Friday, December 27, 2013

THE BAND IN A CIRCLE

Quando Mike Scott chiama con un pretesto Steve Wickham ed Anto Thistlethwaite nella migliore sala d'incisione di Dublino, la loro band - The Waterboys - sta cavalcando da poco l'onda di un successo inatteso, generata dall'uscita dell'album "This Is The Sea". Entrando in una delle stanze dello studio, i musicisti vedono all'improvviso  i loro strumenti posti in bella mostra e pronti all'uso, rimanendo sulle prime piuttosto sorpresi.  Ma lo stupore lascia presto spazio al divertimento ed al gioioso desiderio di mettersi ancora una volta a suonare insieme: "nel miglior spirito che potessimo immaginare d'avere, mettemmo le sedie in cerchio, e cominciammo a suonare". Sarà solo la prima delle numerose sessions che porteranno, alla fine, all'incisione di quel capolavoro che ancora oggi é "Fisherman's blues", il disco che il gruppo fece uscire due anni più tardi, nel 1988. 
Waterboys, ovvero la bella voce di Mike Scott, sottesa dalla chitarra o dal suo pianoforte "Old England style", originalmente colorata dall'incredibile violino di Steve e dai riff di mandolino o dalle sottolineature del sax di Anto. Waterboys, acronimo di Yeats, come già intelligentemente intuito da qualcuno, ma anche nome di un gruppo di musicisti in grado di portare tutta la poesia delle proprie radici letterarie e culturali in un affascinante miscellanea di suoni; gente capace di mescolare, come nessun'altro era stato forse in grado di fare sino ad allora, la musica celtica con il country di Hank Williams e le canzoni gospel della più autentica anima d'America.
Le sessions di Dublino sarebbero già state in grado di riempire, in quel lontano 23 gennaio del 1986, lo spazio di un intero disco, che molti gruppi musicali d'allora avrebbero volentieri comperato a scatola chiusa pur di costruirvi sopra la propria carriera. Ma la strada da percorrere sembra ancora lunga, in quel momento, per i ragazzi d'acqua, ricca di crocevia e percorsi affascinanti pronti ad aprirsi all'improvviso, viaggiando per altre sedute in studio da una sponda all'altra del mare - Dublino e Berkeley non sono poi così lontani tra loro quando la musica è sincera - ascoltando consigli da chi sa cosa voglia dire produrre musica davvero (quel Bob Johnston che ebbe incontri ravvicinati con Dylan e Leonard Cohen), per tirare le somme, infine, sulle colline della contea di Galway, nella tranquillità e bellezza di un cottage, adagiato sopra alle onde ed al vento di quel Mighty Atlantic che nello stesso periodo sta così bene ispirando anche i Runrig, fratelli di sangue delle Highlands scozzesi.

Ripercorrere oggi il cofanetto di sei cd, "Fisherman's Box", che racchiude tutte le 121 canzoni che portarono al vinile dell'88  e che a tutt'oggi rimane vetta mai più raggiunta dalla band, é operazione che porta a struggente e pericolosa nostalgia dei tempi andati. Già, perché troppo bella fu la favola dei Waterboys perché potesse durare a lungo. Troppo lunatico Mike Scott, sempre esigente col desiderio di bellezza e spiritualità scritto nel fondo del suo cuore e troppo incapace, ahimé, di tenere assieme un gruppo di musicisti così vitali e che sarebbero stati sicuramente capaci di produrre qualche altra gemma negli anni a venire. Ci misero poco, i Waterboys, a sciogliersi dopo Fisherman's Blues. Ci mise poco, lo stesso Mike Scott, a perdersi in una carriera solista che lo avrebbe portato in rivoli secondari, troppo lontani dall'alveo di quel meraviglioso fiume in piena navigato a  fine anni ottanta. E troppo anacronistica appare, tutto sommato, la recente reunion della band, seppure passata non indifferente a molti, in più di un concerto, anche dalle nostre parti.
Ma sebbene questa sia la storia, non fa comunque male rivisitare oggi - e nella sua fase più ispirata - quella che fu la strada di un gruppo capace di lasciare nella musica il proprio segno, piccolo o grande che sia, ma indiscutibilmente unico e affascinante.

Un disco lungo sei cd, da ascoltare con calma, dunque, a piccole dosi, lasciandosi rapire non solo dalle note, ma dalla minuziosa descrizione che Scott fa di ogni circostanza che ha portato all'incisione di ogni singola canzone (un bellissimo libretto, tutto da leggere), sia che si tratti di piccoli divertissements quali l'esilarante I Miss The Road o di epici brani come la sinfonica versone di Higher In Time. C'è proprio di tutto nell'affascinante viaggio lungo queste incisioni. Le canzoni migliori di quel periodo sono presenti, in versioni diverse e spesso non inferiori rispetto a quelle scelte per la pubblicazione finale: Fisherman's Blues, And A Bang On The Year, You In The Sky, Strange Boat, Saints And Angels, When Will Be Married? e tante altre ancora. Ci sono Bob Dylan e Van Morrison  (quest'ultimo rivisitato in una Sweet Thing in versione più estesa rispetto a quella edita nel 1988, il primo in una Girl Of The North Country, ad esempio, da brivido), da sempre muse ispiratrici per Mike Scott. Ci sono canzoni country o gospel improvvisate, rapite dalla tradizione, fatte proprie e rimaneggiate, sino a rinascere in nuove canzoni, non meno belle di quelle tradizionali. Canzoni prese sul serio o per scherzo, da chi sa passare con disinvoltura da Will The Circle Be Unbroken a Sgt Pepper's o This Land Is Your Land, senza far rivoltare Woody Guthrie o qualche Beatle nella tomba, che, anzi, ti sembra quasi di vederli per un attimo sorridere nascosti, quasi a dire che beh, sì, ci sono eredità che per fortuna non vengono smarrite per sempre.
Si potrebbe andare avanti a lungo a parlare di un disco capace di farti passare dalla baldanza allo struggimento, di farti ballare o piangere di malinconia, ma é molto meglio trovare il proprio tempo ed ascoltarlo. E pazienza se si tratta di roba vecchia che, peraltro, non pare affatto consumata. Ed é bello, ascoltando l'ultima canzone - quella Buckets Of Rain di Bob Dylan sottotitolata da Mike Scott con "fai ciò che devi fare e fallo nel migliore dei modi" - lasciare che scorrano i titoli di coda; sono ringraziamenti ad amici, musicisti, tecnici, collaboratori e, alla fine, ad un Altro, riconosciuto come l'artefice di ciò che conta per davvero: "thank you God, for life, love and music". Essere capaci di questo, mettere al posto giusto ciò che vale, é sempre stato il marchio di fabbrica della musica che non muore. Il potere della musica vera, quella che si mette in cerchio ed é capace di donare a chiunque ali per volare.

Tuesday, December 24, 2013

YOU IN THE SKY

Nuvole basse, pioggia sottile. Guido piano, attraverso lentamente la mia città. Oggi l'hai persa, Milano, la tua maledetta, perenne, pazza frenesia. Ed oggi la stai facendo finalmente perdere anche al mio cuore, al mio io sempre indurito dai suoi pensieri. 
You In The Sky é la canzone perfetta per una vigilia di Natale. Pochi accordi e la voce di Mike Scott. S'infila aspra ed acuta tra le auto e le persone. Entra nelle case, trafigge i grattacieli, accarezza le torri del Monumentale. Canta di un desiderio di bellezza, grida la sua gioia e il suo dolore. You In The Sky. Voglio conoscere il perché di queste nuvole tra me e te. Lascia che ti conosca ed apri il mio cuore. Canta la tua canzone, dritta dentro me.
Cosa può mai venire di buono da Nazareth? Ma Nazareth oggi é questa mia città, la Tua città. La Tua canzone che canta dritta dentro il mio cuore. il Verbo di Dio si é fatto carne, tra i grattacieli e le gambe delle persone. Dio in noi é divenuto Dio in mezzo a noi. E questo solo mi basta ad andare avanti lungo la mia strada. You're so beautiful, now, You in the sky. Tu tra di noi.