"Neanche questo ti piace?": mi rivolgo a mia figlia dodicenne, il volto assonnato del mattino, mentre dall'autoradio fuoriescono le note della splendida Mississippi. La sua risposta é di quelle che non lasciano scampo: "sono tutte uguali...". Niente da fare, anche stamani i Finley battono Bob Dylan uno a zero e a scuola, coi suoi compagni sarà difficile che menzioni l'ultimo album del nostro. Peccato perché Tell Tale Signs é davvero uno dei dischi più belli di Bob Dylan e comunque il migliore da più di dieci anni a questa parte, da quando uscì Time Out Of Mind, nel 1997.
"Where the fuck is 'Blind Willie McTell??? How could you leave that off the album? It's the greatest song..." Reagisce così, tempo fa, Larry "Ratso" Sloman ascoltando Infidels; e Bill Graham ha un sussulto, quasi pronto a saltar su dalla sedia: ma perché Bob Dylan ha sempre questo vizio di lasciar fuori dai dischi alcuni dei suoi pezzi migliori?
Eppure la risposta di Bob é di quelle in grado di spiazzare chiunque: "Aw, Ratso, don't get so excited. It's just an album - é solo un disco, in fondo - I've made thirty of them - ne ho già fatti altri trenta..." (1)
Impagabile Bob Dylan. C'é poca gente in giro così capace d'ironia.
Ed eccolo qui, allora, Tell Tale Signs, ottava puntata della saga delle "Bootleg Series", un doppio cd pieno zeppo di outtakes ed unreleased songs, che poi alla fine vuol dire scarti di registrazione, ma roba che la maggior parte degli altri artisti farebbe carte false per avere sui propri dischi, gente che venderebbe l'anima al diavolo come Robert Johnson, pur di farne il disco "buono" di un'intera carriera.
Ci sono altre gemme, per la verità, come una splendida Ring Them Bells (tratta dagli shows "unplugged" al Supper Club di New York, nel 1993) o la dolce ed acustica Cocaine Blues, o, ancora, le potenti High Water e Lonesome Day Blues.
Non é un caso, comunque, che molte delle canzoni di un album così bello derivino dalle sessions di Oh Mercy e di Time Out Of Mind. Dylan stesso riconosce una magia tutta particolare, presente in sala di registrazione in quei giorni, merito anche di Daniel Lanois (2): "avevo una totale ammirazione per l'operato di Lanois. Molto di quello che aveva fatto era unico e destinato a durare. Danny e io ci saremmo rivisti dieci anni dopo e avremmo lavorato insieme un 'altra volta (le sessions di Time Out Of Mind, nda) con lo stesso intenso coinvolgimento e con la stessa eccitazione. Avremmo fatto un altro disco, ripartendo da capo e ricominciando da dove avevamo smesso". Dylan, come poche altre volte nella sua carriera, aveva trovato un produttore capace di entrare in sintonia con la sua anima e la sua poesia ("eravamo spiriti fratelli") ed il risultato erano sì canzoni, ma forse anche qualcosa di più, qualcosa che riguarda ciò che sei ed il destino verso il quale ti sei messo in cammino: "le canzoni erano state scritte per la gloria dell'uomo, non per la sua sconfitta, ma anche prese tutte insieme non esauriscono di certo la mia visione della vita. A volte le cose che si amano di più e che rivestono il più grande significato non volevano dire niente la prima volta che le abbiamo viste o sentite. Vale anche per alcune di quelle canzoni" (3).
Ascoltare alcune di queste canzoni, allora, significa entrare in un universo tutto particolare, dove anche due versioni differenti dello stesso brano non sono mera ripetizione, ma diverse sfaccettature di un'esperienza a tratti anche esaltante: "si può andare avanti all'infinito a variare tempi e ritmi. Sarebbe stato bello se qualcuno avesse prestato attenzione a questo aspetto, alle combinazioni ritmiche all'interno della canzone invece che alla canzone, la quale era perfettamente in grado di prendersi cura di se stessa" (4)
Forse é proprio perché le canzoni di Dylan sono in grado di "prendersi cura di se stesse", che si rendono capaci d'intrecciarsi coi fili dell'esistenza non solo di Dylan, ma di chiunque voglia implicarsi in un ascolto disposto a lasciarsi condurre lontano.
Tell Tale Signs é pieno di canzoni così. Da Most Of The Time a Mississippi. Da Red River Shore a 'Cross The Green Mountain. Da Dreamin' Of You a Series Of Dreams. Ognuna di esse meriterebbe un capitolo a sé, un momento su cui fermarsi a pensare. Magari non per cambiare un'esistenza, perché quella ha bisogno di altro, che le dia spessore e significato. Anche Neil Young, d'altra parte, ha detto di recente, nel suo Just Singing A Song Won't Change The World: "puoi cantare del bisogno di un cambiamento, beh devi fare il tuo cambiamento personale, puoi essere quello che stai cercando di dire, ma cantare una canzone non cambia il mondo" (5). E Dylan sarebbe stato d'accordo sin dall'inizio, sin da quando, nei primi anni '60, qualcuno gli affibbiò l'etichetta di folksinger di protesta, mentre lui aveva già cominciato semplicemente a raccontare di sé a chiunque avesse voglia, allora come adesso, di fargli compagnia laggiù sotto il palco.
Ma se le canzoni, come ogni forma d'arte, hanno un merito, é anche quello di farti intravedere la Bellezza. E questa é sempre un tramite, capace di metterti in contatto con Qualcosa o Qualcuno di più grande.
Dylan ha sempre avuto la capacità di fornirmi uno di quei canali diretti, di mettere lì, a mia disposizione, pezzi di bellezza capaci di divenire richiamo. Nulla di strano, allora, che spesso e volentieri, ed in modo del tutto arbitrario ma altrettanto legittimo, continui ad esercitare su di me un fascino che ha questa sfaccettatura tutta particolare: una possibilità d'intreccio positivo con le righe dritte e storte della mia esistenza.
Come mi accade, ad esempio, sulle note di Mississippi.
Provo a percorrerla, allora, lungo le note splendide, intimiste, della sua versione acustica.
Vi riconosco il percorso di un cammino, una strada a tratti stanca e disillusa ("Every step of the way, we walk the line/Your days are numbered, so are mine/Time is piling up, we struggle and we stray/We're all boxed in, nowhere to escape"). Eppure c'é una voce, povera voce, che grida per un perché ("I need something strong to distract my mind/I'm gonna look at you 'til my eyes go blind") ed é vero che "la nave é andata in pezzi e affonda in fretta", "ma il mio cuore non é stanco, é libero e leggero/non sento che affetto per chi ha navigato con me".
Forse una Compagnia al cammino mi ha fatto scoprire Chi é misericordia e allora é quella che ridesta il desiderio e dona nuova forza all'andare avanti : "Stick with me baby, stick with me anyhow/things should start to get interesting right about now"/"sta' qui con me, sta' con me in ogni maniera/é adesso che le cose si fanno interessanti".
Una magia mi avvolge, arrivato alla fine della canzone.
Accadrà ancora, con Dreamin' Of you, ad esempio. O con Red River Shore.
(Mississippi, live in Oregon, 9 october 2001)
Chissà cos'é che, arrivato alla fine dell'album, mi fa guardare a Dylan in preda ad una nuova sensazione. La musicalità eccellente, la sua performance vocale, la qualità dei brani pubblicati, ma forse e soprattutto quell'amicizia in musica di così lunga data. E la consonanza con l'esperienza dell'anima diviene così intensa che ad un certo punto, in un esercizio soggettivo quanto avventato, mi é venuto da pensare a questo disco come ad un percorso interiore di Dylan, il racconto del suo stesso incedere verso il Destino.
Lo guardo nel video dell'ultima canzone, una splendida 'Cross The Green Mountain, quasi viaggio esistenziale illustrato da quadri che raccontano della guerra di secessione americana.
In un video che accompagna la canzone, un inedito Dylan vestito da ufficiale, guarda il viso del compagno morto - I look into my eyes of my merciful friend - chiedendosi disperatamente : is this the end?
Qual é, Bob, il tuo sguardo verso il punto d'arrivo del tuo percorso, lontano dal mito di te stesso, che per tutta la vita, peraltro, hai voluto e saputo tener lontano, e sempre più nudo, senza sconti con te stesso e chi hai di fronte - like a complete unknown - nel raccontare di te?
Quel che é certo é che io non posso fare a meno di ascoltarti e di seguirti fino in fondo, proprio come il titolo di quella canzone, scritta per un film che non é mai stato fatto.
Dopo tutto rimarrò sempre e soltanto Emotionally Yours e quel che più conta, appunto, in fondo é proprio questo: Can't Escape From You.
Note:
(1) tratto dal libretto allegato al doppio cd
(2) tratto da Bob Dylan - Chronicles - ediz. italiana a cura di Feltrinelli
(3) ibid.
(4) ibid.
(5) tratto dall'articolo di Paolo Vites "CSNY. Il prezzo della libertà", JAM n.152, ottobre 2008
9 comments:
sapevo che non avresti deluso, un saluto veloce e una gratitudine immensa per la compagnia virtuale ma non tanto che mi fai; l'album di dylan è all'altezza del suo meglio, almeno di questi ultimi 20 anni, tanti ne sono passati (quasi) da Oh Mercy, come mi sembra di avere anche scritto è allora che ho scoperto che Dylan era vivo.. G
Sono contento di non averti deluso, la mia é naturalmente una personalissima interpretazione di questo bellissimo disco di Dylan.
E la gratitudine é anche mia: la compagnia - virtuale solo per il mezzo che usiamo - é reciproca!
a presto
grande super fausto
cmq la cosa che mi fa sballare di qs uomo è quando dice "non eccitarti, è solo un disco" - è un gigante, uno che sa davvero qual è l'ordine di importanza delel cose nella vita.. noi a immaginarci risposte nel vento e lui, è solo un disco ne ho fatti già trenta
già, sono lezioni di umiltà in fondo: parlano tanto della "spocchia" di Dylan, del fatto che non parla ai concerti ed amenità di questo genere e lui, appunto, se ne esce a dire "é solo un disco".
Per questo lui é un artista e molti altri no....
Appena inizi a parlare di Dylan i post si allungano... :)
già... sempre più logorroico... dev'essere vecchiaia!
bellissima interpretazione, Fausto, mi ci ritrovo molto...
...quello qui sopra sono io, ho dimenticato di firmare...
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