Thursday, October 18, 2012

BOB DYLAN, LA DOMANDA. E LA STRADA.

"Basta poca fede per fare tanta strada", racconta Bob Dylan al suo interlocutore di turno su Rolling Stone. "E' la cosa migliore che si possa avere. Quando si ha poco altro, basta quella. Ma ci vuole tempo per acquisirla. Bisogna continuare a cercarla". 
C'è tanta roba nell'ultima intervista di Dylan, molto più di quanto ci si aspetterebbe da uno che ha sempre rifuggito ogni tentativo di scandagliare il suo animo ed il significato profondo del suo lavoro. "Sto cercando di spiegare qualcosa che non si può spiegare", dice. E aggiunge: "devi darmi una mano".
Ho smesso di ascoltare Tempest già da un bel po'. Non c'è un motivo preciso per cui l'ho fatto. Ma é come se stessi aspettando qualcosa. Troppe onde, troppa bufera intorno a me. E allora ho atteso. Che fossero le canzoni ad inseguirmi e scovarmi. Finché arrivassero ad essere in grado di raccontarmi qualcosa. Non so se ora é tempo di bonaccia e non so neppure cosa mi riserverà il mare domattina, ma forse quel momento adesso é giunto e allora sono pronto a riprendere il dischetto per metterlo nuovamente nel lettore cd. Dicono che si tratti di canzoni che narrano di morte e di dolore, di grazia e nostalgia, ma tutte le canzoni folk l'hanno sempre fatto. Lo dice a chiare lettere, Dylan, respingendo al mittente tutte le misere accuse di plagio che gli hanno sempre rivolto contro. Si chiama ricchezza, invece, tutto quello che ti porti dentro e che ti viene sempre dietro. "C'è della verità in tutti i libri - aggiunge - e non si può vivere senza leggere dei libri". 

Chissà se é appagante, a settant'anni suonati, la vita di Dylan. Ho sempre pensato che la questione del Neverending Tour fosse una faccenda esistenziale, ma probabilmente mi sono sempre sbagliato: "il solo suonare dal vivo non potrà mai farti felice", dice lui. E allora perché continuare a farlo, sera dopo sera, dall'Europa al Pacifico, notti passate su un autobus tra una città e l'altra dopo ogni show? "Nessun tipo di vita é appagante se la tua vita non é redenta": questo é il punto. Nient'altro. E neppure fare nuovi dischi, per esempio. "Credi che Tempest sia un album epocale?" Ingenua, per essere la prima domanda di un'intervista. "E' come tutti gli altri, le canzoni son venute da sole", risponde lui. Anzi no, é anche peggio. Non é il disco che volevo fare, aggiunge. Ne avevo in mente un altro, uno religioso. Forse é per questo che poi insiste in modo così ossessivo sulla questione della trasfigurazione. E quando l'intervistatore ci torna su, lui risponde: "So solo quello che ti ho detto. Devi indagare per conto tuo per capire di cosa si tratta".

"Io accetto il caos. Non sono sicuro che il caos accetti me", aveva detto Bobby Zimmermann tanto tempo fa, quello che non esiste più e che ha cessato di vivere dopo l'incidente motociclistico del '66. Il Bob Dylan di oggi vede nella trasfigurazione una possibile via d'uscita da quel caos. "E' così che riesco ancora a fare quel che faccio e scrivere le canzoni che canto ed andare avanti".
Forse trasfigurare se stessi vuol dire provare a camminare sulla propria strada tenendo sempre stretta in cuore una domanda di significato. Per sperimentare su di sé che é possibile vedere la propria vita cambiare a poco a poco, nonostante i continui inciampi e le incessanti cadute.  "Tutti abbiamo una chiamata" - dice Dylan in un passaggio chiave della sua intervista - "devi dare il meglio, qualsiasi cosa tu debba fare". La chiamata è sempre quella del cuore, che é fatto per l'infinito. Ed il meglio di noi stessi, dato giorno dopo giorno, é il battito di quel cuore lungo la strada. La domanda é una domanda di Grazia. E la strada é una via di rischio ed imprevisto. "Quando rischi la tua vita per qualcuno, quello é amore, quando qualcuno morirà per te, quello é amore", é l'ultima frase di Dylan. Vale la pena di vivere, per meno di questo?

PS
Ringrazio Giuseppe Gazerro per la traduzione italiana dell'intervista di Mikal Gilmore a Bob Dylan, pubblicata su Rolling Stone, ed il cui testo integrale si trova a questo link: http://www.maggiesfarm.eu/rsintervistabobdylan.htm

Wednesday, October 10, 2012

NON ODIERO'

Quando un incontro ti scalda il cuore, il tepore puoi continuare a sentirlo anche lungo gli inevitabili giorni di pioggia di un autunno che tarda ad arrivare. Il racconto di chi mi é sempre compagna di strada. Ed un libro. Da tenere ancora sul comodino.


Non odierò
di Daniela Leali

Meeting dell’amicizia tra i popoli: arriviamo giovedì pomeriggio e ci precipitiamo nella sala A3, convinti di partecipare alla  testimonianza di una neonatologa di cui abbiamo sentito parlare. Variazione di programma: al suo posto ci sarà un medico palestinese. Io e mio marito ci guardiamo e decidiamo di fermarci: più volte abbiamo sperimentato che il Mistero ci mostra il Suo amore proprio attraverso un imprevisto.
Dopo una presentazione rapida, ma carica di commozione, il dott. Izzeldin Abuelaish inizia a raccontare la storia della sua vita. Nasce a Jabalia, il più grande campo profughi della Striscia di Gaza, nel 1955. Maggiore di sei fratelli e tre sorelle, fin da piccolo capisce che l’istruzione è un privilegio, qualcosa di sacro che potrebbe  dare accesso a molte possibilità. Così, grazie a un duro lavoro, continui sforzi e grandissimi sacrifici da parte di tutta la famiglia, riesce a diventare medico. Nel 1997 comincia un internato in ostetricia e ginecologia all’ospedale Soroka di Israele: sarà il primo medico palestinese nello staff di un ospedale israeliano. Nascono rapporti con gli ebrei: si rende conto  che il cuore è lo stesso. Dice: “E’ sorprendente rendersi conto di quanto siano simili i nostri due popoli, nel modo in cui alleviamo i nostri figli, nell’importanza che attribuiamo alla famiglia…le nostre lingue e le nostre religioni sono semitiche. Abbiamo più somiglianze che differenze, eppure per sessant’anni non siamo stati capaci di superare la linea che ci divide. Come possiamo considerare più preziosa una vita di un’altra? Guardate i neonati nelle sale parto:sono bambini innocenti …e noi li riempiamo di racconti che promuovono l’odio e la paura. Ogni vita umana è preziosa, ed è facile distruggerla con i proiettili o con le bombe. L’odio consuma l’anima: è come un veleno”. Decide di dedicare la sua vita ad abbattere i muri e a costruire ponti di pace, iniziando dalla condivisione di questo ideale con la moglie ed i suoi otto figli. Purtroppo i leaders dei due popoli non la pensano allo stesso modo. Dicembre 2008: Hamas lancia razzi su Israele, l’esercito israeliano risponde demolendo le case dei palestinesi, uccidendo uomini, donne e bambini ed ogni essere vivente che vi si trova davanti. Il 16 gennaio tocca a loro. Racconta: “Eravamo tutti in casa, io stavo giocando con Abdullah, quando ho sentito l’esplosione nella stanza delle ragazze. Spero che nessun altro debba mai vedere la scena che si presentò ai miei occhi: hanno ucciso le mie tre figlie e mia nipote. Ma nonostante il dolore, la rabbia e lo sconcerto, so che non odierò”.
Ho le lacrime agli occhi: ma come è possibile? Guardo il suo volto: è una maschera di dolore, ma i suoi occhi esprimono una serenità per me impossibile. Appare sullo schermo la copertina del libro con la foto di tre ragazze sedute sulla spiaggia in riva al mare: sono Bessan, la più grande, Mayar “chiaro di luna”, e la piccola Aya. Voglio leggerlo subito, desidero conoscere meglio questa vicenda. Come ho potuto rimanerne indifferente per tanti anni, scadendo nei luoghi comuni?
Rientrata a Milano, ripenso a quest’incontro, mi domando perché il mio cuore si commuove così tanto per quell’umanità ferocemente ferita, ma così lontana dal mio mondo, dal mio modo borghese di vivere e di pensare. Scendo in strada e vedo un uomo che lavora ad un Kebap: si accorge del mio sguardo, mi sorride e mi saluta. Sono imbarazzata, non ho mai mai fissato così un arabo: non ho mai considerato la possibilità di rapporto con un musulmano al di fuori del luogo di lavoro, sto cominciando a sorprendermi nel constatare che abbiamo più cose che ci accomunano rispetto a quelle che ci dividono, nonostante il Potere faccia di tutto per farmi credere l’opposto. Non mi resta che  ringraziare di cuore il Mistero, che ancora una volta mi ha mostrato il Suo volto d’amore, attraverso la grazia di un incontro imprevisto.