Tuesday, May 24, 2011

24 MAGGIO

"....la ragione per cui un artista sta di fronte alla gente....
E' vivere ogni sera, o sentirsi vivi ogni sera. Rischi la tua vita suonando musica, se lo fai nella maniera giusta"
(Bob Dylan)




Ah già che oggi é il 24 maggio e quasi non me ne ricordavo più. Cosa grave per un blog che per titolo ha pure messo quello di una sua canzone. Tant'é, me ne sono ricordato adesso, dopo aver corso dietro alle solite mille cose da fare di ogni giorno. E allora happy birthday, Mr. Dylan, che aver settant'anni ed essere ancora on stage, in quel neverending tour che é questa nostra vita, é cosa bella e rispettabile davvero.
Certo che ne son passati di anni, anche per me, da quel primo ascolto su quell'ellepi appena uscito - Desire, che bel nome per un disco - che, se ci penso bene, ci sono dei colleghi che lavorano con me che, quando stavo entrando in negozio a comperarlo, loro non erano neppure ancora nati.
Insomma siamo vecchi, ragazzi, tutti quanti, ma felici del tempo che é passato.
Qualche giorno fa, poi, ho trovato anche una mail di uno studente. Sta preparando una tesi sul Bardo e allora gli é venuto in mente di fare delle domande pure a me. Mi ha chiesto quanto la sua opera abbia ispirato la mia professione, che cosa sia l'ispirazione in senso stretto e, insomma, a quali canzoni di Dylan uno dovrebbe far riferimento.
Beh, ci devo pensare, amico mio e mi ci vuole un po' perché i neuroni, ormai, son quel che sono e tutti i giorni ce n'é pure qualcuno che decide d'andar via. Intanto, però, io continuo a camminare, che di parlare ne ho sempre meno voglia - Ain't Talkin', Just Walkin', appunto- perché l'aderenza al desiderio del cuore del Bello e del Vero ha bisogno di fatti e sempre meno di parole, che "non chi che dice Signore, Signore, entrerà nel Regno, ma colui che fa la volontà del Padre mio che é nei cieli". E allora vado avanti - I'm Pressing On - come continua a fare il caro Bob, alla faccia di tutti quelli che lo hanno dato per finito, un milione di volte, da almeno quarant'anni a questa parte.
Buon compleanno, amico, ci si rivede all'Alcatraz quest'estate; tu là sopra, a dar la vita come ogni volta, noi là sotto, a farti da compagni d'avventura, come sempre.





Saturday, May 21, 2011

ONE STEP UP AND TWO STEPS BACK

Un amico che ti manda una foto. E le sofferenze del suo cuore che camminano quotidianamente dentro le tue preghiere.
Un articolo che stai scrivendo per il tuo bollettino parrocchiale. E quella foto che c'entra con quell'avventura.
Un sabato qualunque di maggio, l'anima che non si vuol staccare dalla meraviglia che ha vissuto, l'abbraccio intenso di un milione e mezzo di persone.
Ogni passo avanti, ora, ha le radici in ciò che é stato. Un passo indietro nella mente e nel ricordo, che sostiene i passi avanti del corpo di ogni giorno.

* * *

“Allora siamo d’accordo, siete ospiti a casa mia. Vi aspetto”. L’avventura a Roma, assieme alla mia famiglia, inizia così, a casa di Gianluigi. Che poi non è che ci si conosca così bene e neppure da così tanto tempo. Ma quando l’amicizia inizia a poggiarsi da subito su Ciò che vale, succede spesso che si lascino perdere tanti convenevoli. E così andiamo, ospiti da lui, nella periferia della città, una mansarda che è già piccola per una persona sola, figurarsi per sei. Tant’è vero che il nostro amico tira fuori un materasso, lo mette per terra per sé e ci offre tutti gli altri letti disponibili della casa che, come per miracolo, spuntano fuori da ogni dove. Gianluigi fa il frate, cappellano nella sezione femminile del carcere di Rebibbia. Lui, la festa della beatificazione di Giovanni Paolo II la vivrà in diretta come noi, ma dietro alle spesse mura dove stanno i suoi amici, recluse e guardie carcerarie. E non sarà meno bella e meno intensa di quella di Piazza San Pietro.
La prima emozione forte è al Circo Massimo, al sabato sera. La Roma delle centomila fiammelle delle canzoni di Antonello Venditti adesso è qua, ad illuminare una veglia di preghiera di brividi ed emozioni che ti scorrono sotto la pelle senza volerne sapere di uscire. Sul palco, prima del rosario, si alternano canti a testimonianze: è l’ingresso in un clima, la predisposizione dell’anima a ciò che avverrà il giorno dopo.
La domenica mattina ci si sveglia presto. Fuori non è ancora l’alba, ma, lo scopriremo dopo, è già tardi. Via della Conciliazione è piena e la folla riempie già lo spazio fino a Castel Sant’Angelo ed oltre. Le persone presenti in Piazza, ci raccontano che siano giunte lì sin dalla sera prima. Scendiamo dalla metropolitana e seguiamo la fiumana di gente che si dirige ormai verso i maxischermi posti in vari punti della città. Il nostro è in Piazza Risorgimento, un piazzale piuttosto grande, ma neppure quello abbastanza per tutta la gente che c’é. Nulla è sufficiente per accogliere il milione e mezzo di persone che oggi hanno abbracciato la città.
Siamo tutti pronti con mantelle ed ombrelli: hanno detto che pioverà e ormai le previsioni del tempo non le sbagliano più da un pezzo. Ma oggi no, stavolta le hanno sbagliate in pieno. Perché non hanno tenuto conto di quello che sta accadendo. E che Giovanni Paolo II, lui, non può far piovere su una folla di amici così. E’ per quello che, alla fine della Messa, spunterà anche l’azzurro del cielo. E pure qualche ombrello, certo, ma solo per ripararsi dal troppo sole.
I miei figli resistono che è un piacere, ore e ore passate per terra o in piedi a camminare e pregare. Mai una parola di lamento, la stanchezza non sembra aver fatto parte di quest’evento. Nel mio cuore, intanto, l’emozione è qualcosa che si fa strada a poco a poco. Non si nutre d’immagini, né di suoni o di colori: il maxischermo è troppo lontano e posto di traverso e l’impianto audio potrebbe anche fare meglio il suo dovere. Ma c’è un popolo intorno, che vive, prega e si commuove. Che condivide il giorno della festa. E’ un cammino in cordata che basta a se stesso, che ti fa dire: valeva la pena che ci fossi anch’io.
Il giorno dopo, la messa di ringraziamento col Cardinal Bertone è un crogiuolo in cui fondere tutto ciò che ti è maturato dentro. Duecentomila persone sembrano un piccolo paese rispetto a quanto è accaduto ieri e infatti ci consentono finalmente di accedere alla piazza. Ma è ancora un popolo, immenso, che non vuole saperne d’andar via, che vuol stare col suo papa santo, stringersi attorno alla sua chiesa, continuare a camminare insieme.
E’ giunta l’ora di partire. Il saluto a Gianluigi è un arrivederci tra fratelli che hanno scoperto un legame tra loro che nulla e nessuno potrà ormai spezzare. “Tutto tace e c’è nella mia baita tintinnio di pioggia e soffio di vento”, ci scrive via sms, mentre la nostra auto procede lungo la strada che porta verso casa. E’ nostalgia di un’esperienza, di ciò che abbiamo condiviso. Del Bello e del Vero che ha riempito le piazze e le vie. Di una Chiesa che è famiglia. La grande eredità che ci ha lasciato Giovanni Paolo II.

Thursday, May 12, 2011

LA BICI, LA STRADA E LA CORSA


Il professor Tredici me lo ricordo tranquillo e sorridente, seduto dietro ad una cattedra, più o meno un milione d'anni fa. Era felice perchè era appena tornato da Città Del Messico, con in tasca il record dell'ora di Francesco Moser, della cui squadra, l'équipe Enervit, era il responsabile medico. Io, tranquillo, non lo ero per niente, anche se mi sforzavo d'essere sorridente anch'io. Già, perché lui, il professore, stava per farmi l'esame di anatomia, cioé quell'incubo che ogni studente di medicina si porta dietro per una vita intera, anche dopo che l'ha passato. L'esame andò bene al primo colpo, per fortuna, non so se per via di una preparazione adeguata o del buon umore del mio insegnante. Merito di entrambi, suppongo.
Il professor Tredici l'ho rivisto in televisione, qualche giorno fa. A raccontare della morte sfortunata di un ragazzo belga. "Non avevo mai visto niente di simile", ha detto. Una bicicletta veloce, dritta senza fiato lungo la discesa, ad accompagnare, laggiù in fondo, una vita che era destino finisse in mille pezzi, vicino al ciglio di una strada.

Stamani mi sono svegliato già stanco, voglia di andare a lavorare prossima allo zero. Ma una strada in mezzo ai campi aiuta anche a recuperare il buon umore. Mi sono fermato al solito baretto, una minuscola frazione, poche case in mezzo alla campagna. No, non servono Bloody Mary da queste parti, ma il cappuccio e la brioche accompagnati dalla semplicità e dal sorriso non hanno prezzo. Qualche volta mi siedo pure al tavolino, che c'é anche la gazzetta dello sport, libera lettura a disposizione di chi passa. Nei giorni scorsi ci ho letto sopra le emozioni del mio vecchio cuore rossonero, ma oggi lo sguardo é caduto sull'intervista a Davide Viganò, compagno di squadra di quel ragazzone belga partito prematuramente per il cielo.
"Mai pensato che la bici sia cattiva?", gli ha chiesto il cronista. Come la vita, penso tra me e me, quanto volte pensiamo che sia cattiva pure lei. "Non lo é la bici, non lo é la strada, non lo é la corsa - gli risponde Davide - La bici è speranza, la strada é maestra, la corsa é la vita". E aggiunge: "fino al punto estremo in cui si dona la vita".
"Lei é religioso?". "Sì, cattolico - prosegue lui - "Credo, seguo, prego".
"E in questo momento?", incalza il giornalista. "E' come se ci fossimo fermati tutti, a riflettere. Non più il ciclismo come sport, lavoro, spettacolo, commercio. Ma il ciclismo come umanità, qualità umana". "E adesso Davide?", prosegue lui. Già, perché c'é bisogno di una ragione in più, forse, per continuare ad andare avanti ancora. "Non sarò più quello di prima - risponde - Ma meglio. Io, i miei compagni, gli altri corridori. La morte di Wouter ci ha reso tutti più consapevoli, più responsabili, più umani. Migliori".

Mi alzo, una lacrima, piccola piccola, sta iniziando a solcare impertinente il mio volto assonnato del mattino. E meno male che nessuno se ne é accorto, che a commuoversi, i nfondo, ci si vergogna sempre un po'. Vado a pagare il mio cappuccio e la brioche: due euro e dieci, penso, sono fin troppo pochi per tutto quello che mi é stato dato. Risalgo in macchina: é strano, mi é tornata pure la voglia d'andare a lavorare.
Forse siamo tutti un po' migliori, stamattina.



Monday, May 02, 2011

SI DOVEVA ANDARE

Perché si doveva andare a Roma il 1° maggio lo scrive il mio amico Paolo, con parole capaci di raccontare il mio cuore meglio di quanto avrei potuto fare io.
E' stato bello essere là.
Insieme ad un milione e mezzo di cuori così.

Si doveva andare! Si doveva andare, per un debito di riconoscenza nei confronti di Giovanni Paolo II per la sua paternità e per quello che ciascuno di noi ha ricevuto dalla forza della sua testimonianza e dalla sua passione missionaria.
È stato un grande evento, che ha reso memorabile la giornata riempiendola di un’intensità di vita palpabile, penetrante, coinvolgente.
Di questa intensità fa parte la fatica, compagna abituale della gioia in questa vita: la tensione delle prime ore, ancora nel buio della notte, poi alle prime luci dell’alba, premuti in una folla traboccante, astrattamente irrazionale, ma concretamente fatta di volti, non sempre simpatici, eppure ognuno con i segni di una storia personale, intima, che conduceva lì, carica di attesa, alla ricerca di una risposta a una domanda forse non chiara ma insopprimibile, come una promessa non ancora compiuta.
Anch’io, parte di questo popolo, ero lì per vedere di nuovo la potenza di Cristo all’opera, per riconoscere la Sua presenza, che la Chiesa ci indica attraverso la vita di un uomo, di un testimone della fede, ma che si manifesta nella Chiesa stessa, anche in quel luogo, in quel momento, in quella liturgia.
Giovanni Paolo II è stato servitore e guida di questa Chiesa, santo perché innamorato di Cristo, uomo vero perché tutto determinato dalla fede, dalla speranza e dall’amore cristiani.
Di questa conferma ho bisogno, perché anche per me è possibile vivere così, come per tutti, ciascuno rispondendo alla chiamata di Cristo nelle circostanze in cui è posto.
Perciò l’applauso dopo la proclamazione che il Servo di Dio Giovanni Paolo II è Beato è stato l’espressione della speranza, una speranza certa perché fondata su quello che ho visto. È stato il rinnovarsi dell’invito a non avere paura di Cristo, un richiamo di cui ho sempre bisogno.
Sì, dovevo proprio esserci, lì a Roma!
(Paolo Rivera)