L'hanno fatto di nuovo. Mi hanno spostato un'altra volta la macchinetta del caffé. E stavolta l'hanno messa laggiù in fondo, in un angolo, incastrata tra tavoli e sedie ricoperti da teli impolverati, arredi di un salone d'ospedale che qualcuno sta aggiustando. Lavoro di operai, sincronizzato con quello di medici e infermieri, tecnici di laboratorio e portantini, umanità che corre, sbuffa, piange, ride, si abbraccia e si scontra in questo luogo senza spazio e senza tempo, dove si prova a rabberciare le ferite dei corpi, senza occuparsi mai abbastanza di quelle dell'anima.
Perché lo facciano - spostare in continuazione quella benedetta macchinetta del caffé - ancora non l'ho capito. Forse é per confondermi le idee, distogliere la mia attenzione su ciò che vale veramente, quello che mi tiene in piedi, alle tre del mattino come a mezzogiorno.
Il panorama e le luci della città, però, sono sempre al loro posto. Quelle non sono riusciti a toglierle, non ce l'hanno fatta con loro. E così sono finite a fare da sfondo a una finestra lunga, disposta davanti ad uno spazio enorme, tutto nuovo. Disposizioni anti-incendio, hanno spiegato. Già, come se bastasse. Creare un po' di spazio intorno alle ferite che bruciano per mettere tutto a posto, spegnere ogni tipo di fuoco. Le ferite di chi sta qui dentro e le altre, di tutti quelli che sono ancora fuori.
Ci sono un sacco di ferite in giro, se ne sente parlare in continuazione, anche adesso che é Natale, questo Natale che tanta gente dice di non sentire più. A dire il vero, non so se l'abbiano mai sentito prima. Ho una gran paura di no. Forse erano troppo presi a pensare a molte cose che non c'entravano nulla e così, adesso che cominciano a scarseggiare anche quelle, sentono tremare il terreno sotto i loro piedi.
Qualche giorno fa ne ho letta una veramente bella. Parlava del sogno di una giovane donna, sogno terribile. Lei si sveglia al mattino e corre dal marito. E' fragile e talvolta un po' insicura, come tutte le donne che aspettano un bambino. E dice che non riesce a capire quel sogno, ma crede che riguardi il figlio che sta per arrivare. Solo che quel figlio non lo nomina nessuno, anche se tutti corrono in giro da settimane a preparare quella che sembra una gigantesca festa di compleanno per lui. Lui però non c'é, non compare, non viene mai neppure nominato. "
Sai Giuseppe? - gli confida tra le lacrime -
Tutto era così bello e la gente così contenta, ma io avevo una gran voglia di piangere perché nostro figlio era completamente ignorato, non desiderato nella sua festa...".
Desiderio. Strana parola. Una di quelle che la gente oggi ignora. O che forse, invece, in qualche modo conosce ancora, ma ne ha perso di vista il vero significato. Cosa desiderare oggi? Di uscire dalla crisi? Di avere un futuro dall'orizzonte meno incerto? Di soffrire di meno e godere e divertirsi di più? Certo, a nessuno piace soffrire, ma il desiderio é qualcosa che ha a che fare coi bisogni e con il cuore, e che trascende il fatto che la vita debba passare a volte anche da una porta stretta.
Se il desiderio ha a che fare col bisogno, mi viene da pensare ad Uno che partiva sempre da quello per muovere ogni suo passo. Uno vissuto tanti anni fa, e che era nato proprio a Natale. Uno che partiva dal bisogno per poi condividere tutto l'umano con uno stile di vita proprio, che gli derivava da un rapporto d'amore: quello che viveva all'interno della Trinità. Perciò, alla fine, la domanda di pienezza e di felicità, costitutiva del cuore dell'uomo, finiva per avere un reale compimento. Ecco perché c'é un sacco di gente - me compreso - che rischia di non sentire più né questo né tutti gli altri Natali che verranno. Perché se non si parte da qui - il vero bisogno del nostro cuore - tutto si svuota di consistenza.
Ho preso il mio caffé, laggiù alla macchinetta, e me lo sono portato fino a qua, quella finestra lunga davanti alle luci della città. Toh, non me ne ero accorto prima, ma adesso ci hanno aggiunto davanti qualcosa. Un tavolino del soggiorno, ricoperto da un telo, e sopra le casette, la grotta ed i pastori. E' davvero tutta un'altra cosa adesso. Ora sì che il panorama mozzafiato di quassù comincia a rispondere ad un bisogno.
E' un piccolo frammento di gioia, quello che si fa strada, mentre il mio sguardo si sposta dalla città per soffermarsi su quel Bambino, piccolo e indifeso, ma capace di riscattare tutta l'umanità. Ed é come se, a poco a poco, anche i mille occhi che stanno laggiù, dentro tutte le case illuminate della città, convergessero il loro sguardo fino a qui, una piccola capanna, un frammento d'universo.
Ma in quel frammento c'é il Tutto ed io non ho bisogno d'altro per sentire che adesso davvero ogni cosa mi appartiene: "
Tutto é vostro - diceva San Paolo -
ma voi siete di Cristo e Cristo é di Dio".
Che bella avventura, l'attimo presente della vita.