"Ognuno ha i propri eroi, non é vero? Per molti Mohammed Alì é un eroe. Ed Albert Einstein, lui era un eroe, certamente. Credo che potreste dire che Clark Gable lo fosse. E Michael Jackson. Bruce Springsteen. Ma a me non importa di queste persone. Nessuno di loro é un eroe, non significano nulla per me. Mi spiace, ma le cose stanno così. Voglio cantarvi una canzone sul mio eroe..."
(Bob Dylan on stage, 1986, prima di In The Garden, la sua canzone sull'Uomo del Getsemani)
C'é una frase, citata da Giovanni Paolo II a proposito di San Benedetto, che spessa gira e rigira nella mia mente e che mi sembra sempre attuale.
E' quella che parla di eroismo e di quotidianità: "era necessario che l'eroico diventasse quotidiano ed il quotidiano eroico".
Mi é sempre piaciuta perché mi rimette sempre in gioco e, allo stesso tempo, possiede un fascino particolare in quel suo dare dignità a tutto ciò che pare troppo piccolo nelle fatiche della giornata.
Oggi trovo, sul blog dell'amico Paolo Vites, una frase di Bob Dylan, che sembra dare un fascino aggiuntivo a quello che già mi ronza in testa:
"L'eroe é chi capisce il grado di responsabilità che deriva dalla sua libertà".
Dove sta quel fascino se non in quel giocarsi fino in fondo dentro un approccio alla realtà che é libertà? Libertà vera, intesa come antitesi a disimpegno e fatalismo, a pregiudizio e presunzione.
Libertà cioé di rispondere con l'amore a quello che nella vita ti si para innanzi, stessa libertà che si tratti di gioia o di dolore, di successi o fallimenti, quelli che Kipling definiva impostori.
C'é eroismo in tutto questo ed é terribilmente eccitante.
Eppure può essere illusione e delusione, più terribile di altro se questo approccio rimane idea e non esperienza.
Perché mi é già capitato troppe volte che l'euforia - la voglia d'essere eroi - si trasformi in sconforto, nel momento in cui il tuo limite, la tua incapacità, trasforma la realtà in qualcosa d'impossibile da abbracciare.
C'é un solo modo per venirne fuori ed ha la forma del cammino in una compagnia.
Questa compagnia é un'umanità che si fa capace di superare i propri limiti perché permette ad un Altro di dimorare in mezzo a lei : "dove due o più sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro", ha detto Gesù.
Mentre scrivo queste righe, un'altra frase gira e rigira nella mia mente e sembra illuminare sentimenti ed esperienze di una luce nuova.
Me l'ha mandata un amico - uno di quegli amici veri, che rendono quella compagnia realtà e non idea - in occasione della triste circostanza della partenza per il cielo di una persona a lui cara: "oggi ho toccato con mano che la nostra compagnia, la chiesa, é davvero il corpo fisico di Cristo; quando uno di noi se ne va, questo corpo si lacera con dolore immenso, ma subito siamo ripresi nell'abbraccio della compagnia".
Me l'ha mandata un amico - uno di quegli amici veri, che rendono quella compagnia realtà e non idea - in occasione della triste circostanza della partenza per il cielo di una persona a lui cara: "oggi ho toccato con mano che la nostra compagnia, la chiesa, é davvero il corpo fisico di Cristo; quando uno di noi se ne va, questo corpo si lacera con dolore immenso, ma subito siamo ripresi nell'abbraccio della compagnia".
Grazie, amico mio, questa frase, questa sera, me la porto via con me.
Col desiderio di non lasciarla mai - quest'unità tra noi - qualunque cosa accada.
E di continuare a rendere eroico il quotidiano.
Post Scriptum
Non é un caso, credo, che questi pensieri affiorino il giorno del primo anniversario della nascita al cielo della mia nonna Teresa. Grazie, nonna, anche tu fai parte di quella compagnia e sei ancora qui, nella stessa casa. Solo in un'altra stanza.
2 comments:
non riesco a trovare le parole ma volevo ringraziarti per questo post, niente escluso! il video dell'86 è strepitoso.
buona domenica!
a proposito di eroico nel quotidiano, frase citata anche stasera alla presentazione di un libro speciale; e qui il blog che ne parla http://carograziano.blogspot.com/ buona domenica
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