosicché Milano, così attraente quella sera, ha acquistato, come d'incanto, un fascino più intenso e più vero:
"(...) cosicché, riaprendo gli occhi sul di fuori, vedo l'umanità con l'occhio di Dio, che tutto crede perché é Amore. Vedo e scopro la mia stessa Luce negli altri, la Realtà vera di me, il mio vero io negli altri e, ritrovata me stessa, mi riunisco a me risuscitandomi - Amore che é Vita - nel fratello" (scritto del 29 ottobre 1949)

Ci voleva una serata a Milano, con la mia famiglia, un po' di amici e la croce di San Carlo, per ritrovare di nuovo la Bellezza dietro alla quale questo disgraziato d'uomo vecchio non vuole mai saperne di andare. Ma non é una novità, la povertà della mia fede.
Lo é sempre, invece, vedere una comunità che, giorno dopo giorno, é capace di cambiare un pezzetto del mio cuore.
E' di questo che sono profondamente grato.
All'Amore che ho incontrato un giorno.


Sunday, March 13, 2011

IL SEGRETO DI CHIARA


Chiara Lubich (22 gennaio 1920 - 14 marzo 2008)

Ho visto una sola volta Chiara da vicino. Ricordo che mi ero precipitato giù, lungo la scala che lei avrebbe disceso, per arrivare tra i primi vicino alla sua macchina. Era venuta ad un incontro a cui partecipavo anch'io, più di un migliaio di persone, sapete quelle cose che chiamano ritiri e che, volta dopo volta, cambiano un pezzo del tuo cuore anche quando sembra troppo duro. Che poi certi passaggi forti di quei momenti - i ritiri, appunto - io me li ricordo anche nei luoghi più improbabili. Come quando ti trovi in cucina, ad esempio, a mettere in una gigantesca lavastoviglie i piatti di quelle centinaia di persone che hanno appena finito di cenare. E magari a farti spiegare come si fa da una focolarina giovane e sorridente con un inconfondibile accento del Sud America o di un paese africano che non ti ricordi neanche dove si trova. Ho sempre pensato che la strana felicità provata in quegli istanti - che alla fine del lavoro sei puro unto fino alle orecchie, stanco morto e sogni una birra fresca anche in gennaio - avesse in sé qualcosa di profondamente soprannaturale.
Tant'é, comunque, quel giorno mi trovai davvero vicino a Chiara, solo che ero dalla parte sbagliata della macchina, opposta a quella dalla quale sarebbe poi salita. Così non riuscii a salutarla ed a stringerle la mano. Ma ero comunque ad un passo da lei. E mi ricordo il silenzio intorno e certi sguardi come una delle cose più sacre della mia vita. C'erano decine di persone vicino a quell'auto ed ogni mezzo metro c'era una mano che stringeva quella di Chiara. Lei avanzava lentamente, qualche istante per ciascuna di quelle mani e di quei volti che volevano salutarla, dirle che le volevano bene, farle capire quanto era stata madre per ciascuno. Lo sguardo di Chiara era impressionante. Profondo, sorridente e penetrante. Una penetranza d'amore, come se quella persona che lei aveva davanti a sé, fosse stata l'unica presente in quel momento e nella sua vita. La stessa intensità distribuita ad ognuno, prima di salire in macchina e salutare poi tutti insieme con la mano dal finestrino. Uno sguardo che ho portato dentro per anni e che mi trovo addosso ancora adesso, perché ha fatto scuola nel mio cuore.
Mi ha fatto capire cosa significhi amare la persona che la circostanza della vita ti mette davanti nell'attimo presente. Quello che hai di fronte, in quell'istante. E in quell'istante solo lui. Sia tua moglie o tuo figlio, il collega o il tuo capo. O il passante che incrocia la tua strada. Stessa intensità per ciascuno. Stessa dose d'amore.

* * *

Rocca di Papa é un delizioso paesino dei Castelli Romani, adagiato sulle alte sponde del lago di Albano. Ci fanno dell'ottimo vino, da quelle parti e si mangia pure bene, non solo porchetta e scottadito. Rocca di Papa é anche il cuore pulsante del Movimento dei Focolari. Lì c'é la casa di Chiara e la sua tomba, posta in una cappella all'interno del Centro Mariapoli. Chi si trovasse da quelle parti, non avrà difficoltà a passare dentro per un saluto o una preghiera: la porta del Centro é sempre aperta per chiunque. L'ho fatto un po' di volte anch'io, a volte senza sapere neppure cosa chiedere o cosa dire, ma solo per mettere il mio cuore davanti al suo e lasciare che sul nulla d'amore di entrambi quei cuori potesse nascere qualcosa di nuovo e di grande. Quest'inverno, poi, sono stato anche a visitare la sua casa. Anche da lì passano ogni anno migliaia e migliaia di persone, ma non é un museo, quello che vi si trova. Dentro, ad accogliere ciascuno, ci sono le focolarine che stavano con Chiara e che sono ancora lì, vivendo la normalità della quotidianità e dei loro incarichi di ogni giorno. Ho attraversato, insieme a decine e decine di altri amici, il salottino e lo studio dove ogni giorno lavorava, la cappellina che comunicava direttamente con lo studio, centro della casa, la stanza da letto dove é morta alle due del mattino del 14 marzo, dopo aver salutato e stretto le mani, l'ultimo giorno della sua vita terrena, delle centinaia di persone giunte a porgerle l'ultimo saluto.
Non mi ricordo cosa mi sia passato per la mente, passando da una stanza all'altra, scambiando qualche parole con le compagne di Chiara, facendomi raccontare di quell'aria di paradiso che si é respirata per anni in quella casa. Ma ricordo una sensazione di bellezza, una volta uscito da lì, bellezza come unica cosa capace ancora di rapire il mio cuore, ferito tropo spesso dalla sua stessa durezza.

* * *

Se dovessi portare via con me una sola cosa come la più preziosa di Chiara, quella che più me la fa sentir madre ogni giorno, forse prenderei una frase ed uno sguardo. La frase é la risposta che lei diede all'ultima domanda di un'intervista che Flaminia Morandi le fece nel 1997 per l'emittente Sat2000. Lo sguardo é quell'istante di silenzio, che precedette la risposta, come a dire, sì, questa é davvero la chiave che apre ogni porta.
"C'è un segreto, un segreto che lei pensa che sia alla base di tutto questo?", le aveva chiesto la Morandi. "Amare", aveva risposto Chiara. E poi, dopo una pausa lunga ed intensa come di chi sta per darti in mano la cosa più importante che possiede: "Dio é amore. Amare é tutto".

(L'intervista con Flaminia Morandi, sulla rete, non l'ho trovata. Ma anche questa con Sandra Hoggett non é niente male....)


Sunday, March 06, 2011

WHAT CAN YOU DO FOR ME


There’s just one thing

I want to ask you to do
Be gentle with this heart
That now belongs to you
And it will pay you back in kind
Anything that you desire, I don’t mind
What can I,
What can I do for you
What can I,
Do for you
What can I do
(John Popper - What Can I Do For You)




Sto rischiando grosso di diventar noioso. Sempre in ballo con questa faccenda del cuore.
Ma oggi é tutto il giorno che mi ronza in testa una canzone, che di titolo fa What Can I Do For You e di autore fa John Popper, appena uscito con un nuovo disco che suona che é davvero un gran piacere. Tutto il giorno che ci penso e tutto il giorno che non riesco a darmi pace, perché "cosa posso fare per te", é una bella domanda, in fondo, qualcosa che sottende ricerca e significato, uno scopo, una tensione; insomma il motivo per cui, quando sei sceso dal letto alla mattina, i tuoi piedi cominciano a percepire il gusto di correre dietro a quelle strane e scomode circostanze che qualcuno chiama vita quotidiana.
Va bene, sono confuso e contorto, in ciò che scrivo e spesso pure in ciò che penso, ma quella domanda, dicevo, continuava a girarmi intorno ed aveva pur bisogno di risposta, prima o poi; così io, oggi, non ho smesso d'andare in giro, certo che primo o poi l'avrei trovata. E c'é voluta, un'altra volta ancora, una voce e una chitarra.
La voce, quella di Riro Maniscalco. La chitarra, la sua e quella di un manipolo di amici, chiamati a condividere con lui il palco, in una sera, per una manciata di canzoni, alcune tratte dal suo splendido disco "Sketches of You", altre, invece, non sue, ma non meno vissute e trascinanti.
Del suo disco non parlerò qui, l'ha già fatto l'amico Paolo Vites sul suo blog, anche fin troppo bene. Ma Riro, questa notte, mi ha forse dato la risposta che cercavo. Si é fermato - a un certo punto - ed ha tirato fuori tutto l'amore per il blues del Delta che ha sempre contraddistinto la sua vita: "Il blues é il desiderio di un bene assente" - ha detto - ed é stato lì che mi é parso di capire. Perché il bene non é mai abbastanza, ne abbiamo un bisogno incessante, che si fa strada tanto più quanto si manifesta, giorno per giorno, la nostra debolezza.
Ecco perché il cuore c'entra anche questa notte, e quel desiderio diventa la risposta che ho cercato tutto il giorno. "Cosa posso fare per te" é desiderio che diventa corrispondenza. Corrispondenza di fronte alle mani di tutti i destini che incontro, istante dopo istante, lungo le strade di tutte le mie giornate. Non faccio altro che andare incontro a un "tu", ogni momento, ha detto ancora Riro - tanti tu con la "t" minuscola; ma dietro a quei tu c'é un "Tu" con la t maiuscola che dà senso a tutto il nostro agire.
Quel che posso fare é tutto qui: corrispondere a quel Tu, che mi ha già dato ciò di cui ho bisogno. Ho visto cose grandi, quelle che Tu puoi fare per me e cos'altro potrei fare se non rispondere all'amore con l'amore. E corrispondere, al fondo, non é poi così complicato come parrebbe a prima vista: é una faccenda semplice, invece.
Basta lasciare che il cuore torni dove é sempre stato di casa.




Post Scriptum
Riro Maniscalco scrive anche degli ottimi libri, io, per esempio, ne avevo già parlato qui.
Ma trovate tutto sul suo sito '
blues and mercy'

Wednesday, March 02, 2011

LE LONG DE LA ROUTE

Prenons-nous la main

Le long de la route
Choisissons nos destins
Sans plus aucun doute
J'ai foi et ce n'est rien
Qu'une question d'écoute
D'ouvrir grand nos petites mains
Coûte que coûte

Sono stufo di svegliarmi così. Troppo stanco, già dal mattino. E poi 'sto cielo grigio e il mare che é sempre troppo lontano. Non sei fatta per me, Padania mia. E non son fatti per me quei volti che incontrerò anche stamani, che ce l'han sempre su col mondo intero, che guarda quello lì cos'é che ha fatto e guarda quello là, che non ha fatto mai abbastanza.
No, non si riesce a tirar sera in questo modo, c'é bisogno di qualcosa, un supplemento d'amore, forse. Ma anche quel qualcosa non sembra mai abbastanza. E allora ci fosse almeno un po' di sole, lungo questa strada triste e sempre uguale.

E invece sì, che é bastato poco. E' bastato lo sguardo di un amico. L'ho incontrato presto, sette e mezza del mattino, una messa nelle aule di scuola coi miei figli delle medie e del liceo. Quell'amico era vestito da prete e m'ha fatto uno scherzo. Da prete. M'ha detto, mentre dormivo ancora, di guardare a un cuore e m'ha detto che quel cuore é il centro di tutto quel che sono.
E m'ha fregato, porca miseria, perché, puntato lo sguardo sul cuore, quello poi s'é posato anche sull'anima e dentro di lei ha ritrovato il desiderio, che pareva irrimediabilmente ormai perduto. Desiderio di vivere una giornata diversa, nonostante il cielo ed i pensieri troppo grigi. Desiderio ricentrato sull'aiuto di un Amico.

Uscito da lì il miracolo era già compiuto, anche se io dormivo ancora un poco. Ma ho visto la mia Highway 61 rivestirsi, come d'incanto, dei colori illuminati dal sole di un giorno terso senza nuvole. Poi, quando mi sono svegliato, ho cominciato a stringere la mano di un sacco di destini. Ed il mio, di destino, ha riabbracciato da solo la sua strada.
E, alla fine, dopo un giorno d'ascolto tutto intero, mi sono trovato, alla sera, anche a cantare.
Robe proprio strane, queste. Miracoli che accadono lungo la strada.
Gioie della vita di ogni giorno, le long de la route.