Sunday, May 31, 2009

UN GIORNO A SAN SIRO


Dopo i primi istanti, in cui avevi maledetto quella circostanza, ti eri reso conto che anche un guasto poteva non essere in fondo soltanto un guaio.
Perché cosa sarebbe la vita senza l'imprevisto, il contingente con cui la realtà ti parla, ti costringe a cambiare programmi, fa bruscamente entrare un disegno differente da quella porta stretta e angusta che é la tua volontà di non rischiare, davanti alla giornata che verrà?
A volte (spesso?) Dio fa così, per entrare nella tua testardaggine e nel tuo sguardo miope, per permetterti d'incontrare bellezza ed emozioni nuove che, altrimenti, non avresti neppure intravisto da lontano.
Anche il guasto di uno scooter, allora, poteva essere quell'evenienza da abbracciare tutta intera, per vedere dove ciò che giungeva inatteso ti avrebbe potuto portare questa volta.
Così eccoti lì, tre chilometri a piedi, dal meccanico a casa, i programmi saltati tutti, la fretta delle cose da fare a farsi benedire, perché, bene o male, per arrivare a casa ci avresti messo il tuo tempo e il massimo che potevi fare era una telefonata per avvisare del ritardo.
Senza neppure correre, poi, perché con quel caldo africano dove volevi andare? Molto meglio lasciar perdere tutto lo stress e mettersi a passeggiare con tranquillità.
E' lì, dentro l'imprevisto accettato prima con rabbia e poi sempre più con gioia, ti eri ritrovato a scoprire la bellezza di territori inesplorati.
La mente che cominciava a viaggiare, tempo per ricordare ciò che accade, gli amici, le situazioni e le persone che hai a cuore, un pensiero per raccomandarle a Qualcuno che sta lassù.
Poi, poco a poco, la vista delle vie dei tuoi quartieri, quelli dove avevi passato infanzia e gioventù, colorata di ricordi e sensazioni spuntate all'improvviso da luoghi della memoria che pensavi d'aver smarrito per sempre. Punti di vista e prospettive diverse, emozioni sconosciute ai percorsi veloci fatti in auto tutti i giorni. Perfino gli odori, a scoprire cose inattese: passeggiare a San Siro a Milano vuol dire allontanarsi per un po' anche dallo smog della città e raggiungere finanche l'odore di cavalli ed il profumo del fieno appena tagliato. Certo, allontanarsi dal traffico non é facile neanche qui, ma se allunghi un po' il cammino, ecco che ti trovi sotto casa di vecchi compagni di scuola e le immagini della strada si fanno capaci di far riaffiorare gioie e delusioni, rabbie e speranze di tempi ormai irrimediabilmente dietro alle tue spalle, ma rivitalizzati dalla memoria, quando pensavi fossero ormai sepolti sotto strati troppo spessi di polvere e fatica.

Poi, quando ti eri ritrovato lungo il vialone dello stadio, ti era venuto in mente anche lui: la prima volta di Dylan a San Siro, più o meno un milione di anni fa.
Eri uscito di casa, quel giorno, incredibilmente emozionato: stavi andando - guarda un po', a piedi anche quella volta - a vedere finalmente Bob, dopo averlo ascoltato su bootleg e vinili consumati o nastri rari insopportabilmente fruscianti, ma pieni di una poesia che non avevi mai trovato altrove. Sarebbe stata un'emozione forte, la prima volta con Dylan mescolata con la tua più grande attesa. Enorme, smisurata. E irripetibile. Perché l'avresti visto mille volte ancora, ma a riprodurre quell'emozione non ci saresti riuscito più.
Ed ora quei quattro passi, alla faccia di tutta la tua fretta addosso ed irrimediabilmente in contrasto con i tuoi vent'anni di allora, sembravano in grado di far rinascere come d'incanto un po' di quell'emozione lontana.
Allora avevi benedetto l'imprevisto - questa volta capitato per donarti un po' di sana nostalgia - lo scooter rotto, perfino il portafoglio che si stava per svuotare. Era valsa la pena, eccome, di perdere un po' di tempo della tua giornata per vedere il ricordo riaffiorare in superficie.

Poi, quando finalmente eri tornato a casa, avevi pure provato a metter su un cd - Together Through Life é un gran bel disco in fondo - ma dopo poco te ne eri accorto, dannazione, che nulla avrebbe potuto più riprodurre la magia di allora.
La magia di un giorno lontano, quello della tua prima volta di Bob Dylan a San Siro.





Saturday, May 23, 2009

IL GUSTO DELLA VITA

"il Mistero che fa tutte le cose, che é la consistenza di tutto, é morto per te sopravvalutandoti.
L'unica modalità con cui ciascuno di noi può voler bene é morire.
Morire vuol dire aderire ad un Altro, vuol dire rompere la propria misura.
E' questa la modalità che normalmente deve decidere dei rapporti di tutti i giorni"

(Enzo Piccinini, 5 giugno 1951 - 26 maggio 1999)




Qualche volta era capitato anche a me.
Ero tornato a casa tardi la sera, oppure, come mi succede sempre, ero stato l'ultimo ad andare a dormire.
E allora ero entrato nella loro camera, piano, con le luci del corridoio soffuse, ad illuminare solo fioche ed immobili ombre.
E li avevo visti lì, quei "gomitoli sul letto", come li aveva chiamati Enzo: i miei figli addormentati, la casa finalmente calma e silenziosa, il tempo per fermarti a pensare a tutta la tenerezza, tutto ciò che di più intenso hai dentro te, il senso più profondo dell'amore che provi per loro.  E per un attimo ti eri sentito a posto, ti sembrava che bastassero queste sensazioni e così, come Enzo, avevi concluso: "insomma, mi sembra di volergli bene".
Enzo, quel giorno in macchina, mentre riaccompagnava l'amico Don Giussani a casa, aveva raccontato cose del genere, di fronte alla domanda "Ma senti, tu vuoi bene alla tua famiglia?".
Ma quella non era la risposta, neppure per Enzo, un uomo infinitamente migliore di tanti altri, colui che era stato incontro decisivo per la vita di tante persone.
"Non é mica così che si vuol bene", gli aveva risposto Don Giussani.
E di fronte allo sguardo stupito di Enzo, gli aveva svelato un modo nuovo di guardare alle cose:
"Guarda - gli aveva detto - il modo vero di voler bene é che proprio quando questa tenerezza é intensa, vera e trascinante, umanamente trascinante, dovresti fare un passo indietro, guardarli e dire: "Che ne sarà di loro?".  Perché voler bene - aveva proseguito - é capire che hanno un destino e che non sono tuoi, sono tuoi e non sono tuoi, che hanno un destino e che é proprio guardando la drammaticità che il destino impone nel rapporto e nelle cose, nel futuro e nel presente, che tu li rispetterai, gli vorrai bene, sarai disposto a fare tutto per loro, non ti farai ricattare se ti obbediranno o no".
Era qualcosa che aveva spalancato la vita di Enzo ad una realtà nuova, una volta per tutte e per sempre ed é una cosa che ora cerco di non dimenticare più neanch'io.
Ed é lo sguardo che vorrei avere non solo sui miei figli, ma sugli amici più cari, su qualsiasi persona che incontro ogni momento.  Nelle situazioni più "umanamente trascinanti", così come nei momenti in cui il dolore mi schiaccia, mi distrugge e non mi fa capire.
Guardare l'altro che ho di fronte e chiedermi "cosa ne sarà di lui?".
Questo é l'Amore capace di dar la vita per l'altro, quello che vede Gesù nel fratello.


E' qualcosa d'immenso la vita, quando ti scopri a pensare di essa nella misura di qualcosa che porta in sé tutto il desiderio di bellezza e pienezza che le é costitutivo, che le appartiene proprio perché tale, perché si chiama vita.
Così accade che l'umanità che incontri, ogni giorno che passa, viene coperta da uno sguardo sempre meno superficiale e sempre più profondo su ciò accade, sulle vicende che attraversano o accompagnano il tuo cammino.  Se ti domandi cosa ne sarà di chi hai di fronte, ti trovi a che fare con sguardi sempre più compenetrati nella tua stessa esistenza, divieni disposto al rischio, ti comprometti;  si fa strada, al posto di una difesa di te, una passione per la vita che ha sempre più senso mano a mano che i capelli sul tuo capo si fanno più grigi.
Sguardi che accompagnano una vita di relazione perché di questo e solo di questo - relazione! - siamo fatti veramente - together through life - e quindi uomini, incontrati per attimi e poi mai più, oppure amici che accompagnano sempre la tua vita, in maniera talvolta definitiva.

Enzo non l'ho mai conosciuto di persona e se ne é andato da questa terra proprio dieci anni fa; se ti fermi un istante appare quasi un'eternità, ma allo stesso tempo ti sembra pure ieri.
Non l'ho conosciuto, ma é strano, lo sento amico come pochi altri; o, meglio, proprio come quei pochi che sono già in una dimensione differente - la comunione dei santi - e quindi in grado di comunicare con te attraverso un'amicizia ormai in grado di rompere i vincoli dei limiti terreni, quei limiti con cui spesso siamo capaci di rovinare le cose belle della vita, la possibilità che ci é stata data di amare, di fare cose grandi aderendo a quel Disegno speciale e irripetibile, pensato da sempre per ciascuno di noi da Uno più grande che ha a cuore ogni cosa ed ogni uomo.

La vita di Enzo esce raccontata in maniera esemplare dall'ultimo libro di Emilio Bonicelli - Enzo, l'avventura di un'amicizia, ed. Marietti - uscito nei giorni scorsi e vale la pena di leggerla lì, se si lascia strada alla possibilità che qualcosa possa provocarci e muovere un'esistenza troppo spesso stretta in confini angusti in cui il contingente ci schiaccia e fa sì che non siamo in grado di cogliere la pienezza di significato che invece contiene già in sé.
Da Enzo ho imparato tante cose, ma una di quelle più belle é quando, a modo suo, mi ha insegnato anche lui a liberarmi dall'esito delle vicende della vita ed a guardare solo ad una modalità di sguardo, perché nella vita l'importante é amare - come diceva Chiara - e poi a quell'esito non ci devi pensare tu.
Quella cosa bella di Enzo aveva a che fare con il gusto - quello della vita - e questa faccenda del gusto su di me ha sempre esercitato una straordinaria attrazione:
"il gusto della vita - aveva detto - non é negato a chi sbaglia, ma a chi non ha un senso dell'infinito, del destino, dell'ideale, del Mistero presente.  Perché allora - aveva aggiunto - il problema non é sbagliare o non sbagliare. Il gusto della vita non é negato a chi sbaglia: é negato a chi non ha un nesso con il Destino che fa le cose, con il Mistero presente. Per cui tutto é un'ipotesi positiva, il tempo che per tutti é sinonimo di decadenza, lavora in positivo. Se guardo la vita, che razza di roba é successa! Dico sempre: se é successo così fino adesso, immaginiamoci cosa succederà nel futuro! Ne vedremo delle belle. E' interessante, no ? E' un avventura".
Grazie Enzo, per richiamarmi anche oggi, a dieci anni dalla tua partenza da quaggiù, al senso più grande di questa straordinaria avventura.
L'irripetibile ed affascinante possibilità di vivere la Sua volontà nell'attimo presente della vita.




Note:
I dialoghi tra Enzo Piccinini e Don Luigi Giussani sono raccontati da Enzo nella sua testimonianza "Tu sol, pensando, o Ideal sei vero", il cui testo integrale si può trovare qui

Sunday, May 17, 2009

MEDICI E PAZIENTI

Post poco serio di un medico "scoppiato".
Ogni riferimento a fatti realmente accaduti é assolutamente voluto e non casuale.

Per non perdere l'allegria e il buonumore....


L'importante é capirsi

"Buongiorno, come va il respiro oggi?"
"Il respiro va bene, é il fiato che manca...."

Ad un paziente appena ricoverato per infarto:
"Ha ancora dolore?"
"Dolore? No, dolore no... é che sento come una mano che mi schiaccia il petto e mi sembra che si debba spezzare in due..."

"Ah, ha portato gli esami del sangue: mi faccia vedere".
" Ecco sciur dutùr, varda lee come va la diabete e il polistirolo..."

Le so tutte!

Un paziente cardiopatico durante un'ecocardiografia (ecografia con cui si guarda in maniera specifica il cuore):
"Dottore, ma con questo esame riesce anche a guardare la spalla destra? Perché sa, l'altro giorno sono caduto e mi fa male..."
"Come no? Olio e filtri, tutto a posto?"

Un altro paziente, prima ancora d'iniziare l'esame:  "Dottore, é grave?"
"caspita, so addirittura prevedere il risultato di un esame... quando esco da qui vado anche a giocare il superenalotto..."

Non mi scompongo mai

Il dottor A. é stato e resterà sempre il mio più grande maestro. Le sue capacità cliniche, tuttavia, non si coniugavano sempre con una grande dimestichezza nel relazionarsi coi pazienti. Diciamo che, in un certo senso, viveva in un mondo tutto suo.
Un giorno stava eseguendo un'ecocardiografia ad una paziente ultraottantenne; le funzioni cognitive della signora non erano propriamente delle più brillanti, già da un bel po' di tempo e per di più si esprimeva solo in dialetto stretto della bassa padana.
Come se non bastasse, quel giorno aveva deciso che non aveva nessuna voglia di stare ferma sul lettino troppo a lungo.  La cosa dava piuttosto fastidio al dottor A., il quale, spazientito, ad un certo punto, sbottò, con la sua impeccabile erre moscia, in un: "per cortesia, signora, detenda la muscolatura dell'addome!".  La signora rispose con un grugnito e tentò pure di mordere un dito al collega.
Io e l'infermiera, corsi fuori dall'ambulatorio, siamo lì ancora adesso a ridere....

Ogni tanto ci si fa male sul lavoro e quel giorno il dottor A. si era ferito ad un dito (no, non era stata la paziente di prima...).
"G., per cortesia, potrebbe aiutarmi in una medicazione? Mi sono procurato una soffusione ecchimotica del letto ungueale del secondo dito della mano sinistra..."
"Sì, dottore, adesso vado a prenderle un cerotto...."

Il paziente entra in ambulatorio: "prego, si accomodi. Si prepari pure a torace scoperto ed appenda i vestiti all'appendiabiti".
Il paziente si spoglia e si "appende" letteralmente all'appendiabiti.
Io e l'infermiera ci ritroviamo un'altra volta fuori dall'ambulatorio....

Saturday, May 09, 2009

WE'VE GOT FRIENDS


"Sotto ogni fatto, ogni circostanza, ogni dovere, c'é la volontà di Uno che ama senza inganno e tutto conduce al bene"
(Chiara Lubich)


"Ricordatevi però una cosa: che qualsiasi scelta farete non sarà sbagliata, perché la vita é più grande della scuola, apre continuamente nuove porte in maniera inaspettata". Aveva detto più o meno così il preside della scuola media di mia figlia, in una riunione tenuta assieme ai genitori per aiutarli nel cammino verso la scelta delle scuole superiori.
Eppure, in tutti i momenti precedenti, ci aveva condotto per mano attraverso un percorso di straordinaria serietà e passione, affinché tutti ci rendessimo conto di quanto tutto poteva essere infinitamente meglio vissuto, se preso per mano attraverso una compagnia - genitori, insegnanti e figli - che aveva la possibilità d'essere vera compagnia al Destino, desiderio che un disegno di bellezza si potesse compiere, anche attraverso la scelta di una scuola.
Quella frasetta messa lì sembrava il compendio di quanto ci aveva detto sino a quell'istante, solo in apparente contraddizione con tutto ciò che l'aveva preceduta. Ed io mi ci ero fermato sopra per un bel po', quasi a dire e pensare: ecco é proprio questo il punto, questa é l'esperienza che sto facendo in questo tempo, che meglio definisce mille circostanze, il filo d'oro che le lega assieme in una maniera tutta speciale.

Quel filo d'oro che teneva le cose insieme mi appariva affascinante ed  irresistibile.
Pensavo a tutti i nuovi amici incontrati all'Armadillo Meeting, sguardi intensi forse nutriti in precedenza da una conoscenza passata attraverso questo blog, ma figli di qualcosa di più grande e indefinibile, perché non riesci a definire gli abbracci con le misure umane.
Ma allo stesso modo pensavo a momenti intensi, ora di scontro e di dolore, altre volte di speranza e indomita lotta, figli di un quotidiano in ospedale fatto di pazienti, colleghi ed infermieri; una drammaticità dove tutto si gioca sul terreno della sofferenza, che non smette d'interrogarti senza pietà, perché sposta gli interessi e le emozioni sul piano di ciò che conta davvero - il significato della tua esistenza - facendo cadere ciò che ha da cadere e lasciando in piedi solo la verità.
Pensavo infine a mia moglie, ai miei figli, agli amici con cui si condivide il cammino più profondo, quello dove tutto viene vissuto e messo in comune in un vivere che é scorgere il disegno di un Altro, sempre all'opera in tutto e in tutti, alla luce di una presenza, la Sua, divenuta fatto tangibile tra coloro che danno la vita, in ogni momento, per essere uniti nel Suo nome.

Mentre pensavo a tutto questo, scorgevo una felicità che si fa strada, attimo dopo attimo, giorno dopo giorno, indipendentemente dall'esito delle vicende, del fatto che sia positivo o negativo, che si tratti cioé di gioia o di dolore. Come a dire che tutto ti é dato, tutto é dono e non c'entra neppure il tuo senso d'adeguatezza, il tuo sentirti cioé sufficientemente bravo nell'affrontare la circostanza che ti é data, oppure - ahimé, molto più spesso - terribilmente incapace.

Non é insostenibile schizofrenia tutto ciò, ma la percezione che c'é un Altro che sostiene tutto ciò e chiede a me di non preoccuparmi di come vanno a finire le cose, ma di stare semplicemente al gioco, impegnarmi a fondo coi talenti che mi sono stati dati,  mentre compio l'atto di mettere l'esito delle vicende nelle mani di Colui a cui appartengono davvero.
Il centuplo che ne viene, in ricambio dell'impegno profuso, é un'inattesa passione e felicità per ciò che accade; senso di pienezza, corrispondenza al desiderio del cuore più profondo.
Gioia nel vedere sotto i miei occhi il vivere della cosa più grande che Dio abbia creato.
Una cosa che si chiama Umanità, così bella che ha voluto entrarvi anch'Egli, donandoci la vita del Suo Figlio.

Monday, May 04, 2009

ARMADILLI IN FESTA



"Questa si chiama 'Trains' ed é il mezzo di trasporto con cui sarebbe meglio che tornassimo tutti a casa questa sera...". Sono parole di Paolo Bonfanti, di fronte ad un pubblico ad alto tasso etilico, poco prima di attaccare con un blues degno del delta del Mississippi. Paolo e l'ottimo Stefano Barotti ci stanno splendidamente accompagnando, con il loro set acustico, improvvisato in chalet, alla conclusione del 1° Armadillo Meeting, svoltosi domenica 3 maggio.
Le strade centripete del vino e della buona musica portano gli amici al quartier generale degli armadilli, che non sarà deep in the heart of Texas, ma é sempre una gran bella Courmayeur, proprio ai piedi del Dente del Gigante.
Ottimo menu, curato dallo chef valdostano Agostino Buillas e vini favolosi, dallo champagne gustato con gli antipasti, sino a pregiatissime bottiglie di Barolo dei 60s, passando per il Costa Baltea del vignaiolo Giulio Moriondo, che a metà pranzo si fa capace di trasmettere la bellezza del suo lavoro, nel corso di una breve presentazione.


Condivido il viaggio d'avvicinamento al meeting con una squadra di tutto rispetto: Paolo "magic" gamblin-ramblin, Massimo "Repiz" ed addirittura il Cicciuxs in persona. Per lui (e forse per altri, da oggi in poi) sono "cardioman" ed oggi la partita del cardiologo, in mezzo a vino, fumo e rock'n'roll, é persa, ma, hey, oggi sono in ferie anch'io ed ho stimbrato il cartellino!
La giornata parte con una foto d'obbligo davanti alla Harley di Diego, nuova e scintillante (peccato che dopo me ne perdo una sulla Triumph del Tatix) e prosegue in allegria. E' bello incontrare, oltre a Tatix, il grande Pratelli, Hazel e tanti altri nuovi amici.
Le cose belle però durano sempre troppo poco e così tutto passa in un baleno.
Sulla strada verso casa la musica del Cicciuxs pompa a mille dallo stereo dell'auto; molti artisti a me sconosciuti, ma é un bel sentire e d'altra parte sono in macchina con giornalisti e produttori discografici e scusate se é poco.
C'é perfino uno svedese dal nome impronunciabile (Christian Kjellvander), ma che canta meglio di molti nativi USA a denominazione d'origine controllata.





Scrivevo poco tempo fa che a volte mi chiedo le ragioni per le quali valga la pena di tenere aperto ed aggiornato un blog.
Ripenso alla giornata trascorsa, agli sguardi ed alle strette di mano, ad amicizie rafforzate ed a relazioni nuove appena nate, tutti frammenti di reciprocità, affacciatisi all'improvviso nella mia esistenza quotidiana.
E ripenso all'abbraccio finale di Tatix - forte - ed a quel suo "grazie d'essere venuto", fuoriuscito dalla bocca, ma trasmesso con occhi sorridenti e speciali e mi dico che sì, valeva davvero la pena d'essere stato qui.
E di continuare a tenere aperto un blog.
A bientot, les amis!

Friday, May 01, 2009

ON THE ROAD


Eravamo arrivati di sera, in cima alla salita di Rocca di Papa, non senza fatica.
Mario, amico più vecchio di me, che aveva vissuto tante battaglie, aveva un passo invidiabile: non ero letteralmente riuscito a stargli dietro. Giunti lassù avevamo guardato in silenzio il panorama mozzafiato, le mille luci scintillanti di Roma.  "Sembra Los Angeles - mi aveva detto dopo un po' - sai, come quello del libro di Kerouac, che guarda la città da lontano... Cos'é che diceva ? L'importante non é dove si va, l'importante é andare..."


Bob é un autostoppista americano, ma non é giovane, é pure già nonno da un bel pezzo.
Sbarca il lunario qua e là, si sposta in continuazione e per andare a trovare i nipotini fa l'autostop, perché non ha i soldi per pagarsi il biglietto dell'autobus.
Quella volta che i parenti avevano deciso di andare da lui aveva perfino affittato per qualche giorno un appartamento ammobiliato, perché si vergognava della sua condizione di homeless.
Eppure ha una positività di sguardo davvero sorprendente, pensa che tutte le sue difficoltà, in fondo, non siano "niente di grave"; dice di essere ottimista, sta attento a quel che gli accade, pare che abbia smesso di arrabbiarsi da un pezzo.
Bob é uno dei tanti personaggi che Mike Bryan incontra nei suoi viaggi lungo le superstrade americane, raccontate nel suo libro Uneasy Rider.
Mike riporta l'idea di John Brinckerhoff Jackson, che "suggerisce che le superstrade che collegano i vari stati dell'Unione sono essenzialmente centrifughe, trasferiscono idee, energie e persone lontano dal centro, sono indifferenti alle comunità e ai dialetti locali, mentre le strade secondarie e i vicoli ciechi sono essenzialmente centripeti, visto che trascinano la loro cultura all'interno della comunità"
Mica male come idea. Bryan la cavalca alla grande, la associa a quel senso di frontiera tutto americano, allo sfuggire ostinatamente le radici, al coltivare un senso di desiderio e di speranza che si coniuga col movimento, con l'incapacità di stare fermi in qualche posto.
Ma, nello stesso tempo, giunge a disprezzare il senso stesso di comunità, sembra fuggire la conseguenza di relazioni che siano veramente tali, il rischio della ferita dell'altro. Un certo grado di solitudine é ciò in cui sembra compiacersi : "la maggior parte di noi ha un rapporto d'amicizia con poche persone; i rapporti veramente stretti sono ancora di meno; credo che ci vada bene così. Salve. Lieto di conoscerla. Addio. Il resto é solo cortesia, buona educazione, giacché il problema della comunità ruota intorno ad una domanda: una comunità, d'accordo, ma con chi?"


Ecco, é proprio questo, a mio parere,  il punto. Bryan mette in discussione il principio stesso di comunità, ma poi é affannosamente alla ricerca di un popolo che lui identifica in tutti coloro che incontra sulle superstrade, in quel suo continuo vagabondare che ha fatto sì che fossero figli di una "interstate syndrome", come la chiama lui e di quella "generica insoddisfazione, così tipicamente americana, con un vago desiderio", per cui non si é mai fermato, lui e la moglie, nello stesso posto per più di tre anni.
Conosco europei che vivono così, ma anche persone che vivono così stando nello stesso posto tutta la vita.  Io stesso sono così, rischio quella generica insoddisfazione mille volte al giorno, quando faccio finta di non sapere che non mi sono fatto da solo e che quel vago desiderio é desiderio di pienezza e di bellezza e non ha luogo di esistere e di realizzarsi se non all'interno di ciò che é relazione.
Relazione con l'altro, il prossimo che mi capita di fronte nell'attimo presente, é ciò che rompe i miei poveri piani, che mi scombussola e mi scardina, ma che mi apre a nuove prospettive dove da solo non sarei mai arrivato. 
E' ciò che permette ad un Altro di entrare nella mia vita col Suo disegno, infinitamente migliore del mio, perché pensato per il mio bene, a differenza del mio misero progetto del mattino sulla giornata che verrà.
E' ciò che permette a Lui, se riconosciuto, di dimorare in mezzo a noi: "dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io in mezzo a loro" (Mt, 18, 20)