François Xavier Nguyen Van Thuan nasce ad Hue, in Vietnam, il 17 aprile 1928.
Viene ordinato sacerdote nel giugno del 1953 e, dopo la laurea in diritto canonico conseguita a Roma nel 1959, torna in Vietnam, dove diviene vescovo di Nha Trang nel 1967.
Il 24 aprile 1975 viene nominato arcivescovo di Saigon, ma solo pochi mesi dopo, il 15 agosto viene arrestato ed imprigionato dai dirigenti del regime comunista.
Trascorrerà tredici anni in prigione, di cui ben nove in isolamento.
Scarcerato il 21 novembre 1988 ed espulso dal paese, tornerà a Roma, dove sarà nominato presidente del Pontificio Consiglio "Giustizia e Pace".
Nominato cardinale nel 2001, conclude la sua avventura terrena il 16 settembre 2002, a seguito di lunga e dolorosa malattia.
Nel 2000 Giovanni Paolo II lo aveva chiamato a tenere gli esercizi spirituali quaresimali della Curia Romana. Van Thuan rimase perplesso di fronte alla richiesta del papa: "
Santo Padre, cado delle nuvole, sono sorpreso. Forse potrei parlare della speranza ?".
"
Porti la sua testimonianza !" fu la risposta del papa.
Questi che seguono sono stralci di essa.
Un cammino di croce e resurrezione, come quello che ci apprestiamo a rivivere in questi giorni di preparazione alla Pasqua.
IN PRIGIONE
“Il 15 agosto 1975, festa dell’Assunta, a Saigon sono stato invitato a recarmi al Palazzo dell’Indipendenza. Là sono stato arrestato. Erano le 14.00. In quel momento tutti i sacerdoti, i religiosi e le religiose erano stati convocati al Teatro dell’Opera, allo scopo di evitare ogni reazione da parte del popolo. Inizia così per me una nuova e specialissima tappa della mia lunga avventura.
Sono partito da casa vestito con la tonaca, con un rosario in tasca. Durante il viaggio verso la prigione, mi rendo conto che sto perdendo tutto. Non mi resta che affidarmi alla Provvidenza di Dio. Pur in mezzo a tanta ansia, sento una grande gioia: oggi è la festa dell’Assunzione della Beata Vergine Maria in cielo.
Da quel momento è vietato chiamarmi vescovo, padre… Sono il signor van Thuan. Non posso più portare nessun segno della mia dignità. Senza preavviso, mi viene chiesto, anche da parte di Dio, un ritorno all’essenziale”.
“Durante la mia lunga tribolazione di nove anni di isolamento, in una cella senza finestre, a volte sotto la luce elettrica per molti giorni, a volte nell’oscurità, mi sentivo soffocare per il caldo e l’umidità, al limite della pazzia. Ero ancora un giovane vescovo, con otto anni di esperienza pastorale. Non riuscivo a dormire, ero tormentato al pensiero di dover abbandonare la diocesi, di lasciar andare in rovina tante opere che avevo avviato per Dio. Sperimentavo come una rivolta in tutto il mio essere.
Una notte, dal profondo del cuore una voce mi disse: “Perché ti tormenti così? Tu devi distinguere tra Dio e le opere di Dio. Tutto ciò che hai compiuto e desideri continuare a fare, è un’opera eccellente, sono opere di Dio, ma non sono Dio! Se Dio vuole che tu abbandoni tutto ciò, fallo subito, e abbi fiducia in lui! Dio farà le cose infinitamente meglio di te. Egli affiderà le sue opere ad altri che sono molto più capaci di te. Tu hai scelto Dio solo, non le sue opere!”. …Da quel momento una nuova forza ha riempito il mio cuore e mi ha accompagnato per 13 anni. Sentivo la mia debolezza umana, rinnovavo questa scelta di fronte alle situazioni difficili, e la pace non mi è mai mancata”.
TESTIMONE DI SPERANZA
“Dopo il mio arresto, vengo portato durante la notte da Saigon fino a Nhatrang, un viaggio di 450 km, in mezzo a due poliziotti. Ha inizio l’esperienza di una vita da carcerato: non ho più orario.
In quei giorni, in quei mesi tanti sentimenti confusi mi arrovellano la mente: tristezza, paura, tensione. Il mio cuore è lacerato per la lontananza dal mio popolo. Nel buio della notte, in mezzo a questo oceano di angoscia, piano piano mi risveglio: “Devo affrontare la realtà. Sono in prigione. Se aspetto il momento opportuno per fare qualcosa di veramente grande, quante volte mi si presenteranno simili occasioni? C’è una sola cosa che arriverà certamente: la morte. Occorre afferrare le occasioni che si presentano ogni giorno, per compiere azioni ordinarie in modo straordinario”. Nelle lunghe notti in prigione, mi rendo conto che vivere il momento presente è la via più semplice e più sicura alla santità”.
“Io non aspetterò - mi sono detto -. Voglio vivere il momento presente, colmandolo di amore.
Il cammino della speranza è fatto di piccoli passi di speranza. La vita di speranza è fatta di brevi passi di speranza.
Ogni minuto voglio dirti: Gesù, ti amo, la mia vita è sempre una “nuova ed eterna alleanza con te”.
“Quando avevo perso tutto ed ero in prigione, ho pensato di prepararmi un vademecum che mi potesse consentire di vivere anche in quella situazione la Parola di Dio. Non avevo né carta né quaderni, ma la polizia mi forniva dei fogli sui quali avrei dovuto scrivere le risposte alle tante domande che mi facevano. Allora, a poco a poco, ho cominciato a sottrarre alcuni di questi pezzi di carta e sono riuscito a fare una minuscola agenda sulla quale giorno per giorno ho potuto scrivere, in latino, più di 300 frasi della sacra Scrittura che ricordavo a memoria. La Parola di Dio, così ricostruita, è stata il mio vademecum quotidiano, il mio scrigno prezioso da cui attingere forza e alimento”.
“Nella prigione di Phu-Khanh, i cattolici dividevano il Nuovo Testamento, che avevano portato di nascosto, in piccoli foglietti, se li distribuivano e li imparavano a memoria. Siccome il pavimento era di terra o di sabbia, quando sentivano i passi dei poliziotti, nascondevano la Parola di Dio sotto il suolo.
La sera, al buio, ognuno recitava a turno la parte che aveva imparato. Era impressionante e commovente sentire nel silenzio e nell’oscurità la Parola di Dio, il Vangelo vivo, recitato con tutta la forza d’animo da cristiani che lo vivevano sulla loro pelle".
"Quando sono stato arrestato, ho dovuto andarmene subito a mani vuote. L'indomani mi è stato permesso di scrivere ai miei per chiedere le cose più necessarie. Ho scritto tra l'altro: Per favore, mandatemi un po' di vino, come medicina contro il mal di stomaco. I fedeli hanno subito capito e mi hanno mandato una piccola bottiglia di vino per la Messa con l'etichetta: "Medicina contro il mal di stomaco" e delle ostie nascoste in una fiaccola contro l'umidità. Così ogni giorno, con tre gocce di vino e una goccia d'acqua nel palmo della mano, ho celebrato la Messa. Era questo il mio altare ed era questa la mia cattedrale ! Era la vera medicina dell'anima e del corpo. Ogni volta avevo l'opportunità di stendere le mani e di inchiodarmi sulla croce con Gesù, di bere con lui il calice più amaro. Ogni giorno, recitando le parole della consacrazione, confermavo con tutto il cuore e con tutta l'anima un nuovo patto, un patto eterno fra me e Gesù, mediante il suo sangue mescolato al mio. Erano le più belle Messe della mia vita !"
L’ARTE DI AMARE
"Un giorno dovevo tagliare un bel po' di legname. Allora ho domandato ad una delle guardie:
“Mi permette di tagliare un pezzo di legno in forma di croce?”
“Ma perché?”
Ho detto semplicemente: “Per un ricordo! “
“ È vietato! “ - è stata la secca risposta – “Sì, lo so. Ma lei é mio amico”.
“ Ma se sarò scoperto, sarò punito !”.
“ È vero che io non posso fare questo davanti ai suoi occhi, ma lei chiuda gli occhi, non mi guardi. “
Allora è andato via, e così ho potuto tagliare un pezzo di legno in forma di croce che ho nascosto nel sapone finché sono stato in carcere.
Poi, quando fui rimesso in libertà, l'ho ricoperto con un po' di metallo ed è diventata la mia croce di vescovo.
Più tardi in un'altra prigione presso Hanoi ho domandato ad un'altra guardia:
“ Lei può aiutarmi? “
“A fare cosa? “
“Voglio tagliare un pezzo di filo elettrico.”
Preoccupato, mi chiede: “ Lei vuole suicidarsi? “
No. Io devo vivere per portare avanti i valori del cristianesimo.
“Allora che cosa vuol fare? “
“ Una catena per portare la mia croce. “
“ Ma come si può fare una catena con filo elettrico? “
- Io posso farla. Mi presti due piccole tenaglie e glielo mostrerò.
È andato via senza dirmi niente. Pochi giorni dopo è tornato:
- Io non posso rifiutarle questo, perché lei è troppo buon amico. Domani è il mio turno di guardia dalle sette alle undici. Porterò il filo elettrico. Però abbiamo solo queste quattro ore. Dopo, se qualcuno viene e ci vede può denunciarci, per cui bisogna finire entro quel tempo.
Abbiamo finito effettivamente in quattro ore. Ed è questa catena che oggi sostiene la mia croce pettorale.
Ma non si tratta solo di un ricordo. Essa serve, adesso come allora, a rendere viva la chiamata di Gesù che abbiamo ascoltato nel vangelo appena letto: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati. Io ho dato la mia vita per voi. Date anche voi la vita per i vostri amici» (cf Gv 15, 12-13). È il segno del più grande amore".
MARIA
“Durante la marcia nelle tenebre da carcerato, ho pregato Maria con tutta semplicità: “Madre, se tu vedi che non potrò essere più utile alla tua Chiesa, concedimi la grazia di consumare la mia vita in prigione. Altrimenti, concedimi di uscire dalla prigione in una tua festa”.
Un giorno, mentre mi sto preparando il pranzo, sento squillare il telefono delle mie guardie. “Forse questa telefonata è per me! E’ vero, oggi è il 21 novembre, festa della Presentazione di Maria al Tempio!”. Poco dopo una delle guardie viene e mi dice: “Dopo il pranzo si vesta bene. Andrà a vedere il capo”. In quel pomeriggio ho incontrato il Ministro degli Interni. “Lei ha un desiderio da esprimere?” “Sì, Signor Ministro, voglio la libertà”. “Quando?”. “Oggi”. Il Ministro mi guarda molto sorpreso. Spiego: “Signor Ministro, sono stato troppo a lungo in prigione. Sotto tre pontificati. Quello di Paolo VI, di Giovanni Paolo I e di Giovanni Paolo II. E inoltre sotto quattro Segretari generali del Partito comunista sovietico”. Lui si mette a ridere e voltandosi verso il suo segretario dice: “Fate il necessario per esaudire il suo desiderio”. Esulto: Maria mi libera: Grazie a te, Madre! Buona festa!
LA LIBERTA’
"Quando sono stato nominato cardinale dal Santo Padre, ho sentito nel mio cuore: Io non sono degno, pregate per me. Nella grazia gratuita del Signore mi sento pieno della sua misericordia. Ho passato 13 anni in carcere. Adesso per me dare la vita significa lavorare nel servizio alla Chiesa e all'umanità nel dicastero Giustizia e Pace. In esso posso diminuire la miseria nel mondo, portare la pace, cancellare il debito, alleviare la fame e la malattia nel mondo".
CON GIOIA E CON AMORE
"C'è stato un fatto che per me fu impressionante. Tutta la corrispondenza che io potevo ricevere erano soltanto due lettere dalla mia mamma ogni anno. Ma un giorno mi è arrivata una lettera di Chiara Lubich. Non so come, ma è arrivata, la polizia me l'ha passata. E' stata una grande gioia e sostegno, perché mi sono sentito in comunione con voi tutti pur essendo isolato e lontano".