Friday, April 20, 2007

ABITO DI SPERANZA

Dedicato a Domenico Mangano
(la cui vita è raccontata nel libro di Paolo Crepaz
"Frammenti di reciprocità",
edizioni Città Nuova)


Capitò un giorno che un caro amico mi svelasse un modo nuovo col quale guardare le persone.
Lo ascoltai in un pomeriggio d'inverno, il freddo inverno del 2001, quando le torri gemelle erano cadute da poco.
Parlò di "abiti" che siamo soliti cucire "addosso alle persone" e che, come fardelli insopportabili, ci vengono "sempre di fronte, anche nei momenti più belli". Quegli abiti - spiegò a me e ad altri l'amico quella volta - sono le cattive impressioni, le esperienze deludenti, i nostri giudizi negativi, tutto ciò che ci impedisce di guardare ciascuno con occhi nuovi ogni mattina.
Feci fatica lì per lì ad accettare tutto ciò, ma poi, piano piano, mi parve di capire; stavo entrando in punta di piedi nel cuore di qualcosa che non era un bel discorso morale, giusto e condivisibile, ma un fatto del tutto diverso.
Quel che percepivo vibrava di vita propria: era un fremito nuovo, divenuto d'un tratto avvenimento.
Il mio amico, per la profonda unità che era presente tra noi, era riuscito a far passare il senso di uno sguardo; ora potevo immaginare come Dio ci guardava in ogni istante: la sua misericordia era toglierci di dosso quell'abito di continuo.

Da quel giorno non fui più lo stesso di prima, poiché ora non potevo non sapere.
Certo la realtà era sempre lì, con tutte le sue delusioni, le paure ed i problemi, le situazioni irrisolte.
Ma non potevo più ignorare che la "purificazione della memoria" era possibile in ogni istante, che qualsiasi fratello - qualunque davvero - mi era stato dato in dono.

Ma rimaneva ancora qualcosa ad ingessare il mio agire, che mi bloccava e rendeva vano quel che mi pareva d'aver compreso.
Scoprii che era l'abitino che avevo cucito su di me.
Era sempre stato lì, stretto al punto giusto, fatto di fallimenti, di pretese ed ambizioni, di orgoglio sopraffino.
Uno sguardo anch'esso, in fondo, ma privo di misericordia, freddo e spietato.
Questa volta però non aveva a che fare col prossimo, bensì con me stesso.
Allora mi accorsi, d'un tratto, che quello sguardo pretendeva di farsi da sé: non aveva mai chiesto aiuto.
Così, finalmente, arrivò il momento che da sempre aspettavo: mi tolsi l'abito di dosso e, rimasto nudo, mi affidai.

Da allora l'incoerenza e l'infedeltà non mi spaventano più.
E da quel giorno, nella mia mente affiorano spesso, più di tante altre parole, queste di Chiara Lubich; allora le stringo forti a me, come la perla preziosa di un tesoro che nessuno mi porterà via mai più, e - ora sì, sicuro e felice - continuo per il mio cammino.

" (...) riconosco tante volte al giorno che Tu sei morto per i miei peccati e le mie infedeltà, ma quando ne commetto qualcuna perdo la pace, come se non potessi essere più perdonato. Mi illudo dicendo che é delicatezza di coscienza l'ossessione che le mie infedeltà provocano in me: invece é l'orgoglio sopraffino. (...) RiconoscerTi, abbracciarTi nelle umiliazioni che seguono le mie infedeltà, questo Ti fa piacere, perché allora solo l'Amore può riconoscerTi, l'intelligenza non arriva a tanto. "Chi non ama non ti conosce"

(Chiara Lubich)

Sunday, April 15, 2007

NOT DARK YET


They tell me to be discreet for all intended purposes
They tell me revenge is sweet and from where they stand, I'm sure it is
But I feel nothing for their game where beauty goes unrecognized
All I feel is heat and flame and all I see are dark eyes

(Bob Dylan, Dark Eyes)

I fortunati spettatori di quel di New York e Philadelphia che, nei giorni antecedenti il Natale del 1995, si trovarono ad assistere ai concerti di Bob Dylan, ebbero la fortuna di godersi ogni sera un inedito duetto con Patti Smith, in una canzone che Dylan raramente avrebbe poi ripreso nei concerti del suo Never Ending Tour.
Dark Eyes, intensissimo ed oscuro brano tratto da Empire Burlesque del 1986 - inciso solo voce, chitarra acustica ed armonica, in un album che fa del ritmo e della musicalità la propria struttura portante - appariva davvero scelta ricca di pathos, a conferire ancor più fascino a quei pochi minuti di sodalizio musicale dei due.


Sono passati gli anni e Patti ne ha compiuti da poco 60, ma la vena creativa ed interpretativa appare assai lontana dallo spegnersi.
E' di questi giorni l'uscita del nuovo album, Twelve, fatto di covers di grandi autori - Neil Young, Hendrix, Dylan, Doors, Paul Simon ed altri - eseguite talora con dolcezza, talaltra con grande grinta, sempre e comunque con classe ed originalità.
Per la poetessa del rock, non nuova nella capacità di donare nuova vita anche alle canzoni di altri autori, il tempo sembra davvero non essere passato, anzi sembra averle rivitalizzato anima e cuore.
In questi momenti sembra davvero lontano uno sguardo che nasca da occhi scuri, come par di comprendere da queste sue parole pronunciate all'inizio dell'anno :

"(...) Devo dire che é stato davvero bello incontrare l'alba raccogliendo i soliti vecchi vestiti e camminare scalza sul pavimento e poi uscire nel mondo in cerca di un caffé, incontrando amici, vicini e passando accanto a tutti sentire una parola carina e incoraggiante.
Voglio ringraziare tutti quanti, così come provare a mandare qualche parola d'incoraggiamento anche da parte mia.
Un nuovo anno comincia e ci dà l'opportunità di rivalutarci fisicamente, emotivamente e spiritualmente. Non c'é ragione al mondo per cui ognuno di noi non possa prendersi cura di sé stesso e migliorare la sua situazione. (...) Dire un semplice grazie prima di mangiare. Guardare oltre alle nostre proprietà, andare avanti e pensare a quello che veramente vogliamo o non vogliamo. Se uno ha dei vizi e non può rinunciare a loro, cominci a tagliare. Cominciate con le piccole cose e vi sentirete meglio: compiendole, aggiungerete via via cose più stimolanti. (...)
A volte chiediamo così tanto a noi stessi che ci sentiamo sconfitti prima ancora di cominciare. Non sconfiggetevi. Siamo fortunati ad essere vivi. Penso sempre al verso di Jimi Hendrix: "Hooray I wake up from yesterday". Già soltanto l'essere vivi é un dono.
Su questo pensiero possiamo costruire ogni giorno.
Bene, buon anno. E grazie a tutti.
Prendo i miei consigli, cambio i calzini e me ne vado per la mia strada. "

Twelve é un bel disco, che cresce ascolto dopo ascolto.
Per Patti Smith, direbbe forse Dylan, it's not dark yet.

Wednesday, April 11, 2007

LA MAGIA DI RADIATOR SPRINGS


John Steinbeck concludeva così il suo punto di vista sulle superstrade americane, nel libro Viaggiando con Charley: "queste strade sono ottime per il trasporto delle merci, ma non riusciranno mai a far capire cosa significhi il paesaggio. Quando imboccheremo una di queste strade che attraversano il Paese da una costa all'altra, cosa che accadrà di sicuro, andremo da New York alla California senza aver visto assolutamente niente".
Di tutt'altra opinione Mike Bryan, che, nel suo Uneasy Rider, afferma : "a mio parere si capisce molto ma molto di più percorrendo una di queste strade (le superstrade, ndr) o visitando i dintorni: si vede l'America non solo com'é, ma come sarà; ci si trova faccia a faccia con la verità, bella o sgradevole che sia..."

I creatori di Cars, il film d'animazione della Pixar che ha seguito il successo de Alla ricerca di Nemo e Gli incredibili, sembrerebbero più seguaci di Steinback che di Mike Bryan, pur apparendo condivisibili anche le affermazioni di quest'ultimo.
Fatto sta che il film, tra le altre cose, è anche l'elegia della Route 66, la mitica strada statale americana, dimenticata per molti anni, ma ora eletta a sorta di nuovo monumento nazionale degli Stati Uniti.
C'é un punto del film, accompagnato dalle melodie struggenti di Randy Newman, in cui Sally, la "bella" del paese di Radiator Springs, porta Saetta McQueen ad ammirare il paesaggio mozzafiato, fatto di canyons e distese sterminate, su un tratto abbandonato della vecchia strada. Saetta si stupisce che lassù non vada più nessuno a godere di una tale bellezza :

Sally: Non é stato sempre così.
Saetta McQueen: Ah no ?
Sally: No, quarant'anni fa quell'autostrada laggiù non esisteva.
Saetta: Davvero ?
Sally: Già. A quei tempi le auto attraversavano il paese in un modo del tutto diverso.
Saetta: Che cosa vuoi dire ?
Saetta: Beh, la strada non era diritta come l'autostrada ora. Seguiva il paesaggio, sai ?
Saliva, scendeva, si arrampicava. Allora il bello non era arrivare. Il bello era viaggiare...

Il cambiamento di Saetta McQueen comincia qui e pian piano quell'auto da corsa giovane, inesperta e presuntuosa imparerà a scoprire le regole degli abitanti di quella piccola cittadina, fatte di dignità e lealtà, di passione ed amicizia, regole che lui non conosceva prima d'allora e che non aveva perciò imparato a rispettare, ma che ora scoprirà essere il tesoro prezioso di quel luogo tagliato fuori dall'autostrada e dalla frenesia dei tempi moderni.
Potrebbe sembrare operetta morale alla fine, ed é il rischio che questi film d'animazione corrono sempre, ma qualcosa in più questa volta c'é.
E' l'esperienza del regista John Lasseter, che racconta così momenti di vita vissuta, alla base dell'ideazione e della realizzazione del film:

"Cars per me é un film molto personale.

Non solo la storia é ispirata al mio amore per le automobili e a mio padre, addetto ai ricambi in una concessionaria Chevrolet, ma é ispirato ad un evento realmente accaduto nella mia vita.
Diressi Toy Story, Megaminimondo e Toy Story 2. Quando completammo Toy Story 2 era il 1999. Erano passati nove anni ed avevamo quattro figli.
Mia moglie mi disse: "John, la sai una cosa, ti abiamo sostenuto mentre giravi questo film e durante la nascita della Pixar e tutto quanto. Ma ti conviene fare attenzione, perché un giorno ti sveglierai, i tuoi figli andranno all'università e ti sarai perso ogni cosa".
Così mi presi una lunga vacanza. Mia moglie ed io comprammo un camper usato e io decisi di esplorare l'America evitando le autostrade.
E sapete cosa é successo ?

La nostra famiglia ne uscì fortificata.
E quell'estate mi ha cambiato la vita.
Tornai a casa sapendo che questo film si sarebbe basato su un personaggio che scopre ciò che ho scoperto io. Cioé che nella vita é il viaggio la vera ricompensa.
Così iniziai a pensare e decisi di usare un'auto da corsa. In quel mondo conta solo la vittoria, la conquista del campionato. Era il personaggio ideale.
D'improvviso sarebbe stato costretto a rallentare."

Rallentare, dunque, e Cars, in una straordinaria miscela di personaggi originali (Carl Attrezzi e Doc Hudson tra gli altri), buoni effetti scenici, vivacità e simpatia, diviene alla fine anche elogio della lentezza.
Ed é proprio quello di cui abbiamo bisogno oggi, perché la corsa senza senso che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno possa lasciare spazio ad un po' più di bellezza.

Thursday, April 05, 2007

IL SEME DENTRO LE COSE


La notai subito, all'inizio dell'anno scolastico, quella frase posta all'ingresso delle scuole dei miei figli, la materna e l'elementare, e mi fece profondamente riflettere.
Campeggiava a mo' di programma e diceva : "cerchiamo insieme cosa c'é dentro le cose".
Sulle prime mi parve di capirla, con gli occhi della fede, ma col tempo appresi che aveva invece a che fare con un cammino.
Furono - e sono tuttora - tante cose: i racconti dei bambini quando tornano a casa, i loro sguardi e quelli dei loro compagni, il percorso educativo, profondamente partecipato alle famiglie; ma anche piccole cose, come il sorriso di un amico genitore, la preparazione di alcuni momenti durante l'anno scolastico, l'unità con gli insegnanti.
Quando l'educazione é conseguenza dello sperimentare un'amicizia speciale, allora ti rendi conto che il maestro é un Altro, Colui che ha garantito di essere presente tra noi quando siamo uniti nel Suo nome ("Dove due o tre sono uniti nel mio nome, ivi sono io in mezzo a loro" - Mt. 18,20).
Così, ancora oggi, l'entusiasmo del cercare cosa c'é dentro le cose nasce da quel farlo insieme: la gioia é quella di un cammino condiviso.

Se i miei figli sono felici di andare a scuola é perché - a sprazzi forse, ma certamente - si fanno capaci, insieme agli altri bambini, agli insegnanti ed ai genitori, di andare avanti giorno per giorno così.
Allora dentro le cose sono in grado di vedere anche il seme, quello di cui Don Carlo ha parlato ai bambini della scuola dell'infanzia:
"il seme é quel "cosino" speciale che Dio ha messo nella natura come "concentrato" di tutto quello che da esso si svilupperà: come fiore, come alberello, come maestosa sequoia.
Possiamo paragonare Gesù a Pollicino, anche lui lascia tracce da tutte le parti, non bricioline di pane, ma semini. Quali semini ? Gli avvenimenti.
Lui stesso é l'avvenimento degli avvenimenti, il semino d'oro più bello che c'é.
Questo semino é caduto in terra, ed é il mistero della morte e della resurrezione di Gesù. Ora é un albero grande e sui suoi rami noi stiamo comodi ed appollaiati.
Sta a noi ricreare, trovare, lasciarci abbracciare e abbracciare a nostra volta con tutto il cuore".

Sunday, April 01, 2007

IL MIRACOLO DI VAN THUAN

François Xavier Nguyen Van Thuan nasce ad Hue, in Vietnam, il 17 aprile 1928.
Viene ordinato sacerdote nel giugno del 1953 e, dopo la laurea in diritto canonico conseguita a Roma nel 1959, torna in Vietnam, dove diviene vescovo di Nha Trang nel 1967.
Il 24 aprile 1975 viene nominato arcivescovo di Saigon, ma solo pochi mesi dopo, il 15 agosto viene arrestato ed imprigionato dai dirigenti del regime comunista.
Trascorrerà tredici anni in prigione, di cui ben nove in isolamento.
Scarcerato il 21 novembre 1988 ed espulso dal paese, tornerà a Roma, dove sarà nominato presidente del Pontificio Consiglio "Giustizia e Pace".
Nominato cardinale nel 2001, conclude la sua avventura terrena il 16 settembre 2002, a seguito di lunga e dolorosa malattia.

Nel 2000 Giovanni Paolo II lo aveva chiamato a tenere gli esercizi spirituali quaresimali della Curia Romana. Van Thuan rimase perplesso di fronte alla richiesta del papa: "Santo Padre, cado delle nuvole, sono sorpreso. Forse potrei parlare della speranza ?".
"Porti la sua testimonianza !" fu la risposta del papa.
Questi che seguono sono stralci di essa.
Un cammino di croce e resurrezione, come quello che ci apprestiamo a rivivere in questi giorni di preparazione alla Pasqua.

IN PRIGIONE

“Il 15 agosto 1975, festa dell’Assunta, a Saigon sono stato invitato a recarmi al Palazzo dell’Indipendenza. Là sono stato arrestato. Erano le 14.00. In quel momento tutti i sacerdoti, i religiosi e le religiose erano stati convocati al Teatro dell’Opera, allo scopo di evitare ogni reazione da parte del popolo. Inizia così per me una nuova e specialissima tappa della mia lunga avventura.
Sono partito da casa vestito con la tonaca, con un rosario in tasca. Durante il viaggio verso la prigione, mi rendo conto che sto perdendo tutto. Non mi resta che affidarmi alla Provvidenza di Dio. Pur in mezzo a tanta ansia, sento una grande gioia: oggi è la festa dell’Assunzione della Beata Vergine Maria in cielo.
Da quel momento è vietato chiamarmi vescovo, padre… Sono il signor van Thuan. Non posso più portare nessun segno della mia dignità. Senza preavviso, mi viene chiesto, anche da parte di Dio, un ritorno all’essenziale”.
“Durante la mia lunga tribolazione di nove anni di isolamento, in una cella senza finestre, a volte sotto la luce elettrica per molti giorni, a volte nell’oscurità, mi sentivo soffocare per il caldo e l’umidità, al limite della pazzia. Ero ancora un giovane vescovo, con otto anni di esperienza pastorale. Non riuscivo a dormire, ero tormentato al pensiero di dover abbandonare la diocesi, di lasciar andare in rovina tante opere che avevo avviato per Dio. Sperimentavo come una rivolta in tutto il mio essere.
Una notte, dal profondo del cuore una voce mi disse: “Perché ti tormenti così? Tu devi distinguere tra Dio e le opere di Dio. Tutto ciò che hai compiuto e desideri continuare a fare, è un’opera eccellente, sono opere di Dio, ma non sono Dio! Se Dio vuole che tu abbandoni tutto ciò, fallo subito, e abbi fiducia in lui! Dio farà le cose infinitamente meglio di te. Egli affiderà le sue opere ad altri che sono molto più capaci di te. Tu hai scelto Dio solo, non le sue opere!”. …Da quel momento una nuova forza ha riempito il mio cuore e mi ha accompagnato per 13 anni. Sentivo la mia debolezza umana, rinnovavo questa scelta di fronte alle situazioni difficili, e la pace non mi è mai mancata”.
TESTIMONE DI SPERANZA
“Dopo il mio arresto, vengo portato durante la notte da Saigon fino a Nhatrang, un viaggio di 450 km, in mezzo a due poliziotti. Ha inizio l’esperienza di una vita da carcerato: non ho più orario.
In quei giorni, in quei mesi tanti sentimenti confusi mi arrovellano la mente: tristezza, paura, tensione. Il mio cuore è lacerato per la lontananza dal mio popolo. Nel buio della notte, in mezzo a questo oceano di angoscia, piano piano mi risveglio: “Devo affrontare la realtà. Sono in prigione. Se aspetto il momento opportuno per fare qualcosa di veramente grande, quante volte mi si presenteranno simili occasioni? C’è una sola cosa che arriverà certamente: la morte. Occorre afferrare le occasioni che si presentano ogni giorno, per compiere azioni ordinarie in modo straordinario”. Nelle lunghe notti in prigione, mi rendo conto che vivere il momento presente è la via più semplice e più sicura alla santità”.
“Io non aspetterò - mi sono detto -. Voglio vivere il momento presente, colmandolo di amore.
Il cammino della speranza è fatto di piccoli passi di speranza. La vita di speranza è fatta di brevi passi di speranza.
Ogni minuto voglio dirti: Gesù, ti amo, la mia vita è sempre una “nuova ed eterna alleanza con te”.
“Quando avevo perso tutto ed ero in prigione, ho pensato di prepararmi un vademecum che mi potesse consentire di vivere anche in quella situazione la Parola di Dio. Non avevo né carta né quaderni, ma la polizia mi forniva dei fogli sui quali avrei dovuto scrivere le risposte alle tante domande che mi facevano. Allora, a poco a poco, ho cominciato a sottrarre alcuni di questi pezzi di carta e sono riuscito a fare una minuscola agenda sulla quale giorno per giorno ho potuto scrivere, in latino, più di 300 frasi della sacra Scrittura che ricordavo a memoria. La Parola di Dio, così ricostruita, è stata il mio vademecum quotidiano, il mio scrigno prezioso da cui attingere forza e alimento”.
“Nella prigione di Phu-Khanh, i cattolici dividevano il Nuovo Testamento, che avevano portato di nascosto, in piccoli foglietti, se li distribuivano e li imparavano a memoria. Siccome il pavimento era di terra o di sabbia, quando sentivano i passi dei poliziotti, nascondevano la Parola di Dio sotto il suolo.
La sera, al buio, ognuno recitava a turno la parte che aveva imparato. Era impressionante e commovente sentire nel silenzio e nell’oscurità la Parola di Dio, il Vangelo vivo, recitato con tutta la forza d’animo da cristiani che lo vivevano sulla loro pelle".
"Quando sono stato arrestato, ho dovuto andarmene subito a mani vuote. L'indomani mi è stato permesso di scrivere ai miei per chiedere le cose più necessarie. Ho scritto tra l'altro: Per favore, mandatemi un po' di vino, come medicina contro il mal di stomaco. I fedeli hanno subito capito e mi hanno mandato una piccola bottiglia di vino per la Messa con l'etichetta: "Medicina contro il mal di stomaco" e delle ostie nascoste in una fiaccola contro l'umidità. Così ogni giorno, con tre gocce di vino e una goccia d'acqua nel palmo della mano, ho celebrato la Messa. Era questo il mio altare ed era questa la mia cattedrale ! Era la vera medicina dell'anima e del corpo. Ogni volta avevo l'opportunità di stendere le mani e di inchiodarmi sulla croce con Gesù, di bere con lui il calice più amaro. Ogni giorno, recitando le parole della consacrazione, confermavo con tutto il cuore e con tutta l'anima un nuovo patto, un patto eterno fra me e Gesù, mediante il suo sangue mescolato al mio. Erano le più belle Messe della mia vita !"
L’ARTE DI AMARE
"Un giorno dovevo tagliare un bel po' di legname. Allora ho domandato ad una delle guardie:
“Mi permette di tagliare un pezzo di legno in forma di croce?”
“Ma perché?”
Ho detto semplicemente: “Per un ricordo! “
“ È vietato! “ - è stata la secca risposta – “Sì, lo so. Ma lei é mio amico”.
“ Ma se sarò scoperto, sarò punito !”.
“ È vero che io non posso fare questo davanti ai suoi occhi, ma lei chiuda gli occhi, non mi guardi. “
Allora è andato via, e così ho potuto tagliare un pezzo di legno in forma di croce che ho nascosto nel sapone finché sono stato in carcere.
Poi, quando fui rimesso in libertà, l'ho ricoperto con un po' di metallo ed è diventa­ta la mia croce di vescovo.
Più tardi in un'altra prigione presso Hanoi ho domandato ad un'altra guardia:
“ Lei può aiutarmi? “
“A fare cosa? “
“Voglio tagliare un pezzo di filo elettrico.”
Preoccupato, mi chiede: “ Lei vuole suicidarsi? “
No. Io devo vivere per portare avanti i valori del cristianesimo.
“Allora che cosa vuol fare? “
“ Una catena per portare la mia croce. “
“ Ma come si può fare una catena con filo elettrico? “
- Io posso farla. Mi presti due piccole tenaglie e glielo mostrerò.
È andato via senza dirmi niente. Pochi giorni dopo è tornato:
- Io non posso rifiutarle questo, perché lei è troppo buon amico. Domani è il mio turno di guardia dalle sette alle undici. Porterò il filo elettrico. Però abbiamo solo queste quat­tro ore. Dopo, se qualcuno viene e ci vede può denunciarci, per cui bisogna finire entro quel tempo.
Abbiamo finito effettivamente in quattro ore. Ed è questa catena che oggi sostiene la mia croce pettorale.
Ma non si tratta solo di un ricordo. Essa serve, adesso come allora, a rendere viva la chiamata di Gesù che abbiamo ascoltato nel vangelo appena letto: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati. Io ho dato la mia vita per voi. Date anche voi la vita per i vostri amici» (cf Gv 15, 12-13). È il segno del più grande amore".
MARIA
“Durante la marcia nelle tenebre da carcerato, ho pregato Maria con tutta semplicità: “Madre, se tu vedi che non potrò essere più utile alla tua Chiesa, concedimi la grazia di consumare la mia vita in prigione. Altrimenti, concedimi di uscire dalla prigione in una tua festa”.
Un giorno, mentre mi sto preparando il pranzo, sento squillare il telefono delle mie guardie. “Forse questa telefonata è per me! E’ vero, oggi è il 21 novembre, festa della Presentazione di Maria al Tempio!”. Poco dopo una delle guardie viene e mi dice: “Dopo il pranzo si vesta bene. Andrà a vedere il capo”. In quel pomeriggio ho incontrato il Ministro degli Interni. “Lei ha un desiderio da esprimere?” “Sì, Signor Ministro, voglio la libertà”. “Quando?”. “Oggi”. Il Ministro mi guarda molto sorpreso. Spiego: “Signor Ministro, sono stato troppo a lungo in prigione. Sotto tre pontificati. Quello di Paolo VI, di Giovanni Paolo I e di Giovanni Paolo II. E inoltre sotto quattro Segretari generali del Partito comunista sovietico”. Lui si mette a ridere e voltandosi verso il suo segretario dice: “Fate il necessario per esaudire il suo desiderio”. Esulto: Maria mi libera: Grazie a te, Madre! Buona festa!
LA LIBERTA’
"Quando sono stato nominato cardinale dal Santo Padre, ho sentito nel mio cuore: Io non sono degno, pregate per me. Nella grazia gratuita del Signore mi sento pieno della sua misericordia. Ho passato 13 anni in carcere. Adesso per me dare la vita significa lavorare nel servizio alla Chiesa e all'umanità nel dicastero Giustizia e Pace. In esso posso diminuire la miseria nel mondo, portare la pace, cancellare il debito, alleviare la fame e la malattia nel mondo".
CON GIOIA E CON AMORE
"C'è stato un fatto che per me fu impressionante. Tutta la corrispondenza che io potevo ricevere erano soltanto due lettere dalla mia mamma ogni anno. Ma un giorno mi è arrivata una lettera di Chiara Lubich. Non so come, ma è arrivata, la polizia me l'ha passa­ta. E' stata una grande gioia e sostegno, per­ché mi sono sentito in comunione con voi tutti pur essendo isolato e lontano".