Wednesday, August 29, 2012

WAITING FOR A WHISTLE

Uno sguardo ironico e beffardo, a tratti chaplinesco. Quello con cui ti guarda sempre. Dal palco come durante le rare interviste che concede. Occhi che sembrano guardare sempre un po' più in là, oltre le persone, oltre gli avvenimenti che gli stanno intorno. E' buffo ed impenetrabile lo sguardo di Dylan, a passeggio di notte per le strade della città accompagnato da una gang. Dylan nel nuovo video di Duquesne Whistle, che scavalca con nonchalance il protagonista del filmato, un uomo abbandonato per strada dopo un regolamento di conti. Una vicenda quasi comica e grottesca, se non fosse, invece, così maledettamente somigliante a tante storia d'ordinaria e folle realtà.

Tempest, il nuovo disco di Dylan, non é ancora uscito - che bella data, l'undici settembre, per riaffacciarsi - e siamo tutti lì ad interrogarci di nuovo su quello che quest'uomo anziano che ha fatto la storia del rock - e di qualche pezzetto della nostra esistenza - abbia ancora da dirci dopo più di cinquant'anni. Non é necessario, forse, perché il protagonista di Masked & Anonymous ha già spiegato una volta per tutte quale debba essere la chiave di lettura delle sue cose: "Sono sempre stato un cantante e probabilmente niente di più". Esercizio inutile, quindi, scervellarsi ogni volta per vedere significati oscuri e reconditi dietro ad ogni mossa di chi ha deciso da un pezzo di rischiare la propria vita dando se stesso su un palco o su dischi nuovi, nei quali non si prende neppure cura di farsi aiutare da buoni produttori.  Jack Frost in realtà ci ripete anche oggi, come Jack Fate, che "le cose stanno cadendo a pezzi, specialmente il buon ordine di regole e leggi. Sali su una vetta più alta e vedrai saccheggi ed omicidi. La verità e la bellezza sono negli occhi dell'Onnipotente ed io ho smesso di cercare di capire cosa succede molto tempo fa". 
Il rischio, semplicemente, é di essere come la giovane Liza dei Fratelli Karamazov, che s'immagina di mangiare una composta di ananas davanti alla morte violenta di un bambino. Ciascuno di noi é capace di scavalcare la violenza per strada con quello stesso sguardo ironico e chaplinesco di Dylan nel suo video. Non fosse però che quel fischio di Dusquesne porta con sé il sussurro di un Amore più grande di tutte le miserie dell'uomo. L'amore di una madre, da riscoprire magari anche dentro una manciata di canzoni pronta a tenere in caldo l'autunno che verrà.

I can hear a sweet voice gently calling
Must be the mother of our Lord
Listen to that Duquesne whistle blowin'
Blowin’ like my woman’s on board

Sento una dolce voce chiamare delicatamente
Deve essere la madre di nostro Signore
Ascoltate quel fischio di Duquesne che soffia
Sta soffiando come se la mia donna fosse a bordo

Il video di Duquesne Whistle (tratto da questo link)

 

Tuesday, August 28, 2012

IL CUORE DI GIANNI


E' agitato e fatica a stare fermo sul lettino. Il battito accelera, a tratti in modo vorticoso, a fare compagnia alla sua voce. Poche parole, solo un "brum, brum" che mima il rombo di un motore. "Stai tranquillo", gli dico, mentre sua madre mi racconta che la Ferrari é sempre stata la sua grande passione. "Guardo solo il tuo cuore. Ci metto poco e non ti faccio male". 
Gianni ha più di quarant'anni ed i farmaci per controllare la sua psicosi sono più numerosi di quelli che servono a tenere a bada la pressione. Un'ecografia inutile, chiesta inutilmente dal suo medico di base. Un'ecografia che non gli cambierà la vita né le cure. Ma un'ecografia che oggi può cambiare la mia giornata.
Mi avvicino piano, il tono calmo e sottovoce. "Mettigli su la sonda due secondi - mi ero sentito dire da qualcuno - e poi eventualmente scrivi che l'esame non é fattibile per la scarsa collaborazione del paziente". E invece Gianni collabora eccome. Il suo cuore rallenta e la sua mente si tranquillizza sempre più, circondati entrambi dall'amore dei genitori e dalla gentilezza della mia infermiera. Non ci metto due secondi, né due minuti, ma di più, molto di più, anche se il cuore di Gianni, per fortuna, non ha niente che non funzioni a dovere. Ma il tempo, mano a mano che trascorre, serve ad affezionarmi ad uno sguardo, quello che sento crescere su di me sin dal primo istante. Lo sguardo con cui mi sono avvicinato a lui , così apparentemente umile ed indifeso. E che, a poco a poco, ha cominciato a scaldare il mio, di cuore. Un cuore scontroso e vanitoso, talvolta insensibile ed irato, a cui troppo spesso sfugge la grandezza del dolore che gli passa accanto. Quel cuore, accanto a quello di Gianni, sembra recuperare come d'incanto la pienezza d'ogni istante, il senso di un agire che é vocazione prima che mestiere. E' per quello che quasi non si vuol staccare più. Accanto ad una fiamma che gli ridona speranza ed energia. Educato all'Amore vero.
Alla fine, quando Gianni se ne va, lo saluto col sorriso, anche se lui sembra non accorgersene neppure. "Grazie!" mi dicono la sua mamma e il suo papà. "Grazie a voi", rispondo io. Grazie davvero. Al cuore di un uomo, piccolo ed umile, che oggi ha incrociato il mio ed é diventato il cuore di un Altro. Ce n'era bisogno per tirar sera e superare la notte che verrà. Il cuore di Gianni per dire buongiorno ad un nuovo mattino.

"una frase, una sola giudicherà la nostra condotta, la parola stessa di Gesù: "ciò che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me"
(Jérome Lejeune, 1926-1994, professore di genetica dell'Università di Parigi)



Tuesday, August 14, 2012

IL PARADISO DIETRO UNA STRETTOIA



La strada che, dal mare di Albisola, sale al paesino di Sassello é per lo più stretta e tortuosa. Guido piano e dolcemente, affrontando ogni curva senza bruschi strappi del motore. Anche l'ultimo dei miei figli é ormai grande, ma l'effetto di un'andatura più brillante potrebbe avere effetti devastanti sull'abitacolo della mia vettura. "Sei emozionato?", mi chiede mia moglie. Già, dovrei esserlo, dico a me stesso, io che non sono mai stato a visitare i luoghi di Chiara Luce. Le rispondo di no e mi pare d'essere sincero, ma, sotto sotto, misconosco semplicemente le mie emozioni. Forse é perché ho appreso la vicenda di Chiara così bene che mi sembra d'essere già stato qui. E forse il fatto che la sua storia sia un po' parte della mia, entrambi dietro al carisma che Chiara Lubich ha donato al mondo, rende tutto un po' più familiare. Ma dovrei esserlo, almeno un po', sinceramente emozionato. Mantenere anche oggi lo sguardo di un bambino e sapermi stupire di fronte a ciò che sa di bello e di vero, la santità e l'eccezionalità dentro l'ordinarietà. E probabilmente, emozionato lo sono per davvero.

Oggi é un giorno particolare a Sassello. Ci sono settanta vescovi, amici del Movimento dei Focolari, venuti quassù dai cinque continenti per conoscere meglio la storia di Chiara e per incontrare i suoi genitori. Li vedo entrare in chiesa, Maria Teresa e Ruggero, semplici e sorridenti come sempre. Ruggero cammina lentamente appoggiandosi a due stampelle. Mi colpisce sempre la figura del papà di Chiara, schivo, di poche parole, quasi a fare da sfondo al fulgore smagliante di mamma Maria Teresa. Entrambi sempre belli a vedersi, sorta di Maria e Giuseppe dei giorni nostri. La loro casa sempre aperta, pronti a parlare con chiunque passi da qui, a voltare verso il prossimo quello sguardo così carico d'amore che hanno sempre tra di loro. Mi scopro a pensare che spesso dietro alla storia di un santo straordinario c'é la santità quotidiana di due genitori.
Prima di venire in chiesa passo con la mia famiglia dal cimitero. Sulla tomba di Chiara c'é tempo e modo di lasciar scorrere libera la mente e la preghiera. Chiedo grazie per tanti amici. Non ricordo cosa chiedo per me. Ma mi lascio avvolgere dalla sua luce, dallo sguardo luminoso dei suoi occhi, una bella fotografia appoggiata sul pavimento della cappella di famiglia. Con noi c'é un'anziana suora, maestra d'asilo di tanti anni fa. Racconta ai quattro bambini di una famiglia di Torino dei piccoli atti d'amore di Chiara verso i compagni di scuola materna. Mi commuove la familiarità che nasce spontanea tra gente che non si é mai incontrata prima. Ecco, forse é questo il primo momento della giornata in cui mi scopro davvero emozionato. Come allora, Chiara Luce genera anche oggi la reciprocità dell'amore. Quando gli amici uscivano dalla sua stanzetta dove giaceva ammalata usavano ripetere spesso:"vicino a lei non si sentiva mai, neanche per un attimo, il peso della malattia, del dolore, delle limitazioni. Stando accanto al suo letto ero io ad avere la netta percezione di essere la malata, l'invalida. Sentivo di doverle chiedere una mano, ma poi, in verità, non occorreva chiedere nulla, bastava guardarla per imparare ad amare sempre e a ripetere con lei: "Se lo vuoi tu, Gesù, lo voglio anch'io. Sei tu, Signore, l'unico mio bene". Rientrando a casa avevo anch'io la certezza di aver vissuto un momento di paradiso". Chiara continua a compiere questo miracolo in chi le si accosta. Creare una fraternità. Luogo di presenza di Gesù, generata dalla reciprocità dell'amore.

La messa é semplice e solenne allo stesso tempo. Il mio sguardo continua ad andare verso l'altare di destra, lungo la navata: non riesco a distogliere lo sguardo da quella fotografia. Ancora quella foto di Chiara, ancora quegli occhi pieni di luce. Anche vescovi e cardinali, oggi, sembrano essere in un certo senso a scuola. Dirà più tardi Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari, anch'essa presente oggi a questa festa: "La sento come una sorella per il carisma dell’unità che ci lega: una sorella minore perché figlia del Movimento dei Focolari che ora presiedo; una sorella maggiore perché, correndo come gli atleti alle Olimpiadi, mi ha preceduta nella santità". 
Al termine della celebrazione c'é tempo per incontrare un po' di amici, venuti da ogni dove. Ad un tratto scorgo Franco, lo vedo da lontano dirigersi verso di me. Un amico argentino, che ha letteralmente illuminato tratti di esistenza della mia incerta gioventù. Non lo incontro da anni, mi si fa incontro, lo stesso sguardo e sorriso di sempre, uno dei più luminosi che abbia mai conosciuto. Lo abbraccio, questa volta mi commuovo e mi emoziono per davvero. E' ancora Chiara a generare tutto questo, lo sento. La reciprocità dell'amore. Valeva la pena di arrivare fino a qui anche solo per quest'abbraccio. Lungo una strada tutta curve. Il paradiso dietro a una strettoia.



Di tutti i libri su Chiara Luce che ho letto, quello di Franz Coriasco - "Dai tetti in giù" - mi é sempre parso il più bello. Coriasco é autore radiotelevisivo, musicale, teatrale; scrittore e critico musicale: sono anni che leggo le sue recensioni di musica rock su Città Nuova e tengo in cuore la speranza di poterlo prima  o poi incontrare di persona. Si definisce agnostico, ma il suo sguardo sulla realtà é quello che, da credente, mi piacerebbe spesso avere, io che mi sento così spesso schiavo dei miei pregiudizi. "Oggi, molto più di vent'anni fa - scrive Franz - Chiara mi dà sollievo, ogni volta che la penso: non illumina, ma riscalda la mia oscurità. E' come se contribuisse a tenere aperto lo spiraglio di una porta, così da non cedere alla tentazione di un'esistenza claustrofobica o meramente autoreferenziale. Soprattutto m'invita quotidianamente a cercare compiutezza e perfezione nelle piccole cose di ogni giorno, anche se ahimé, ci riesco di rado".
Penso a queste parole lungo le strettoie che da Sassello riportano giù verso il mare. La strada verso casa é lastricata di un misto di emozioni - quelle della giornata appena trascorsa - e d'intenzioni, quelle di puntare a rendere Bellezza tutte le piccole cose che attendono d'incrociare il mio cammino. Il rischio è di fermarsi al desiderio, ma in fondo basta saper volere, proprio in quelle piccole cose di ogni giorno: "Bisogna saper morire a colpi di spillo per saper morire di spada", diceva spesso Chiara. E pensare a Chiara serve anche a me a tenere aperto quel piccolo spiraglio, attraverso il muro della mia oscurità e del mio peccato. Ma non esiste muro così spesso che non abbia crepe. Dovrei saperlo, ormai, che é da quelle che passa la luce.