Friday, December 08, 2006

IN MEMORIA DI MATTHEW


Ebola é uno strano virus, bizzarro e terribile allo stesso tempo.
Come il più temibile dei guerrieri di un tempo, compare all’improvviso in luoghi inattesi, distrugge quasi tutto ciò che incontra ed altrettanto in fretta scompare, lasciando dietro a sé sangue, lacrime e desolazione.
E’ una malattia quasi sempre letale, altamente contagiosa e impietosa nelle sue manifestazioni cliniche: una febbre emorragica che non risparmia alcun distretto dell’organismo.
A tutt’oggi é un male incurabile e difficilmente troverà mai qualcuno, industria farmaceutica o istituto di ricerca, che la consideri un grosso affare commerciale in cui valga la pena d’investire.
Troppo pochi, in fondo, i morti e troppo poveri e remoti i luoghi in cui é solito colpire.

Quando Ebola arriva in Uganda, nell’autunno del 2000, trova ad accoglierlo anche un’istituzione tra le più luminose di tutto il continente africano: il St. Mary’s Lacor Hospital, fondato dai coniugi Lucille e Piero Corti.
Quando il virus giunge lì trova ad attenderlo Matthew Lukwiya, un giovane e brillante medico ugandese che Piero Corti ha voluto alla guida del suo ospedale. Dotato di grandi capacità professionali, egli é tornato tra la sua gente dopo gli studi in Inghilterra, per servirla in spirito di amore ed umiltà, rinunciando ad una carriera in occidente che certamente non l’avrebbe privato di soddisfazioni.
Matthew riconosce subito, sin dalle prime segnalazioni di alcune morti sospette nel suo distretto, la possibilità che il terribile virus abbia di nuovo fatto capolino in terra d’Africa e giunge rapidamente alla diagnosi, avvalendosi di alcune strutture specializzate in indagini virologiche del Sud Africa. La notizia giunge rapidamente anche al prestigioso Center of Communicable Diseases (CDC) di Atlanta, massimo organo scientifico nel campo delle malattie infettive, che manderà una propria delegazione di studio e supporto nel giro di poco tempo.

Il personale dell’ospedale affronta l’emergenza medica con una dedizione mai vista.
Per curare il male non c’é terapia ma qui si assiste al “prendersi cura” degli ammalati ; sembra una banalità trattandosi di operatori sanitari, eppure c’é dell’eroico in tutto questo: quando Ebola si affaccia su qualche finestra del mondo suscita solo terrore e fuga ed anche questa reazione lo distingue tragicamente da altre malattie.
L’operato del personale in quelle settimane sarà memorabile. Il St.Mary Lacor pagherà la propria moneta con la perdita di tante vite, ma otterrà alla fine il risultato insperato di aver contenuto la mortalità globale in numeri che, seppur spaventosi, saranno decisamente ridotti rispetto alle precedenti epidemie.
Eppure il miracolo del Lacor Hospital é soprattutto la drammatica risposta positiva ad un interrogativo fondamentale : vale la pena ed é in grado un medico, un infermiere, di rischiare e giungere a dare la vita semplicemente per aiutare un altro uomo a soffrire e morire con dignità ?


Gaetano é un amico ed un collega e viene chiamato ai primi di dicembre per assistere il dottor Matthew. Quell’uomo, messosi in prima linea, ha finito per contrarre la malattia ed ora c’é bisogno di un anestesista esperto per effettuare un tentativo disperato, mai messo in pratica sino ad allora: provare ad intubare e ventilare meccanicamente un paziente affetto da insufficienza respiratoria nel contesto della malattia emorragica. Gaetano giungerà in extremis, a compiere un atto reso ormai inutile dallo stadio della malattia. Assisterà Matthew fino all’ultimo e racconterà poi a tanti l’eccezionalità di quei momenti:
Rientrai ad Hoima il 5 dicembre in tarda serata; avevo assistito il dr. Matthew Lukwiya fino alla sua morte, avvenuta la notte precedente, e quindi alla sua tristissima sepoltura all’interno dell’ospedale. Mentre mi avvicinavo a casa scorrevano nella memoria tutti i fatti e gli incontri vissuti; mi rendevo conto che nella tragedia che aveva colpito l’ospedale di Lacor c’era qualcosa di grande, un avvenimento che stava cambiando radicalmente molte persone, in particolare quelli che avevano offerto la vita fino al sacrificio e quelli che, mossi da una gratuità esemplare, continuavano il loro lavoro accanto ai malati. E’ proprio vero che Dio, nel Suo mistero, opera il miracolo del cambiamento ”.

Poco prima di morire, Matthew aveva pregato: “O mio Dio, mio Dio, penso proprio che dovrò morire sulla breccia nell’esercizio del mio dovere, ma voglio essere l’ultimo”.
Sabato 9 dicembre 2000 é il primo giorno senza morti di Ebola in Uganda.
I malati sopravvissuti nei reparti cominciano a riprendersi.
Le parole di Matthew sono state profetiche, non vi saranno più vite umane perdute.
Ebola si ritira, l’avventura d’amore al Lacor Hospital prosegue.

Personale sanitario morto per Ebola negli ospedali di Lacor e Gulu:
Dott. Matthew Lukwiya, 43 anni, sovrintendente medico
Ajok Christine, 20 anni, studentessa
Ayella Daniel, 24 anni, studentessa
Aol Monika, 20 anni, studentessa
Ongebo Hellen, 34 anni, studentessa
Suor Pierina Asenzo, 40 anni, studentessa paramedico
Ajok Simon Victor, 32 anni, caposala
Kia Florence, 27 anni, infermiera
Akullo Grace, 27 anni, infermiera,
Oto Maburu, infermiera
Auma Mary Immaculate, 25 anni, infermiera
Lanyero Christine, 31 anni, ausiliaria
Odota Margaret, 42 anni, ausiliaria
Aryemo Santina, 26 anni, ausiliara

Letture consigliate:
Alberto Reggiori – Dottore é finito il diesel – ed. Marietti 1820
Elio Croce – Più forte di Ebola – ed. Ares

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