Thursday, April 23, 2015

STATE LINE

“C’è sempre questo sogno di scappare, ma non esiste un luogo da cui fuggire, ognuno di noi non fa altro che correre verso se stesso” (Willy Vlautin)


Lei ha soltanto quindici anni. Carica tutte le sue cose sull'auto di famiglia e scappa, perché morire un po’ alla volta a casa, oppure da sola, nel mondo là fuori, non fa davvero differenza. Guida di notte, lungo strade solitarie e deserte, fino ad arrivare al confine, la linea dove riposano tutti i pensieri e i desideri insoddisfatti del suo cuore. Ma non riesce ad attraversarlo. Così torna indietro e dopo trent'anni quel fotogramma è sempre lì, immobile ed uguale, perché non puoi fuggire da nessun posto se nulla al mondo sarà mai una casa. La vita le appare come la stessa scena di uno stesso film. Quella linea sottile ed immobile che tutti possono varcare, salvo lei. (...)



Friday, April 17, 2015

TO LIVE OUTSIDE THE LAW YOU MUST BE HONEST


Confesso che, dopo ripetuti ascolti, Shadows In The Night, l'ultimo lavoro di Bob Dylan, tributo dell'artista a dieci standard americani, tutti parte del repertorio di Frank Sinatra, suscita in me sensazioni differenti, a volte persino diametralmente opposte.
E' una questione che riguarda le sonorità complessive del disco, che non si adattano ad essere ascoltate in qualunque circostanza, né alle prese con qualsivoglia stato d'animo. Accade così che ci siano volte in cui le note di queste canzoni producono fascino ed emozione difficili da raccontare, ma anche altri momenti in cui si fa strada un sottile senso di noia e di disagio. Non è la voce di Dylan a produrre tutto questo, intonata e melodica come non mai, abile a giostrasi sui registri bassi e capace di sviluppare una profondità che appare davvero sorprendente per un artista che ha abbondantemente superato la soglia dei settant'anni.  (...)


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Monday, April 13, 2015

CHINATOWN

Uscire fuori da una notte di guardia e immergermi nella mia città. Milano, chi ti ama? Forse neanche quelli che hai fatto nascere. E neppure quelli a cui, nel bene e nel male, hai dato tutto. Come le anime perse, che sanno di percorrere strade troppo pericolose, sembra tu faccia di tutto per allontanare da te anche chi ti vuol bene. Maleducata e violenta, maltratti l'amato, fuggi da chi, nonostante tutto, ti vuole serrare a sé. Cercarti, riconoscerti negli anfratti dove ti nascondi. Leccare le tue ferite. E dirti che ciò che il cuore desidera esiste e che anche tu, a tua volta maltrattata e violentata, quel cuore lo possiedi ancora.
Quasi ogni settimana ti attraverso da parte a parte, da ovest ad est, dal punto dove tutto sembra tramontare a quello dove la speranza si riaccende. Passo dai grattacieli di Porta Nuova, scruto da lontano le sagome di pietra del Monumentale. Fisso la besta negli occhi. Nei pedoni frettolosi, nelle auto nevrotiche e veloci. Nei passanti dallo sguardo smarrito, senza meta nonostante abbiano un destino.
Ma stamani cammino a piedi. Percorro Paolo Sarpi di un passo lento, vado su e giù mentre la via sonnecchia ancora. Chinatown é zeppa di volti che appaiono come inanimati. Fermi sulla soglia dei negozi, intenti a spazzare il marciapiede, o appoggiati, inerti, lungo il bancone di un bar. Mi sembrano tutti uguali e tutti tristi. Occhi stranieri con lo sguardo fisso nel vuoto. Come questa strada, d'altra parte, dove il sole filtra tra i palazzi senza creare luci né ombre. Un'alternanza di marciapiedi scuri e di palazzi accecanti, senza colori né chiaroscuri.
Fotografo immagini nella mente che poi non riesco a elaborare. Il mio telefono, con la sua fotocamera, é altrove, nelle mani di qualcuno che lo sappia riparare. Scivolato,  é caduto, come capita di sovente nella vita, e si é riempito di crepe. E quelle crepe, invece che far passare la luce, si sono ramificate e moltiplicate a vista d'occhio, come succede spesso ai cuori. Sono cose che ciascuno sa, ma dalle quali non si riesce mai ad imparare abbastanza. Cerco un giornalaio o un negozio di libri e m'imbatto solo in ristoranti chiusi o negozi di bigiotteria. Trovo una chiesa, quella della Santissima Trinità. O forse é lei che ha trovato me. E allora entro.
La chiesa é grande, ma devi andarci dentro per capirlo davvero. Sembra quasi che voglia superare tutte le altre case, arrivare a sfiorare il cielo. Vetrate piccole e poste in alto lasciano filtrare i raggi del sole, che colora coi suoi raggi il pavimento. Tutti i riflessi rubati alla strada sembrano finiti qui e luci ed ombre vanno a convergere nello stesso punto. Un crocifisso con le braccia incurvate e il petto steso in avanti. Un mazzo di gigli in fiore dietro al Suo corpo martoriato. Gesù abbandonato, morto e poi risorto, dicono che non ci sia bisogno d'altro. Che tutto il resto sia corollario. Punto di partenza e punto d'arrivo per ogni cosa.
Prego per un po'. Malamente e distrattamente, come mi capita spesso. Ma prego. Per i miei affetti, per gli amici, per i colleghi di lavoro. Per quella donna troppo giovane per essere volata via proprio durante il mio turno di guardia. E per gli amori inconsolabili che ha lasciato quaggiù. Uno solo é il Consolatore. Uno solo l'abbraccio di una misericordia che non ha mai fine.
Prima di uscire raccolgo un cartoncino. L'annuncio dell'angelo a Maria, scritto in caratteri incomprensibili alla mente, ma sempre conosciuti dal cuore. Torno là fuori. Quell'abbraccio non mancherà. Quei volti non saranno lasciati soli, occhi che ora non sembrano più tristi e neppure tutti uguali. Vado a recuperare un telefonino che, come il mio cuore, é stato riparato da tutte le sue crepe. E sono sulla strada, di nuovo. La strada che porta verso casa.