Tuesday, July 29, 2008

APERTO PER FERIE


"queste sono le vacanze: che uno scopra il Mistero riscoprendo Lui all'opera tra noi.
Per cui il compito che ci diamo per queste vacanze é che a settembre, quando ci ritroviamo, ci dobbiamo raccontare fatti, cose che ci sono capitate e che ci hanno fatto sorprendere di Lui all'opera"
(Julian Carron)

"Ti dò un consiglio da amico, anche se non sei un amico": beh, devo confessare che, a distanza di tanti anni, l'inizio del discorso che quel collega mi aveva rivolto, dopo pochi giorni che avevo iniziato a lavorare in ospedale, me lo ricordo ancora bene.
Perché, francamente, non é che fosse un bel modo d'iniziare un rapporto, anche solo di conoscenza reciproca.
Così anche oggi, quando sento qualcuno sul lavoro che ti dice che la vita ed i rapporti veri sono quelli che uno "ha quando é fuori da qui", sinceramente non lo capisco proprio.
La vita o é Vera o non lo é affatto e, se non si tratta del primo caso, mi domando perchè valga la pena d'essere vissuta. Ma sicuramente tutto questo non riguarda il luogo dove ti trovi ed il fatto che tu abbia davanti un paziente o i tuoi figli, tua moglie o gli amici, un collega o l'extracomunitario che ti vuol vendere un asciugamano quando sei sotto l'ombrellone.
Allora anche la vacanza non può e non deve essere un posto dove ci sia la possibilità di essere diversi da se stessi, dove ci si beve il cervello in stupidaggini o dove ci si debba divertire o rilassare ad ogni costo.
E' vero invece che debba essere uno spazio con la stessa dignità degli altri, un pezzo di cammino dove l'andare avanti significa non mollare, perché chi si ferma, in realtà, comincia ad andare indietro. Un luogo che conservi fascino e attrazione, nell'esperienza del vedere "Lui all'opera tra noi".

Per questo, quest'anno, voglio provare ad essere "aperto per ferie", perché il fatto di "sorprendere Lui all'opera" abbia la possibilità di affascinare ancora una volta anche me.
E Dio ama gli umili, capaci di stupirsi: sembra che con il loro aiuto, anche ai tempi d'oggi, sia ancora capace di compiere cose grandi.

Saturday, July 26, 2008

MASCHERE

"I have my Bob Dylan mask on, I'm masquerading,"
(Bob Dylan, Halloween Concert, Philarmonic Hall, NYC,
31 ottobre 1964)

Se c'é uno che nella vita di maschere sembra non averne mai indossate, questi é probabilmente Bob Dylan.
O forse, invece, ne ha indossata una tutta particolare, spesso enigmatica e quasi impenetrabile, e che sostituì un giorno e una volta per tutte il Robert Allen Zimmerman che c'era sotto, come a difenderlo da un mondo esterno troppo spesso complicato: "You may call me Bobby, you may call me Zimmy / You may call me R.J., You may call me Ray / You may call me anything, but no matter what you say" ("Gotta Serve Somebody")
E' indiscutibile comunque che il modo di Bob Dylan di porsi di fronte al pubblico sia sempre stato libero, anticonformista, indipendente dal giudizio altrui. Quando, nel famigerato tour inglese del 1966, uno spettatore lo insulta e gli grida Giuda!, lui prosegue per la sua strada. "I don't believe you!" gli risponde e poi aggiunge "you're a liar" - "sei un bugiardo!" - come dire io sono io e questo é quello che porto sul palco adesso, sei tu che mi vuoi diverso, che vuoi che mantenga la maschera che ti piace di più, quella che possa andare bene ora - il folksinger di protesta - per poi chiedermi un domani d'indossarne un'altra.
Anche gli attuali shows del neverending tour, in fondo, appaiono l'espressione di una forma di libertà d'espressione quasi imbarazzante. Una proposta musicale che appare discutibile, dentro i limiti di una voce logorata, di una band sottotono, di una scaletta musicale troppo ripetitiva, di un entusiasmo dell'artista che appare poco percepibile. Eppure c'é un'onestà di fondo, un proporsi per quel che si é, forse e soprattutto un bisogno esistenziale in quel continuare a percorrere palcoscenici di tutto il mondo al di là del prodotto finale. Non c'é dialogo con chi ha di fronte, o ce n'é poco, certamente, ma non c'é mai una maschera, non c'é inganno. Come la ragazza di Like A Rolling Stone, l'artista sembra più nudo adesso e quindi, paradossalmente più avvicinabile, perché lontano dal mito di se stesso: "When you got nothing, you got nothing to lose / You're invisible now, you got no secrets to conceal".




Ci sono un sacco di artisti, nel mondo del rock - così come nella vita di tutti giorni, del resto - che di maschere sembrano indossarne parecchie.
Maschere di ogni tipo, ad esempio quelle del "tutto esaurito allo stadio", che arrivano perfino al regalare i biglietti del concerto, pur di raggiungere lo scopo.
Ma quello di nascondere se stessi é un vizio comune e, a ben vedere, riguarda tutti quanti, nessuno escluso.
Chi non ha mai indossato una maschera qualunque al mattino? Da mettere su quando non hai voglia e quando ti difendi. Per non rischiare, per la poca voglia di giocarsi fino in fondo di fronte alla realtà.
E' così lungo il cammino dell'uomo verso la vera libertà.


"potremmo anche aver suonato la migliore o la peggiore musica mai scritta, ma questo poco importa, perché quello che conta é che ci sia stato un gesto dove chi ha proposto la sua arte non l'ha fatto per vendere o per farsi applaudire, ma l'ha fatto per comunicare... e chi ha ascoltato era teso e attento a quanto veniva comunicato".

Così scrive Ivano Conti, a proposito della seconda edizione di rdRock, sul forum di Crossing.
Allora ripensando allo show di qualche sera fa, svoltosi al Rosa Antico Club, piccolo locale di Milano, la prima cosa che mi viene da pensare é che lì di maschere, invece, non se ne sono proprio viste.
E questo non solo per la bellezza ed onestà della proposta, una verve compositiva che prende spunto sempre da un'esperienza di vita, ma anche per un qualcosa che percepisci essere relazione.
Relazione col pubblico, perché qui sì che ti importa quello che pensa chi é lì davanti ad ascoltarti. Anzi, proprio perché anche quello diviene esperienza può e deve essere correlato per forza al tuo suonare e raccontare. Ed allora non appare neppure strano il percepire anche - e questo é cosa strana ed inusuale davvero - che i musicisti che si sono alternati sul palco sembrava facessero a gara a mostrare la loro amicizia, quasi più che le canzoni.
Come a dire che c'é un giudizio che emerge da uno stare insieme così e forse un prodotto artistico frutto di un percorso del genere può davvero avere la possibilità di essere fuori dal comune, con molte più probabilità di altre proposte di coniugarsi con il fascino e la bellezza.
Di buona musica - poi - l'altra sera se ne é sentita parecchia, ma questo, ti viene da pensare, é quasi inevitabile, se dentro hai davvero qualcosa da grande.

In questo video, cortesemente messo in rete da Ivano Conti e dal blog di Bomber, ci sono un po' di foto e di canzoni della serata.






Ivano Conti (http://www.myspace.com/ivanoconti)
Giovanni De Cillis & Coil Spring (http://www.coilspring.altervista.org/)
Walter Muto (http://www.waltermuto.it/)
Francesco D'Acri (http://www.myspace.com/frankdacri)

Monday, July 21, 2008

TEARS OF GOD

"L'Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Milano (OMCeO Mi) apprende che i giudici di Corte d'Appello di Milano hanno sentenziato che é possibile sospendere l'alimentazione a Eluana Englaro.
L'OMCeO Mi é cosciente di tutto il dolore vissuto dalla famiglia Englaro in questi lunghi 16 anni di coma di Eluana ed esprime tutta la possibile solidarietà per il terribile dramma.
L'OMCeO Mi é però altrettanto cosciente che, come é già successo per altri casi che hanno toccato le emozioni più profonde degli italiani, il singolo dramma umano é stato usato a pretesto per mettere in discussione principi fondanti la nostra società.
L'OMCeO Mi identifica e riassume questi principi in quello della sacralità della vita a cui viene contrapposto il concetto di qualità di vita. Tutt'altro concetto che, anche dal punto di vista giuridico, trasforma il bene vita in un qualcosa di proprietà dell'individuo o del suo tutore. Un concetto che travolge la stessa idea di società umana, il cui riferimento si sposterebbe dalla relazione tra le persone alle singole persone con le proprie egositiche necessità.
L'OMCeO Mi ritiene che non si può continuare a delegare al pensiero giuridico aspetti che competono ad altre categorie di pensiero che sicuramente vengono prima. Le leggi servono per normare dei principi, non per trasformarli in qualcosa d'altro, in una spirale che la storia ha già dimostrato essere estremamente pericolosa.
L'OMCeO Mi, in conclusione, é molto preoccupata anche per il riflesso che questa sentenza avrà nel contesto del mondo medico, mettendo l'accento, da qualunque prospettiva lo si voglia vedere, su di una sempre maggiore divergenza tra norme giuridiche e norme deontologiche."

(comunicato ufficiale dell'Ordine dei Medici di Milano, sulla vicenda di Eluana Englaro)


Ho pensato a lungo, in questi giorni, alla vicenda di Eluana.
Ho pensato alla mia vita, alle gioie che possiedo, a come in un attimo le circostanze della vita possano farti sprofondare in un baratro di dolore, senza nessun segnale premonitore.
Ed ho pensato alle due cose più preziose che mi sembra di avere.
L'essere padre e marito: avere una moglie e dei figli.
L'essere medico: avere qualcuno di cui prendermi cura.
E, mentre riflettevo, mi accorgevo che, più passa il tempo, più mi rendo conto che ciò che ho tra le mani non mi appartiene. Sia gli uni che gli altri mi sono affidati, ma non si tratta di qualcosa di mio. E, dentro la coscienza tangibile della mia incapacità e povertà, dentro le righe dritte e storte della mia stessa esistenza, m'importa sempre più farmi compagnia a un Destino, che, anche nelle misteriose piaghe della sofferenza, é espressione di un Volto, quello che si é fatto carne per abitare in mezzo a noi.
Per questo la fede e la ragione mi fanno dire che della vita non potrò mai disporre, così come non lo possono e non lo devono fare giudici o politici. E non lo devono né lo possono fare il papà di Eluana, o Eluana stessa, anche ammesso che quella di togliersi la vita fosse davvero la sua volontà. Perché di togliere una vita si tratta: questo é sospendere di assistere qualcuno, solo perché vi é una condizione d'irreversibilità di una patologia.

E mentre pensavo a tutto ciò, mi é parso di vedere le lacrime di Dio.
Un Dio che piange ogni giorno, per l'uso sbagliato che facciamo della libertà che ci ha donato.
Lacrime versate per tutti, per chi soffre e per chi non comprende, per chi crede che farsi carico del dolore altrui sia prendere bene la mira e premere un grilletto.
Lacrime di Chi ha mandato il Suo figlio a morire tra noi, giungendo a provare il dolore più alto che sia mai stato provato quaggiù: l'Abbandono del Padre ("Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?", Mt 27, 46).
Le lacrime di Dio sono la cosa più grande che abbiamo tra le mani.
Il Volto buono del Mistero chiede solo di non cacciarle via.

Tears Of God
Los Lobos
,
(dall'album "By The Light Of The Moon")

Quando dipende da te
dire il giusto e lo sbagliato
c'é sempre qualcun altro in vetrina
e la tua é una nota stonata.
Quando davvero provi del male
e capisci di non poter tirare avanti,
ogni giorno se ne va troppo velocemente
e le notti sono eterne.

Scoprirai che é vero
quello che ti diceva tua madre.
Le lacrime del Signore ti mostreranno la via,
la via per cambiare.

Quando la tua sola evasione
é uno schifoso vino da poco,
e la pace che cerchi nel tuo cuore
é davvero difficile da trovare.
Conduciamo una vita difficile e senza riposo
ed i problemi ti danno la caccia
anche quando dai il meglio di te.

Non nascondere la testa alla via per cambiare
Ascolta ciò che Lui ti dice
e vedrai la strada;
perché c'è un mondo per tutti,
dove anche il cieco vede,
attraverso le lacrime del Signore.


Il figlio del Creatore disse:
"Questa é la croce che devo portare"
togliendo dalle nostre spalle
qualcosa che avremmo dovuto condividere
.




Sulla vicenda di Eluana Englaro, consiglio la lettura di questo post:
http://vinoemirra.splinder.com/post/17779187/Le+spine+di+Eluana
L'appello del comitato Scienza & Vita :
http://www.scienzaevita.org/
Il comunicato del Movimento dei Focolari:
http://www.focolare.org/articolo.php?codart=5765
Una rassegna stampa e documentazione completa sul sito di Medicina e Persona:
http://www.medicinaepersona.org

Wednesday, July 16, 2008

UNA STRADA CHE E' VOCAZIONE


Il commento dell'amico Factum sul mio ultimo post mi offre un'ottimo spunto di riflessione ed ha nello stesso tempo il pregio di far riaffiorare dalla mia memoria un episodio di qualche anno fa.
Scrive, il mio amico, a proposito di Bilbo, che "solo lui poteva avere questa missione, era la "sua", la sua vocazione, solo lui poteva essere il portatore dell'anello, e Gandalf lo sapeva". E poi aggiunge: "Siamo insostituibili, ognuno con il suo compito, cercando sempre una strada che giri intorno.."
Di vocazione si tratta, dunque, nulla di più e nulla di meno.
E mi torna, appunto, in mente quell'episodio di tanto tempo fa.
Un gruppo di amici, tanti, un tranquillo pomeriggio d'inverno, tutti intenti a sentir parlare uno più grande e più saggio di noi, che cerca di farci entrare di più nel cuore dell'esperienza di Chiara Lubich e di Igino Giordani.
Siamo tutti immersi nella profondità delle sue parole, ma poi, ad un certo punto si ferma, come se avesse qualcosa di ancora più importante da dirci.
E' una pausa che sembra un'eternità e in quell'istante sembra guardare ciascuno negli occhi, personalmente, ad uno ad uno:
"(...) voi non potete pensare "mah, se io non ci sono é lo stesso": non é vero.
Se tu non ci sei, tu mancherai e quello che Dio voleva da te, il tuo disegno di Dio, non ci sarà e, badate, non é che possa prenderlo un altro; i disegni di Dio sono insostituibili, nessuno può prendere nel cuore di Dio il posto che uno deve avere, perché l'amore di Dio per ciascuno di noi é unico, assoluto e particolarissimo.
Capito ? Quindi uno dice "beh, non ci sono io, c'é un altro": no!
Adesso, che Dio poi possa provvedere lui, questa é una questione sua, ma di per sé, quello che io avrei dovuto o potuto fare per assolvere il disegno che Dio ha su di me, se io non lo faccio, non lo fa nessuno.
Questo ve lo dico, sapete perché? Perché molte volte - io non so voi - ma io qualche volta le mie prove le passo e son prove anche forti certe volte, però quello che mi ha sempre aiutato é dire "attento Peppuccio, se tu ci sei é perché Dio t'ha voluto; e se Dio ti ha voluto, nessuno potrà fare quello che tu dovresti fare e dovrai fare"; magari nessuno al mondo sa esdattamente quel che Dio vuole, ma intanto - sapete - il fatto di esserci, di amare, di essere stati chiamati a seguire Chiara
(Chiara Lubich, nda), vi pare niente questo?"

Finì il discorso e poco dopo c'era un intervallo, ma non riuscimmo ad alzarci dalla sedia per un bel po'.
Rimanemmo incollati lì, a pensare ad un Dio folle, che per una misura d'amore inimmaginabile, sceglie ciascuno, uno per uno, e lo prende dentro un progetto, al di là dei limiti, delle capacità, al di là di tutto.
Una vita intesa come vocazione quindi, che col tempo ha il pregio di far crescere il senso di fiducia dentro di te.
Ma é una fiducia che non ti dai da solo ed é per questo che diventa capace di donarti sempre nuovo entusiasmo. Allora capisci, forse, perché Gandalf non si turba mai di fronte alla presunta incapacità di Bilbo, ma gli indica un cammino, senza neppure preoccuparsi di stargli troppo sotto: gli dà lo spunto e poi lo lascia andare.
Un cammino guidato, quello di Bilbo e di ciascuno di noi, condotto da Uno che ha visto in una compagnia la modalità migliore per l'uomo di compiere cose grandi.
Luogo in cui Lui ha garantito la sua presenza, sempre, fino alla fine dei tempi : "Dove due o tre sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18, 19/20).
Ed é il dono più grande che ci potesse fare.

Friday, July 11, 2008

UNA COMPAGNIA IN CAMMINO


"Addio!" disse Gandalf a Thorin. "E addio a voi tutti, addio! Adesso la vostra strada va diritta attraverso la foresta. Non allontanatevi dalla pista! Se lo fate, c'é una possibilità su mille che la ritroviate di nuovo e usciate da Bosco Atro; e allora non credo che io, o nessun altro, possa mai riverdervi".
"Ma dobbiamo proprio attraversarlo?" si lagnò lo hobbit.
"Certo che sì" disse lo stregone "se volete arrivare dall'altra parte. O lo attraversate o abbandonate la vostra ricerca. E non ti permetterò di fare marcia indietro proprio adesso, signor Baggins. Mi vergogno di te se lo pensi. Devi badare a tutti questi nani in vece mia! egli rise.
"Ma no, ma no!" disse Bilbo. "Non volevo dire questo. Volevo dire, non c'é una strada che passi intorno al bosco?"...
"Arrivederci, allora, e arrivederci sul serio!" disse Gandalf, e girato il cavallo si allontanò al galoppo verso occidente. Ma non poté resistere alla tentazione di avere l'ultima parola. Poco prima di essere troppo lontano, si girò e facendosi portavoce colle mani li chiamò. Essi udirono le sue parole arrivare loro fioche: "Arrivederci! Fate i bravi, abbiatevi cura, e non lasciate il sentiero!"

(J.R.R Tokien - Lo Hobbit)

Quanta resistenza fa Bilbo!
Perché rischiare, proseguire in un cammino difficile e incerto - "...non c'é una strada che passi intorno al bosco?" - e tener conto degli altri, affidandosi a loro e, nello stesso tempo, portando i pesi l'uno dell'altro, condividendo gioie e dolori, lasciandosi conquistare da uno sguardo sulle cose capace di perdere tutto di sé per lasciar spazio ad un Altro?
Ogni giorno di più, questo mi appare l'unico sguardo vero sulla vita, denso di vera comprensione sulla realtà ed altrettanto affascinante e sicuro.
Un modo nuovo di guardare, che, col tempo, diventa passione e si fa capace di superare il limite - non si spaventa più! - mentre, allo stesso tempo, é incapace d'inorgoglirsi dei successi, impostori come la sconfitta.
Un cammino, infine, che segue con attenzione un sentiero, l'unico che possa giungere un giorno al tesoro, magari scoperto - come accade a Bilbo - nel momento meno atteso:

"e alla fine, inaspettatamente, trovarono quello che andavano cercando..."

Wednesday, July 02, 2008

THE PLACE OF JOY




Puoi udire il rumore delle pallottole viaggiare tra le note delle chitarre in Insight.
Chitarre ora pulite, ora distorte, sempre avvolgenti ed inquietanti allo stesso tempo. Come il basso pulsante, come la voce di Ian Curtis, del resto.
Mi avvicino agli unici due lp incisi dai Joy Division - Unknown Pleasures e Closer - con timore e rispetto.
Timore, perché la proposta musicale di questa band post-punk inglese non può essere di facile approccio per definizione. Musica raffinata peraltro, anche meno aggressiva di quella che il gruppo produceva ai tempi on stage, ma che conserva le caratteristiche del genere cui appartiene, coinvolgendoti in pieno nel dramma esistenziale che rappresenta e nelle atmosfere cupe e malinconiche che le sono proprie. Rispetto, perché, a dispetto della sua breve vita, l'influenza di questo gruppo sugli artisti rock a seguire é stata notevole.
I Joy Division si formano nel 1977, prendendo il loro nome da quello delle baracche dei lager nazisti dove le prigioniere erano sfruttate come prostitute dai criminali tedeschi. Il leader del gruppo é quel Ian Curtis la cui vita terminerà tragicamente la mattina del 18 maggio 1980, giorno in cui la moglie troverà il suo corpo suicida nella cucina di casa. Tutto il disagio di una generazione musicale emerge dai solchi dei loro due dischi, e dalle liriche di Curtis, che parlano di freddezza e pressione, oscurità e crisi, fallimento e collasso, perdita del controllo.
Eppure quel disagio interiore sembra paradossalmente non giungere in superficie, se é vero che le sessions di registrazione di Closer si caratterizzarono per un clima disteso e scherzoso tra i membri della band, quasi a misconoscere volutamente la realtà e smascherando, forse, la vera incapacità a condividere paure e sofferenze, peraltro assai preziose nel produrre musica di così grande qualità. Sarà lo stesso Tony Wilson, della Factory Records, ad ammettere nel 2005 la loro sconfitta nei confronti del tragico evento della fine di Curtis : "credo che tutti noi facemmo l'errore di non credere che il suo suicidio stava per accadere. Sottostimammo completamente il pericolo. Non lo prendemmo sul serio. E' la dimostrazione di quanto fossimo stupidi allora".
Ian Curtis, del cui suicidio fu senz'altro complice anche una condizione psico-fisica precaria, minata dall'epilessia e dall'abuso di farmaci, appare l'ennesima vittima nel mondo del rock, un'espressione di desiderio di felicità che in certi momenti sembra coniugarsi solo con un'angoscia impossibile da sostenere.
Il sole é tramontato adesso ed il buio sembra non conoscere la speranza dell'alba di un nuovo giorno.


Più passa il tempo, più, nella mia esperienza quotidiana, come dice San Paolo, sperimento la forza di un Altro nella mia debolezza.
E' una strana pedagogia quella che Dio sembra mettere in atto ogni giorno nella mia vita, cercando di smantellare poco a poco il mio orgoglio. Ogni caduta, ogni fallimento appare l'anticamera misteriosa a nuovi orizzonti, riflessi di luce nuova che donano alle cose colori mai visti prima. E, paradossalmente, il crescere nella consapevolezza del mio nulla mi dona un'ingenua baldanza, che frutta un coraggio ed un ardore nel vivere la vita che giunge totalmente inaspettato.

"Ma Enzo, proprio tu, proprio tu ti comporti come se Cristo non ci fosse?" - aveva detto Don Giussani ad Enzo Piccinini un giorno - "E' come se tutto dipendesse dalle tue mani: ma come credi di poter andare avanti così? Non farai mai più niente di quello che fai, farai come tutti: cercare quello che meno ti ferisce, che ti mette a posto. Non rischierai più".
Dentro il buio della circostanza inattesa, scomoda, non spiegata, che ti fa urlare di rabbia e di dolore, c'è il Mistero di questa voglia di rischiare ancora.
Ma è sufficiente l'affidarsi, perché l'oscurità ritrovi un senso ? Perché il tramonto non sia l'ultimo evento e la sicurezza di un'alba che verrà non venga meno ?
Certamente sì, ma ci è stato dato di più, molto di più.


"Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra. Verso le tre Gesù gridò a gran voce: "Eli, Eli, lemà sabactàni", che significa "Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?"
(Mt 27, 45-46)

"(...) E fu qui che il carisma di Chiara (Chiara Lubich, ndr) mi pose davanti una figura reale, un uomo non ancora sufficientemente vissuto e pensato: Gesù Cristo crocifisso, ma rivelato nell'evento sconvolgente del suo sentirsi, del suo essere abbandonato dal Padre (...) Chiara mi invitò a puntare l'occhio dello spirito, quasi esclusivamente, proprio su questa assenza di luce, che ella però mi assicurava essere, anche, tutta luce (...). Chiara mi diceva: troverai la luce. Lì é la luce. E la sua vita me lo testimoniava. Ma devi entrare, mi ripeteva, in quell'oscurità, devi lasciarti risucchiare da quel vortice di buio. Imparando ad incarnare nella tua vita quotidiana quel "nelle tue mani, Padre" (Lc, 23, 46) che Gesù ha vissuto. Il Rigettato si rigetta in Colui che lo rigetta..."

"Tutto questo fu per me un modo nuovo di entrare nei grovigli dell'esistenza. E divenne per me un modo nuovo di pensare, che si attuava nella misura del mio entrare nell'Abbandonato, nella vita quotidiana, senza vedere e senza capire (...) Mi era chiesto allora di entrare a fondo nella condizione dell'uomo, ma come Gesù vi era entrato: continuando ad amare chi pareva non lo amasse più. E qui, frutto di una forte e ripetuta esperienza, dal fondo del cuore comincia a pullulare una nuova conoscenza. E sempre più forte si fa il salire delle acque di luce, fino ad un loro dilagare in tutte le fibre dell'essere. (...) "Ora i miei occhi ti vedono". Ti vedono, perché ho capito nel profondo che il non-vedere é vedere; il non-sapere é sapere; l'angoscia é pace. Il dolore é amore"

(Giuseppe Maria Zanghì)



Nei fatti dolorosi dell'esistenza, nelle inquietudini della sera e del mattino, nell'incertezza di muovere passi che non sempre ti appaiono sicuri, mi tornano in mente quei sostantivi delle liriche di Ian Curtis. Freddezza, pressione, oscurità, crisi, fallimento, collasso, perdita del controllo... Dentro di Lui, l'Abbandonato, l'Uomo dei Dolori, tutto é salvato, tutto ritrova senso. Ed anche le liriche dei Joy Division e la loro splendida musica divengono un richiamo.
A rialzare lo sguardo, una volta ancora.
Perché la vera gioia abita qui, in mezzo a noi: il prezzo é alto, ma la moneta é stata già pagata da Qualcuno.