Chiara Lubich (22 gennaio 1920 - 14 marzo 2008)
Ho visto una sola volta Chiara da vicino. Ricordo che mi ero precipitato giù, lungo la scala che lei avrebbe disceso, per arrivare tra i primi vicino alla sua macchina. Era venuta ad un incontro a cui partecipavo anch'io, più di un migliaio di persone, sapete quelle cose che chiamano ritiri e che, volta dopo volta, cambiano un pezzo del tuo cuore anche quando sembra troppo duro. Che poi certi passaggi forti di quei momenti - i ritiri, appunto - io me li ricordo anche nei luoghi più improbabili. Come quando ti trovi in cucina, ad esempio, a mettere in una gigantesca lavastoviglie i piatti di quelle centinaia di persone che hanno appena finito di cenare. E magari a farti spiegare come si fa da una focolarina giovane e sorridente con un inconfondibile accento del Sud America o di un paese africano che non ti ricordi neanche dove si trova. Ho sempre pensato che la strana felicità provata in quegli istanti - che alla fine del lavoro sei puro unto fino alle orecchie, stanco morto e sogni una birra fresca anche in gennaio - avesse in sé qualcosa di profondamente soprannaturale.
Tant'é, comunque, quel giorno mi trovai davvero vicino a Chiara, solo che ero dalla parte sbagliata della macchina, opposta a quella dalla quale sarebbe poi salita. Così non riuscii a salutarla ed a stringerle la mano. Ma ero comunque ad un passo da lei. E mi ricordo il silenzio intorno e certi sguardi come una delle cose più sacre della mia vita. C'erano decine di persone vicino a quell'auto ed ogni mezzo metro c'era una mano che stringeva quella di Chiara. Lei avanzava lentamente, qualche istante per ciascuna di quelle mani e di quei volti che volevano salutarla, dirle che le volevano bene, farle capire quanto era stata madre per ciascuno. Lo sguardo di Chiara era impressionante. Profondo, sorridente e penetrante. Una penetranza d'amore, come se quella persona che lei aveva davanti a sé, fosse stata l'unica presente in quel momento e nella sua vita. La stessa intensità distribuita ad ognuno, prima di salire in macchina e salutare poi tutti insieme con la mano dal finestrino. Uno sguardo che ho portato dentro per anni e che mi trovo addosso ancora adesso, perché ha fatto scuola nel mio cuore.
Mi ha fatto capire cosa significhi amare la persona che la circostanza della vita ti mette davanti nell'attimo presente. Quello che hai di fronte, in quell'istante. E in quell'istante solo lui. Sia tua moglie o tuo figlio, il collega o il tuo capo. O il passante che incrocia la tua strada. Stessa intensità per ciascuno. Stessa dose d'amore.
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Rocca di Papa é un delizioso paesino dei Castelli Romani, adagiato sulle alte sponde del lago di Albano. Ci fanno dell'ottimo vino, da quelle parti e si mangia pure bene, non solo porchetta e scottadito. Rocca di Papa é anche il cuore pulsante del Movimento dei Focolari. Lì c'é la casa di Chiara e la sua tomba, posta in una cappella all'interno del Centro Mariapoli. Chi si trovasse da quelle parti, non avrà difficoltà a passare dentro per un saluto o una preghiera: la porta del Centro é sempre aperta per chiunque. L'ho fatto un po' di volte anch'io, a volte senza sapere neppure cosa chiedere o cosa dire, ma solo per mettere il mio cuore davanti al suo e lasciare che sul nulla d'amore di entrambi quei cuori potesse nascere qualcosa di nuovo e di grande. Quest'inverno, poi, sono stato anche a visitare la sua casa. Anche da lì passano ogni anno migliaia e migliaia di persone, ma non é un museo, quello che vi si trova. Dentro, ad accogliere ciascuno, ci sono le focolarine che stavano con Chiara e che sono ancora lì, vivendo la normalità della quotidianità e dei loro incarichi di ogni giorno. Ho attraversato, insieme a decine e decine di altri amici, il salottino e lo studio dove ogni giorno lavorava, la cappellina che comunicava direttamente con lo studio, centro della casa, la stanza da letto dove é morta alle due del mattino del 14 marzo, dopo aver salutato e stretto le mani, l'ultimo giorno della sua vita terrena, delle centinaia di persone giunte a porgerle l'ultimo saluto.
Non mi ricordo cosa mi sia passato per la mente, passando da una stanza all'altra, scambiando qualche parole con le compagne di Chiara, facendomi raccontare di quell'aria di paradiso che si é respirata per anni in quella casa. Ma ricordo una sensazione di bellezza, una volta uscito da lì, bellezza come unica cosa capace ancora di rapire il mio cuore, ferito tropo spesso dalla sua stessa durezza.
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Se dovessi portare via con me una sola cosa come la più preziosa di Chiara, quella che più me la fa sentir madre ogni giorno, forse prenderei una frase ed uno sguardo. La frase é la risposta che lei diede all'ultima domanda di un'intervista che Flaminia Morandi le fece nel 1997 per l'emittente Sat2000. Lo sguardo é quell'istante di silenzio, che precedette la risposta, come a dire, sì, questa é davvero la chiave che apre ogni porta.
"C'è un segreto, un segreto che lei pensa che sia alla base di tutto questo?", le aveva chiesto la Morandi. "Amare", aveva risposto Chiara. E poi, dopo una pausa lunga ed intensa come di chi sta per darti in mano la cosa più importante che possiede: "Dio é amore. Amare é tutto".
(L'intervista con Flaminia Morandi, sulla rete, non l'ho trovata. Ma anche questa con Sandra Hoggett non é niente male....)
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