All’indomani dell’attentato alle Torri Gemelli, Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, morta nel 2007 ed oggi, con un processo di beatificazione in corso, annoverata tra i Servi di Dio, ebbe a dire che il mondo, nonostante tanto dolore, stava camminando più decisamente verso l’unità. Una visione paradossale, quasi sconcertante, da parte di una delle figure più innovative della Chiesa post-conciliare, e che torna alla mente di questi tempi, in cui l’orrore ha una cadenza pressoché giornaliera e quella terza guerra mondiale “a pezzi” di cui parla il Papa sembra avere frammenti sempre più estesi, pronti a confluire gli uni negli altri. Cosa spingeva la Lubich a vedere semi di fraternità in quei giorni così drammatici, a non smettere di testimoniare una speranza? La speranza, ha detto di recente padre Pierbattista Pizzaballa, per tanti anni custode della martoriata Terra Santa, è la più piccola delle virtù cristiane, ma è anche quella che tiene unite le altre due, fede e carità. E’ la capacità di vedere, nella fede, ciò che ancora non c’è, e realizzarlo concretamente nell’amore. Questo – egli afferma – costituisce la vita di tanti testimoni, dalle prime pagine bibliche ai martiri odierni. E il cristiano non vince il male, ma agisce per costruire il bene, consapevole che il male non lo priverà mai della propria libertà. E’ ciò che è accaduto a padre Hamel, che, alla fine di un’esistenza vissuta in donazione agli altri, non è stato in grado di opporsi al male che lo ha ucciso, ma ha reso quel male, in ultima analisi, impotente, perché incapace di distruggere il suo cuore. (...)
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