Mentre l'ascensore risaliva lentamente in cima, lassù in unità coronarica dal reparto di rianimazione, continuavo a ripensare dolcemente a quello sguardo. Gli occhi sorridenti del collega, di fronte al mio: "Ciao, sono venuto a vedere se avevi bisogno di una mano". Già, perché lui non mi aveva mica chiamato ed era per quello che avevo incrociato il suo volto un pò' stupito. Ma era bastato poco perché il nostro lavorare assieme diventasse un circolo virtuoso, fatto di cenni d'intesa, condivisione d'esperienza fianco a fianco, battute scherzose con tutto il personale, il paziente reso felice e sereno da quel nostro lavorare insieme.
E pensare che con quel medico, un po' di tempo prima, c'era stato pure uno scazzo non da poco. Ma era per quello che ero tornato giù da lui, la prima scusa colta al volo appena qualche giorno dopo, pronto a dare un aiuto anche quando non era stato chiesto. La volontà di ricucire un rapporto e ricomporre un'unità; l'esigenza più sentita, il desiderio del cuore più profondo.
Più tardi, in auto, verso sera, sul percorso che porta verso casa, il più piccolo dei miei figli è seduto sul sedile di fianco al mio, al ritorno da un pomeriggio di compiti e di giochi da un amico. Ripenso alla sua manina, stretta a lungo poco prima, lungo il pezzo di strada per raggiungere la macchina, parcheggiata questa volta un po' lontano. Una Milano frenetica mi circonda, riempita dai suoi clacson stupidi e nervosi, pazzi e incomprensibili come sempre. Ma la gioia del cuore é più forte del rumore che sta intorno. Come mi ero fatto felice, in quei momenti, di stringere le sue dita tra le mie e com'erano simili, quei piccoli sprazzi di felicità, a quelli sperimentati poche ore prima col collega! Un padre e un figlio che camminano per mano, faccenda ben diversa da un rapporto tra due uomini al lavoro, eppure, al fondo, la stessa insopprimibile esigenza: quella di far famiglia, ovunque mi trovassi, qualunque fosse la cosa chiestami da fare, in quello strano e curioso intreccio di circostanze che usano chiamare vita di ogni giorno.
Era in quegli istanti che mi era tornato in mente il verso di una canzone tanto amata. Perché My Back Pages, ogni tanto, faceva inevitabilmente capolino nella mente: “Ero così vecchio allora, sono molto più giovane adesso”. Già, capitava sempre più spesso che mi sentissi proprio così: inaspettatamente giovane, alla faccia del tempo che passava, magari proprio al mattino di giornate in cui la vita pareva trascinarsi stancamente, come se non avesse quasi più nulla da dire.
Ma allora che cos’era, che rendeva nuovamente ed improvvisamente giovane una strada, liberandola dai pesi e dalle fatiche inesorabilmente accumulati? L’incontro con un avvenimento, forse, un fatto che stava riaccadendo ora, rendendo nuova e quindi giovane ogni cosa. Cos'altro poteva essere, se non quell'essere famiglia, sperimentato in piccoli ma intensi frammenti di reciprocità, dentro il sorriso di un collega o la manina stretta forte di un bambino? E cosa se non il desiderio che a quell'essere famiglia, non si anteponesse mai più nulla, fosse anche ogni mio gesto il più ispirato alla migliore idea di morale, di bene o di giustizia? Non era quello il punto e neppure la coerenza nella risposta alla Bellezza ed al Bene incontrati un giorno. No, la risposta era il desiderio di un cuore. Andare dietro al sogno di creare sempre più, ogni giorno, con discrezione, prudenza e, allo stesso tempo, decisione, quello spirito di famiglia che era la vera carità insegnataci un giorno da Gesù: “Amatevi a vicenda affinché tutti siano uno”.
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Ora, mentre a tarda sera una folla di pensieri e di emozioni prova a farsi anche scrittura, mi accorgo di guardare sempre più alla mia esistenza col desiderio di stupore e di entusiasmo di un bambino. La vita non é invecchiare, ma scoprirsi sempre più giovani e felici nello scorgere il disegno di un Altro che si svela a poco a poco.
Si può maturare, dentro questa storia e, a Dio piacendo, essere di spettacolo a noi stessi ed agli altri, giungendo, allo stesso tempo ad una pienezza di vita affascinante ed inattesa.
Come quella che raccontava tempo fa un amico, poco prima d’essere chiamato inaspettatamente al cielo: “se dovessi paragonare la mia vita come si è svolta, userei questa metafora: la mia vita è come una mongolfiera. Più vado, più m’innalzo, più m’impegno. Più sono dentro a questa vita, più scopro degli aspetti dell’umano che mi erano impossibili prima: una capacità di fedeltà, di amicizia, di lealtà, di ripresa, d’indomabilità che non avevo mai pensato prima. Perciò, da ultimo, è una gratitudine che caratterizza la mia vita. Per questo non ho paura a donarla tutta”.