Sunday, April 06, 2014

DI GREGOIRE E DEI SUOI MATTI DA SLEGARE. E DELL'INDIFFERENZA.



Grégoire interrompe il suo racconto e si alza di scatto, cogliendo tutti di sorpresa. Solleva lo zaino, estrae una catena e se la mette al collo, per riprendere poi a parlare, tenendola stretta e tirata. E' un modo efficace per far comprendere meglio a chi ascolta, comodamente seduto di fronte, la realtà di cui sta raccontando dall'inizio della serata: quella delle persone affette da disturbi psichici e trattate nei paesi dell'Africa Occidentale con l'abbandono o l'incatenamento a vita, perché ritenute colpite da stregoneria. E' la sera di domenica 9 marzo ed un teatro milanese ospita un incontro con Grégoire Ahongbonon, responsabile dell'Association Saint Camille de Lellis. Uno sguardo profondo e intenso accompagna le sue parole: occhi che trasmettono dolcezza e, allo stesso tempo, una forza d'immense proporzioni. Lo spessore di un uomo che, dopo aver ritrovato Dio, comprende che "ogni cristiano deve posare una pietra per costruire la Chiesa".
 
Grégoire nasce nel 1953 in Benin, da genitori contadini che lo educano nella fede cattolica. Nel 1971 emigra in Costa d'Avorio; lavora come riparatore di gomme e, poco a poco, giunge ad un discreto benessere. Si allontana da Dio e dalla chiesa, poi, verso la fine del decennio, alcune disavventure economiche lo portano al fallimento e sull'orlo del baratro. Pensa seriamente al suicidio ma, per una serie di circostanze, compie un pellegrinaggio a Gerusalemme, tornando a casa con una fede riabbracciata. Gira per le strade di Bouaké, la sua città, con questo cuore nuovo e, a quel punto, vede ciò che lo circonda. Si accorge di persone che girano nude, a caccia di qualcosa da mangiare, uomini e donne abbandonati dalle famiglie perché malati di mente: i "dimenticati dei dimenticati". Grégoire vede in loro Gesù ed inizia ad aiutarli come può. Porta da mangiare, trascorre con loro le notti, ma si rende conto che non é abbastanza e si dà da fare, finché riesce ad ottenere di gestire un centro dove accogliere queste persone. Comincia a girare per i villaggi del suo paese e scopre una realtà raccapricciante: molti malati mentali vengono incatenati dalle famiglie, bloccati "come Gesù sulla croce" anche per anni, finché la morte non abbia il sopravvento. Il primo incontro di Grégoire con questa realtà é sconvolgente e da quel giorno non si dà tregua, per riuscire a liberare dai ceppi quanta più gente possibile. Oggi i centri gestiti dalla sua associazione sono cresciuti di numero, operando in Costa d'Avorio, Benin e, prossimamente, anche in Togo.
E' un racconto dettagliato, quello a cui si assiste, difficile da descrivere in poche righe. "Come fate ad andare avanti ed a trovare le risorse di cui avete bisogno?", viene chiesto da uno dei presenti alla fine dell'incontro. "Non sono io che faccio funzionare i centri!" - risponde Grégoire, con tono fermo e deciso - vi ricordate cosa ho detto all'inizio? Io sono un gommista! Avevo i soldi, ma Dio mi ha spogliato di tutto, prima di permettermi di cominciare questa storia. Dunque non sono io, né il mio denaro, che ha avviato tutto questo. Ora abbiamo più di 1350 malati in questi centri, ma chi si occupa di questi poveri e se ne occuperà sempre é la Provvidenza, che opera incessantemente attraverso gli uomini".
 
Si esce dall'incontro come trafitti. Una ferita provocata da una realtà sconosciuta a molti e per questo ancor più dolorosa, ma risanata dallo sguardo di Grégoire, un uomo innamorato di Gesù. Rimane in cuore solo un rammarico. Perché la gente non accorre mai sufficientemente numerosa ad incontri come questo, preferendo le comodità di casa propria? Forse perché la malattia dei tempi moderni, quelli della grande comunicazione di massa, dove viviamo come sconosciuti, pur in mezzo a mille messaggi su telefonini, twitter o facebook, è quella dell'indifferenza. L'ha spiegato bene, lo stesso Grégoire: "Qual é la tentazione che ci allontana da Dio oggi? Satana, che é venuto a seminare l'indifferenza nei nostri cuori. Siamo diventati indifferenti gli uni verso gli altri e non vediamo più la sofferenza di chi ci é accanto. Ma l'unico cammino per la nostra felicità e santità é questo: ama Dio con tutto il tuo cuore e il tuo prossimo come te stesso". Non c'è giudizio, né condanna nei suoi occhi, mentre pronuncia queste parole, anche se é un richiamo forte, che scuote la coscienza di tutti i presenti e rende difficile prendere sonno, una volta ritornati a casa. Ma siamo tutti in cammino e rincuora, al mattino, ricominciare cercando di mutare lo sguardo verso chi ci passa accanto nel momento presente. Vivere l'uno accanto all'altro. Per riscoprire l'io, il fratello e Dio.
 

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