Tuesday, October 15, 2013

IN PANCHINA

Ogni tanto ti succedeva anche questo. Che, in quella vita da mediano a fare compagnia al Mistero, ti ritrovassi anche in panchina. E che, vista da quell'osservatorio, la partita non sembrasse neppure più la stessa. La prospettiva cambiava del tutto. Vedevi le retrovie e il gioco di squadra, sentivi al tuo fianco la sofferenza dell'allenatore, condividevi attese e speranze con gli altri giocatori seduti accanto a te. Non era stato per nulla facile, all'inizio. A nessuno piace stare fermo mentre gli altri rincorrono la vita in gioco. Tuo malgrado, ti toccava subire la decisione altrui. Stare lì e fare il tifo per la squadra, mettendoci la stessa passione di sempre. In campo con gli altri, fuori dal campo.
Era stato così che, talvolta, tolto il camice, ti accadeva di sederti al fianco di chi amavi. "Potete accomodarvi fuori, per favore?", e tu ti accomodavi, mentre i tuoi colleghi facevano il giro visita degli ammalati o l'impiegata dell'impresa di pulizie passava a pulire la camera. La stessa tensione di tutti per avere notizie su un esame; l'attesa interminabile di uno sguardo, l'attenzione su un particolare, mentre la cartella clinica stava riposta lì, inaccessibile, dentro un carrello non tuo, non del tuo reparto, non del tuo ospedale.
Più ti faceva male tutto questo, più incominciavi a capire. Il bisogno di una spiegazione o di un minuto in più, rubato da altri al tuo frenetico lavoro. Quelle richieste dei pazienti e dei loro familiari, che hanno sempre, dietro e dentro sé, un bisogno di significato. Perché questa malattia, perché proprio a me e non ad un altro; perché siamo qui, tutti assieme in squadra, a fare da compagnia al misterioso disegno che prende in mano la nostra vita e la conduce.
Ogni volta tornavi a casa un po' più ricco di prima, quel passaggio in panchina ti faceva sempre bene. Non che non avessi voglia di giocare, ma cominciavi ormai ad essere un po' stanco. Che poi, da quella panchina, talvolta, capitava pure di veder giocare dei mediani che erano peggio di te. Ma quella prospettiva, quando eri in campo, non riuscivi mai a coglierla così bene, anche quando la palla te la passava Messi. Avevi bisogno, di tanto in tanto, di startene un po' seduto lì. Era lo sguardo dell'Allenatore, quello che ti serviva. Solo ascoltando Lui, una volta rigettato nella mischia, capivi quale posizione in campo fosse stato giusto tenere.
Fu così che una voglia nuova di giocare ti tornò, proprio quando, i capelli grigi e i muscoli ormai stanchi, ti sembrava la stessi perdendo a poco a poco. E magari avresti avuto pure qualcosa da insegnare ai più giovani, cavalli imbizzarriti che desideravano solo correre e stare sempre là davanti. Dargli di gomito, qualche volta, e dirgli "guarda!", come si fa coi vecchi amici. Laggiù in fondo, verso la panchina, dove quel mago di un Allenatore sapeva ridare gioia e motivazioni a tutti quelli che fossero passati da lì. Quella panchina dove, chissà perché, non aveva mai voglia di andare nessuno.