Eravamo arrivati di sera, in cima alla salita di Rocca di Papa, non senza fatica.
Mario, amico più vecchio di me, che aveva vissuto tante battaglie, aveva un passo invidiabile: non ero letteralmente riuscito a stargli dietro. Giunti lassù avevamo guardato in silenzio il panorama mozzafiato, le mille luci scintillanti di Roma. "Sembra Los Angeles - mi aveva detto dopo un po' - sai, come quello del libro di Kerouac, che guarda la città da lontano... Cos'é che diceva ? L'importante non é dove si va, l'importante é andare..."
Bob é un autostoppista americano, ma non é giovane, é pure già nonno da un bel pezzo.
Sbarca il lunario qua e là, si sposta in continuazione e per andare a trovare i nipotini fa l'autostop, perché non ha i soldi per pagarsi il biglietto dell'autobus.
Quella volta che i parenti avevano deciso di andare da lui aveva perfino affittato per qualche giorno un appartamento ammobiliato, perché si vergognava della sua condizione di homeless.
Eppure ha una positività di sguardo davvero sorprendente, pensa che tutte le sue difficoltà, in fondo, non siano "niente di grave"; dice di essere ottimista, sta attento a quel che gli accade, pare che abbia smesso di arrabbiarsi da un pezzo.
Bob é uno dei tanti personaggi che Mike Bryan incontra nei suoi viaggi lungo le superstrade americane, raccontate nel suo libro Uneasy Rider.
Mike riporta l'idea di John Brinckerhoff Jackson, che "suggerisce che le superstrade che collegano i vari stati dell'Unione sono essenzialmente centrifughe, trasferiscono idee, energie e persone lontano dal centro, sono indifferenti alle comunità e ai dialetti locali, mentre le strade secondarie e i vicoli ciechi sono essenzialmente centripeti, visto che trascinano la loro cultura all'interno della comunità"
Mica male come idea. Bryan la cavalca alla grande, la associa a quel senso di frontiera tutto americano, allo sfuggire ostinatamente le radici, al coltivare un senso di desiderio e di speranza che si coniuga col movimento, con l'incapacità di stare fermi in qualche posto.
Ma, nello stesso tempo, giunge a disprezzare il senso stesso di comunità, sembra fuggire la conseguenza di relazioni che siano veramente tali, il rischio della ferita dell'altro. Un certo grado di solitudine é ciò in cui sembra compiacersi : "la maggior parte di noi ha un rapporto d'amicizia con poche persone; i rapporti veramente stretti sono ancora di meno; credo che ci vada bene così. Salve. Lieto di conoscerla. Addio. Il resto é solo cortesia, buona educazione, giacché il problema della comunità ruota intorno ad una domanda: una comunità, d'accordo, ma con chi?"
Ecco, é proprio questo, a mio parere, il punto. Bryan mette in discussione il principio stesso di comunità, ma poi é affannosamente alla ricerca di un popolo che lui identifica in tutti coloro che incontra sulle superstrade, in quel suo continuo vagabondare che ha fatto sì che fossero figli di una "interstate syndrome", come la chiama lui e di quella "generica insoddisfazione, così tipicamente americana, con un vago desiderio", per cui non si é mai fermato, lui e la moglie, nello stesso posto per più di tre anni.
Conosco europei che vivono così, ma anche persone che vivono così stando nello stesso posto tutta la vita. Io stesso sono così, rischio quella generica insoddisfazione mille volte al giorno, quando faccio finta di non sapere che non mi sono fatto da solo e che quel vago desiderio é desiderio di pienezza e di bellezza e non ha luogo di esistere e di realizzarsi se non all'interno di ciò che é relazione.
Relazione con l'altro, il prossimo che mi capita di fronte nell'attimo presente, é ciò che rompe i miei poveri piani, che mi scombussola e mi scardina, ma che mi apre a nuove prospettive dove da solo non sarei mai arrivato.
E' ciò che permette ad un Altro di entrare nella mia vita col Suo disegno, infinitamente migliore del mio, perché pensato per il mio bene, a differenza del mio misero progetto del mattino sulla giornata che verrà.
E' ciò che permette a Lui, se riconosciuto, di dimorare in mezzo a noi: "dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io in mezzo a loro" (Mt, 18, 20)
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