Mentre la macchina percorre l’autostrada, in viaggio verso Pusiano per l’atteso concerto di Lucinda Williams, il suo primo arrivo in Italia, penso che in fondo è proprio giusto che sia così. Che la mente si prepari all’ascolto delle sue canzoni lungo una striscia d’asfalto. “Il viaggiare appartiene alla mia vita – ebbe a dire una volta Lucinda – ed è qualcosa che fa parte della storia della cultura degli Stati Uniti. Woody Guthrie e Kerouac, “Highway 61 Revisited”, la route 66, Car Wheels On A Gravel Road…”. Viene in mente Mike Bryan, che nel suo libro “Uneasy Rider”, descrive quel desiderio ed insoddisfazione tipicamente americane, che fanno credere che il compimento di un’esistenza si trovi sempre dietro a una curva o in fondo a un rettilineo. E’ qualcosa che noi europei, così radicati al territorio e ad una storia bimillenaria, stentiamo talvolta a capire, ma che lo scrittore americano spiega molto bene: “viaggiando in superstrada, andavo nella stessa direzione di quella cultura, la vivevo dal di dentro, alla massima velocità e con la macchina migliore che potessi permettermi. Niente roulotte coi letti a castello e stufetta a gas, per il sottoscritto. Motel e ristoranti da camionisti dall’inizio alla fine del viaggio. Fissa la bestia negli occhi. Ama il tuo vicino di casa. Porgi l’altra guancia”.
Viaggiare lungo le strade dell’esistenza ed appassionarsi all’umano che vi si incontra. E’ di questo che è popolata la narrazione della Williams, personaggi e storie dipinte da una cantante che ha viaggiato avanti e indietro lungo la highway 20, l’interstatale che attraversa la Louisiana, sua terra d’origine, giungendo fino ad Austin, scenario, insieme a Los Angeles, dei suoi inizi di carriera. E The Ghosts Of Highway 20 è proprio il titolo del suo ultimo disco, in cui la bellezza dei testi e della voce si armonizza con le straordinarie chitarre di Bill Frisell e Greg Leisz. Accusata di narrare troppo spesso di amori non corrisposti e di vite fallite, di morte e di dolore, Lucinda si è sempre difesa. Già all’indomani dell’uscita di West, quasi dieci anni fa, affermava: “Sono passata attraverso tanti cambiamenti - la morte di mia madre ed una relazione tumultuosa finita male - perciò è logico che vi sia dolore e lotta, ma tutto approda in uno sguardo verso il futuro. Sono stanca di sentir dire dalla gente che le mie canzoni sono tristi. C'è molto di più di tutto questo. Alcuni dovrebbero leggere Flannery O'Connor e coglierne l'aspetto oscuro, ma anche quello filosofico della vita, così come quello comico a volte. Credo che nel disco ci sia tutto questo”. Adesso che la vita di Lucinda è andata avanti, ed è morto pure il padre - il celebre poeta Miller Williams - ma è nata anche una relazione stabile e felice con Tom Overby, suo manager attuale, lo sguardo è certamente più disteso, ma forse ancora più intenso. Parlando dell’ultimo album, dice: “con questo disco sono andata ancor più in profondità. Sono le storie che ho sempre raccontato, ma che, dopo tutti questi anni, si ripresentano sotto una diversa prospettiva. Il bene non arriva mai a prosciugarsi. Tutto ciò che devi fare è allungare la mano e ripescarlo di nuovo”. (...)
No comments:
Post a Comment