Feci le ore piccole quel giorno, il 13 luglio 1985, per assistere al concerto.
Accesi il televisore nel pomeriggio e rimasi lì anche di notte, finché gli occhi riuscirono a rimanere aperti.
Il Live Aid, quella grande idea di Bob Geldof, era iniziato allo stadio Wembley di Londra ed era proseguito senza soluzione di continuità negli Stati Uniti, a Philadelphia.
Tutte le rockstars erano lì e Phil Collins aveva perfino preso il Concorde ed era volato da un posto all'altro, per riuscire a cantare in tutti e due gli stadi.
Apparse davvero a tutti come qualcosa di speciale, un superconcerto per l'Etiopia, che riuscisse finalmente a sensibilizzare tutti ed a catalizzare l'attenzione sul continente più sfortunato del mondo.
E fu grandioso, anche se poco o nulla cambiò dopo quel giorno, nonostante la grande quantità di fondi che il progetto fu capace, anche in seguito, di raccogliere. Giorno che poi qualcuno avrebbe comunque definito "the day the music changed the world".
Nonostante il profondo amore che nutro per la musica - e in particolare la musica rock - non ho mai creduto sul serio che potesse cambiare il mondo.
Lo credevano anche i protagonisti di Woodstock, nel 1969, ma dovettero ricredersi anche loro, appena pochi mesi dopo, all'indomani dell'uccisione di uno spettatore nel corso dei tafferugli scoppiati durante un concerto dei Rolling Stones nei pressi di San Francisco.
E così cambiò poco anche dopo il Live Aid, perché é il cuore dell'uomo che deve mutare, affinché la realtà della storia possa finalmente mettersi a girare in modo diverso.
E personalmente sono convinto che ciò avverrà solo quando lo sguardo dell'uomo sarà davvero capace di rivolgersi al volto buono del Mistero, che si é fatto carne per condividere la nostra vita.
Ma quell'evento, il "Juke box totale", fu comunque speciale e nel mio ricordo, più che spettacolo di libertà ed uguaglianza, lo fu di visibile fraternità.
Fraternità ed emozione, tra le rockstars che calcarono le scene, innanzitutto; ma anche tra essi e il pubblico e infine tra la gente tutta intera, sia che fosse dentro gli stadi o in diretta di fronte ad uno schermo televisivo. Disse Jimmy Page: "guardiamo le cose in faccia: quando pensate che tutti questi gruppi stanno suonando e nemmeno uno oltrepassa il tempo concesso, é incredibile ! Questo mostra perfettamente l'impegno di tutti per questa causa".
Tra i tanti racconti di quell'evento, ce n'é uno che fece in quei giorni Peter Hillmore e che rende bene quello che fu il pathos di un concerto forse davvero unico ed irripetibile.
Fraternità ed emozione, tra le rockstars che calcarono le scene, innanzitutto; ma anche tra essi e il pubblico e infine tra la gente tutta intera, sia che fosse dentro gli stadi o in diretta di fronte ad uno schermo televisivo. Disse Jimmy Page: "guardiamo le cose in faccia: quando pensate che tutti questi gruppi stanno suonando e nemmeno uno oltrepassa il tempo concesso, é incredibile ! Questo mostra perfettamente l'impegno di tutti per questa causa".
Tra i tanti racconti di quell'evento, ce n'é uno che fece in quei giorni Peter Hillmore e che rende bene quello che fu il pathos di un concerto forse davvero unico ed irripetibile.
Eccone qui i passaggi finali.
"Se non l'avete visto, cercate di immaginare la scena dello stadio JFK a Philadelphia. Sono le undici di sera, sono passate sedici ore da quando gli Status Quo lontano, lontanissimo, a Londra, hanno aperto questa lunga giornata con Rocking Around The World, una canzone ideale per aprire un concerto del genere.
Bob Dylan termina il suo ultimo pezzo. Dietro di lui, due chitarristi segnano discretamente il ritmo, Keith Richards e Ronnie Wood dei Rolling Stones. La folla, immobilizzata dal mattino, acclama il trio. Un degno finale dello spettacolo che si é appena svolto, ma in realtà é soltanto l'inizio.
Lionel Richie viene fuori da dietro il sipario, abbraccia Dylan, Richards e Wood e saluta la folla. La folla gli risponde. E il sipario si apre. Il palcoscenico é pieno di star fino a scoppiare. Un palcoscenico che una sola tra loro é solitamente sufficiente a riempire.
Lionel Richie intona We Are The World, We Are The Children. La folla eccitata si mette ad urlare. Poi appare Harry Belafonte. Poi Joan Baez. Poi Madonna. D'un tratto si mette a cantare un coro di bambini dalle voci cristalline. Il palco é pieno, gremito di star del rock che cantano all'unisono, o meglio cercano di cantare tutti insieme.
Ci sono i Duran Duran, sparpagliati in mezzo agli altri. C'é Mick Jagger, ha l'aria di non sapere le parole della canzone, ma canta, balla, é felice. Poi Patty Labelle, Tina Turner, Teddy Pondergrass e Dionne Warwick fanno un breve "a solo", accompagnati dai migliori cantanti del mondo, e i più costosi anche, che fanno gorgheggi, cantano, battono le mani e sorridono. C'é stata sì una prova, alla bell'e meglio, dietro al palco, in mezzo alle roulottes. Ma nessuno se ne frega niente di sapere se va bene. Non é una canzone questa, é una celebrazione.
Bob Dylan stringe Robert Plant tra le braccia. Bryan Adams prende Jimmy Page tra le sue. Eric Clapton si abbraccia da solo perché non é rimasto più nessuno da stringere.
La folla é in delirio. Spossata da una giornata simile e dal caldo, ha ritrovato l'energia. Una corrente di adrenalina si é stabilita tra lei e il palco. Si stimolano a vicenda. Anche la folla canta. Quando le star bissano la canzone, novantamila mani si protendono verso il palco. In questo momento preciso, loro sono il mondo, loro sono i bambini. Sanno che più di un miliardo di persone li hanno guardati, da ogni angolo del mondo, per tutta la giornata, e che questa gente, tornando a casa, sta probabilmente come loro tendendo le mani per partecipare a questa celebrazione.
Anche a Wembley lo stesso calore. Dalla musica come dal sole. I Thompson Twins e Nile Rodgers sono appena stati trasmessi dall'America via satellite. Freddy Mercury e Brian May hanno proprio ora finito di interpretare una canzone perché nessuno dimentichi il motivo del concerto: "Pensate a tutte le bocche affamate...". il palcoscenico é vuoto, tranne il piano lasciato lì da Elton John. Il fascio di luce del riflettore accompagna una minuta silhouette. E' Paul McCartney che si mette al piano. La maggior parte degli spettatori non ha mai visto un Beatles in carne ed ossa cantare una delle loro canzoni. McCartney piazza il primo accordo di Let It Be.
E' allora che il microfono salta. E' il genere di incidente che avrebbe potuto mandare tutto a monte, ma non é nulla, al contrario: quando la folla vede sugli schermi giganti che le sue labbra si muovono in silenzio, settantaduemila voci si mettono a cantare al suo posto finché il microfono non verrà riparato. Urlando quando i quattro coristi venuti ad accompagnarlo si dirigono discretamente verso il piano. I loro nomi sono: David Bowie, Alison Moyet, Pete Townshend e Bob Geldof. Cantano insieme ai settantaduemila spettatori finché i musicisti e tutti i cantanti che hanno partecipato al concerto non sono riuniti sul palcoscenico e intonano Do They Know It's Christmas. Ci sono gli Who che si sono ricostituiti per il concerto ("Buon Dio, che cosa strana tornare a cantare davanti a un pubblico", riconosce Townshend). C'é Sting, coi suoi vestiti così impeccabilmente bianchi quando si é esibito sette ore prima, ora sono uno straccio. C'é Bryan Ferry che, lui sì, ha trovato il modo di rimanere impeccabile. Ci sono i Queen, gli Spandau Ballet, Howard Jones, Elton John, Wham!, Style Council, gli U2, tutti quelli che sono passati sul palco in questo 13 luglio.
Nessuno é andato via. Non in un giorno come questo".
5 comments:
dire che i Queen furono la cosa migliore, la dice lunga di cosa sia stato il Live Aid dal punto di vista della musica...
cinico come sempre, yours :-)
I critici musicali sono così, ci tocca sopportarli ma in fondo gli vogliamo bene... :-)))
comunque ricordo il Live Aid ancora adesso con grande emozione... vecchiaia forse ? Può darsi, perché oggi come oggi mi fa tenerezza anche pensare agli Spandau Ballet (ARRGH...)
a presto e altrettanto yours....
per me, quell'estate del 1985 coincise con il mio black out musicale - per svariati motivi, non seguivo più musica e sarebbe durata sino al 1987 - concerto di springsteen a san siro il 21 giugno 1985 a parte -, al ritorno di dylan in italia e a un deciso risveglio musicale
del live aid ricordo l'inizio del collegamento, poi vidi anche l'esibizione degli U2 che in effetti non furono male e per quando bob dylan arrivò sul palco ero già andato a dormire da un pezzo
se non fui in grado di aspettare Bob, figurati quanto grande era il mio disinteresse per la musica...
se fossi rimasto così, il mondo avrebbe perso un graaaande critico rock haha :-)
fare a meno di te ??? miii...abbiamo rischiato grosso allora !!
Comunque l'esibizione di Dylan con Richards e Wood fu decisamente la cosa peggiore del Live Aid, altro che Queen (però mica male l'idea di Bob di parlare degli agricoltori americani: votato all'anticlimax sempre il nostro Bardo...)
People should read this.
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