Diciamoci la verità: il triplete non ce lo aspettavamo. Che Bob Dylan si sia appassionato al repertorio del Great American Songbook è un fatto assodato. Che, nei suoi concerti, gli standard americani vengano affiancati con disinvoltura ai classici che lo hanno reso celebre, è cosa abituale. E che egli potesse recarsi nuovamente con la sua band nei Capitol Studios di Hollywood, con la voglia di incidere ancora qualche brano, era anche possibile. Ma che il nuovo disco dell’artista americano fosse addirittura triplo, il primo, oltretutto, della sua intera carriera, ed intitolato, non senza una certa dose d’ironia, Triplicate, questo ci sorprende davvero. Tre cd per trenta canzoni - o tre vinili, per gli amanti di questo supporto, che, a giudicare dalle vendite, sembra non tramontare mai - ad esplorare quell’universo comunemente chiamato amore, in maniera, come recita il sito internet dell’autore, “tematica”. Til The Sun Goes Down, Devil Dolls e Comin’ Home Late – questi i titoli dei tre dischi – viaggiano infatti lungo un percorso composto da brani, alcuni più celebri, altri decisamente meno noti, molti dei quali già interpretati dalla “voce” per eccellenza della musica americana, Frank Sinatra, ma spesso incisi anche da altri cantanti famosi, quali Ella Fitzgerald, John Coltrane e Rod Stewart, solo per nominarne alcuni. Niente, dunque, di apparentemente nuovo, rispetto ai precedenti lavori, Shadows In The Night e Fallen Angels, anch’essi composti da cover.
Certo che questo nuovo disco, a prima vista, appare, per certi aspetti, già irrimediabilmente vecchio. Vecchio, perché, seppure intramontabili, queste canzoni sono più anziane del suo interprete. Vecchio, perché i nuovi brani vengono riproposti con lo stesso stile dei dischi precedenti, anche se stavolta fa capolino una sezione fiati, arrangiata da James Harper e che conferisce una drammaticità aggiuntiva a quel sottile tappeto sonoro che i musicisti, che da diversi anni accompagnano Dylan in studio e dal vivo, sanno ormai costruire alla perfezione. Insomma, il sospetto che la vena compositiva del premio Nobel della letteratura si sia affievolita e che anche questa nuova uscita sia stata programmata con una buona dose di sano “mestiere”, comincia a farsi strada. “Sarebbe così bello che ci regalasse un disco di sue nuove canzoni”, è uno dei commenti che si leggono più frequentemente sui social, quando non si assiste, da parte dei fans, a frasi di vero e proprio disappunto. Tanto più che Bob sa ancora incantare alle prese con il suo repertorio rock. I fortunati spettatori che hanno assistito al Desert Trip, il festival svoltosi nello scorso mese di ottobre in California, e definito da alcuni “il G6 del rock”, per la presenza, oltre a Dylan, di Rolling Stones, Neil Young, Paul McCartney, Who e Roger Waters, hanno potuto vedere quanto la sua energia si sia mantenuta intatta, e come egli, per dirla alla Paul Williams, sia rimasto il formidabile “performing artist”, capace di incendiare ancora il palco quando si esibisce in brani come Highway 61 Revisited, Ballad Of A Thin Man o Like A Rolling Stone (...)
Certo che questo nuovo disco, a prima vista, appare, per certi aspetti, già irrimediabilmente vecchio. Vecchio, perché, seppure intramontabili, queste canzoni sono più anziane del suo interprete. Vecchio, perché i nuovi brani vengono riproposti con lo stesso stile dei dischi precedenti, anche se stavolta fa capolino una sezione fiati, arrangiata da James Harper e che conferisce una drammaticità aggiuntiva a quel sottile tappeto sonoro che i musicisti, che da diversi anni accompagnano Dylan in studio e dal vivo, sanno ormai costruire alla perfezione. Insomma, il sospetto che la vena compositiva del premio Nobel della letteratura si sia affievolita e che anche questa nuova uscita sia stata programmata con una buona dose di sano “mestiere”, comincia a farsi strada. “Sarebbe così bello che ci regalasse un disco di sue nuove canzoni”, è uno dei commenti che si leggono più frequentemente sui social, quando non si assiste, da parte dei fans, a frasi di vero e proprio disappunto. Tanto più che Bob sa ancora incantare alle prese con il suo repertorio rock. I fortunati spettatori che hanno assistito al Desert Trip, il festival svoltosi nello scorso mese di ottobre in California, e definito da alcuni “il G6 del rock”, per la presenza, oltre a Dylan, di Rolling Stones, Neil Young, Paul McCartney, Who e Roger Waters, hanno potuto vedere quanto la sua energia si sia mantenuta intatta, e come egli, per dirla alla Paul Williams, sia rimasto il formidabile “performing artist”, capace di incendiare ancora il palco quando si esibisce in brani come Highway 61 Revisited, Ballad Of A Thin Man o Like A Rolling Stone (...)
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