Tuesday, March 04, 2014

TOCCATO DA UNO SGUARDO

Estate 2013, una famosa località del litorale italiano. Un gruppo di amici mi propone di assistere al nuovo spettacolo di Pietro Sarubbi, “Il mio nome è Pietro” ed a portarci, per giunta, tutta la famiglia. Si va tutti a teatro, questa sera, dai dieci ai cinquant’anni. “Ma sei sicura?”, chiedo timoroso a mia moglie. “Stai tranquillo – mi risponde – vedrai che sarà bello anche per i nostri figli!”. Mi fido, si va. E faccio bene, perché, oltre a passare una splendida serata, scoprirò con sorpresa l’esperienza di un attore, che ha visto la sua vita trasformata dalla partecipazione al film “The Passion” di Mel Gibson. Una vicenda che approfondirò meglio in seguito, leggendo il suo libro “Avrei voluto fare san Pietro, ma sono nato Barabba”, in cui viene brillantemente scritta la storia della sua conversione. 

Domenica 2 febbraio 2014, un teatro milanese. E’ l’occasione per un nuovo incontro con il nostro attore, invitato questa volta a raccontare dal vivo la propria esperienza personale. Sarubbi inizia a parlare, strappando subito più di un sorriso con la propria simpatia. Narra di un’infanzia poco serena, di un carattere esuberante e trasgressivo, della difficoltà a relazionarsi con gli altri. A dodici anni scappa di casa con una ragazzina che fa parte di un circo; sta via qualche mese, lo ritrovano e lui scappa di nuovo. A quattordici finisce dai salesiani, dove i seminaristi vivono accanto a ragazzi accolti in una sorta di comunità di recupero, ma lui continua a compiere gesti che sanno di ribellione e voglia di libertà: “Mi piaceva bruciare le tende o spaccare le vetrate, che da un piccolo gesto nascesse un grande effetto”. Ma, invece di essere punito, ottiene dal suo tutore, don Luigi, un amore inatteso: “da una parte egli smorzava la mia aggressività e dall’altra mi faceva scoprire una tenerezza che mi spiazzava: ma come - mi dicevo - più faccio il cattivo, più questo mi vuole bene?”. In quel piccolo istituto c’è un teatro e Pietro scopre una passione. Studia da attore e, un po’ alla volta, si fa strada. Ma al centro c’è sempre il desiderio del suo cuore: “Ognuno ha un cuore che cerca la bellezza. Ci sono cuori più semplici che si accontentano e cuori complicati che non è semplice fare felici. Ed in questo cercare, io ho fatto tanti errori, girando il mondo. Ma, crescendo, aumentava la consapevolezza di non trovare la risposta”. Continua a recitare, diventa famoso e intanto cerca di “addormentare il disagio”. Beve, passa da una ragazza all’altra, finché, un giorno, ne incontra una che decide di rimanere al suo fianco e gli dona tre figli. Pietro ha quarant’anni e prova a rimettersi in gioco. Parte per gli Stati Uniti, si fa notare, recita in film famosi, finché, un giorno, Mel Gibson lo chiama per prendere parte a “The Passion”. E’ ambizioso, vuol sapere che personaggio deve fare, ma il regista lo tiene sulle spine. Capisce che si tratta di un film sugli apostoli ed é convinto che gli verrà affidata la parte di Pietro, ma scopre che dovrà svolgere invece il ruolo di Barabba. Rimane deluso: si sente sottovalutato perché deve recitare un personaggio che nel film non dice neanche una battuta. Ma la risposta di Gibson lo sorprende: "che differenza credi ci sia tra Barabba che non parla e Pilato che parla dieci minuti in aramaico? Quello che il pubblico capirà é quello che passerà dagli occhi di Gesù ai vostri occhi". E’ in quel momento che decide di fidarsi e di seguire le indicazioni del regista, persino quella bizzarra di non incrociare mai lo sguardo dell'attore che impersona Gesù, fino al momento in cui, nel film, Barabba guarderà davvero negli occhi del Signore. E lì accade qualcosa di speciale: "Sono colpito dalla profondità del suo sguardo. Mi aspettavo dolore, rabbia, delusione, paura, amarezza, e invece nulla di tutto questo: in quello sguardo vedo quasi una dolce accettazione. Non é uno sguardo feroce, ma dolce e misericordioso, quasi di preoccupazione per me e per la mia condizione, ed accade una cosa unica nel suo genere e nella sua imprevedibilità: mi perdo in quello sguardo, nello sguardo di Gesù, rimango forse un minuto con gli occhi dentro quello sguardo, immobile, a bocca aperta". E’ una novità sconvolgente, di quelle che non fanno più dormire: “a 43 anni, in un albergo a 5 stelle al centro di Roma, sto tutta la notte sulla sponda del letto, con questo sguardo davanti. Era come una domanda di emergenza che io non capivo”.

Passano i giorni, ma aumenta un’inquietudine e si fa strada la solitudine di un uomo famoso, che non riesce a parlare con nessuno di ciò che ha di più urgente nel proprio cuore. Quando il film esce sugli schermi suscita scalpore; i giornali ne parlano e si scrive anche di lui, Pietro Sarubbi in Barabba. Un sacerdote legge un articolo, dove si racconta ancora di quello sguardo. S’incuriosisce, lo cerca e, una volta trovato, gli chiede di andare a portare la propria testimonianza alla sua comunità. Pietro ha ancora quella domanda che ferisce il suo cuore e va. E’ l’incontro non solo con quel sacerdote, ma con una comunità che lo affascina e lo rapisce in un modo nuovo e inconsueto. Parla ancora con quel prete, vuole capire: “Ma come fate ad essere così? Ma lo sa che io ho un figlio a casa che è sempre così agitato che sembra che abbia una colica renale?”. La risposta è disarmante: “Tu sei la colica renale di tuo figlio! Perché i figli non vogliono sentirsi dire cosa devono fare, vogliono vederlo. E tu cosa gli fai vedere a casa? Quando l’hai abbracciato l’ultima volta?”. Pietro non sa rispondere, ma, arrivato a casa, compie quel gesto: abbraccia il figlio e vede finalmente le lacrime solcare due bellissimi occhi verdi. E’ l’inizio di una nuova storia: “Da questo figlio ritrovato – racconta – ho cominciato a fare un cammino. Volevo rimanere aggrappato a quelle persone, imparare il segreto della felicità e non volevo sbagliare. La mia domanda grande era: ma come è possibile che dentro lo sguardo di un uomo ci sia Cristo? E un giorno quel sacerdote mi butta sulle gambe un libretto. Sopra c’era scritto “Deus Caritas Est”. Non so di cosa si tratti, ma mentre sto sul treno per tornare a casa leggo una frase a caso, la prima che mi capita: “Il Signore, sempre, di nuovo, ci viene incontro attraverso lo sguardo di uomini in cui egli traspare”. C’era dentro la risposta alla mia domanda più dolorosa, scritta dal Papa”. “Ci si può abituare ad uno sguardo?”, viene chiesto a Sarubbi alla fine dell’incontro. Non ci si abitua – risponde - ma lo si cerca disperatamente. E poi aggiunge: “Se voi siete qua è perché siete stati toccati da uno sguardo. Se ognuno di voi non fosse stato toccato da un amico, un parente, un sacerdote, un educatore, cent’anni fa o ieri, non sareste qui. Tante volte, di fronte ad rumore in fondo alla chiesa, la gente si gira; ma se sull’altare c’è Cristo, chi ci si aspetta che entri di più importante da quella porta?”. 

Tante altre cose racconta Pietro Sarubbi, trasmettendo tutto con la sua straordinaria allegria, ma facendo anche cadere più di una lacrima sul volto dei presenti. Perché l’abbraccio della conversione – lo dice lui – è commovente come quello del padre al figliol prodigo. Ed accade così che la sua testimonianza riesca a fare breccia nel cuore di chi ascolta, perché egli stesso ha preso il suo, di cuore, e l’ha messo nudo sul palco, a raccontare di un desiderio di bellezza finalmente realizzato. Un cuore trafitto da uno sguardo, quello di un Altro che è passato come passa la luce attraverso le crepe. E’ per questo che, una volta tornato a casa, il mio cellulare impazzisce e continua a ricevere i messaggi entusiasti degli amici, segno di una gioia che si manifesta senza freni. E mentre ripenso a tutto questo, al film di Mel Gibson ed a questi giochi di sguardi, capisco quale sia il modo migliore di vivere la quaresima che sta per iniziare. Percorrere una strada, accanto all’Uomo dei dolori, per giungere ad un incontro, quello col Risorto, capace di cambiare un’esistenza intera. Nient’altro che quel scrive Sarubbi, nel libro che racconta della sua conversione: “solo io, con la mia valigetta, con dentro il mio povero costume di scena, solo io di fronte alla grandezza della vita che affronto, un po’ come si sarà trovato il povero Simone, con la sua povera sacca da pescatore, i suoi sdruciti calzari e la barba incolta davanti al Messia che gli cambiava nome, lo faceva rinascere uomo nuovo pur lasciandolo com’era, ne cambiava il cuore e attraverso quello lo cambiava tutto”.