In un suo recente articolo (1), Antonio Spadaro illustra magistralmente il cammino interiore di Jack Kerouac, mettendone in luce, attraverso l'attenta lettura dei suoi diari, l'afflato cristiano che caratterizzò la sua esistenza.
E' un esercizio ardito porre in rilievo quest'aspetto in uno dei massimi esponenti della beat generation, sempre in bilico, nella sua vita e nelle sue opere ("On The Road" più di ogni altra) tra trasgressione morale e desiderio di redenzione, eppure la sua sensibilità cattolica emerge in più riprese.
Traendo spunto da questo bel saggio, mi soffermo su due passaggi dei diari dello scrittore, datati 1949.
Il 2 giugno Kerouac annota sul suo diario che la sera prima era andato a dormire leggendo il Nuovo Testamento: Gesù "é stato il primo, e forse l'ultimo, a riconoscere che affrontare il mistero ultimo della vita é l'unica attività importante a questo mondo"; parla di "resa dei conti" e ancora anela ad "un mondo che rispecchi fedelmente il Cristo. Il Re mite, che giunge in groppa a un Mulo".
Nell'agosto aggiunge che "la vita non é abbastanza" - "life is not enough" - ed aggiunge: "allora cosa voglio ? Voglio una decisione per l'eternità, qualcosa da scegliere e da cui non mi allontanerò mai, in nessuna oscura esistenza o qualunque altra cosa accada. E qual é questa decisione ? Un qualche tipo di febbre della comprensione, un'illuminazione, un amore che andrà oltre, trascenderà questa vita verso nuove esistenze, una visione seria, finale e immutabile dell'universo. Questo é ciò che intendo quando dico "voglio degli Occhi". (...) Perché dovrei volere tutto questo ? Perché qui sulla terra non c'é abbastanza da desiderare".
Nell'estate dello stesso anno, a migliaia di chilometri di distanza, Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, e le sue prime compagne si trovavano a trascorrere un periodo di riposo nelle montagne del Trentino.
Sembrerebbe un po' azzardato accostare due situazioni che non appaiono avere alcun punto di contatto se non il nesso di tipo temporale. Eppure la correlazione tra di esse non appare poi così astrusa.
Ma facciamo un passo ancora più indietro, nel 1944, e lasciamo parlare Chiara (2) :
"Infuria la guerra anche a Trento. Rovine, macerie, morti.
Colle mie nuove compagne mi trovo un giorno in una cantina buia, con la candela accesa e il Vangelo in mano. Lo apro. V'é la preghiera di Gesù prima di morire: "Padre...tutti siano una cosa sola". E' un testo non facile per ragazze come noi, ma quelle parole sembrano illuminarsi ad una ad una e ci mettono in cuore la convinzione che per QUELLA pagina del Vangelo eravamo nate.
(...) I bombardamenti continuano e con essi scompaiono quelle cose o persone che formavano un po' l'ideale dei nostri giovani cuori. Una amava la casa: é stata sinistrata. Una seconda attendeva il matrimonio: il fidanzato non torna più dal fronte. Il mio ideale era lo studio: la guerra mi impedisce di frequentare l'università.
Ogni avvenimento ci tocca profondamente. La lezione che Dio ci offre nelle circostanze é chiara: tutto é vanità delle vanità. Tutto passa.
Contemporaneamente Dio mette nel mio cuore, per tutte, una domanda e con essa la risposta. Ma ci sarà un ideale che non muore, che nessuna bomba può far crollare, a cui dare tutte noi stessi ? "
E Chiara sembra quasi rispondere a quell'interrogativo di Kerouac :
"Sì Dio. Decidiamo di far di Dio l'ideale della nostra vita".
Ritroviamoci ora di nuovo in quell'estate del 1949, nelle montagne del Trentino.
Cito in questo caso Gérard Rossé (3), in un suo articolo del 2000 sulla rivista Nuova Umanità.
Racconta Rossé che "(...) Chiara Lubich, assieme ad altre ragazze, ha fatto l'esperienza di un'evangelizzazione della sua vita mediante la parola del Vangelo vissuta insieme; esse quindi sono state allenate alla vita di comunione. Nel luglio del 1949, questo gruppo di ragazze ed alcuni dei primi focolarini sono andati sulle Dolomiti per riposarsi. A loro si aggiunse, per qualche giorno, Igino Giordani, familiarmente chiamato Foco, uomo politico, giornalista e studioso cattolico di forte rilievo".
Quel profondo allenamento nella vita di comunione si rivelerà come preludio a quei giorni che furono particolarmente fecondi per Chiara in termini di ricchezza d'intuizioni spirituali.
Ve ne é una che riguarda un modo diverso di percorrere il cammino di santità, che rifugge da ogni tentativo d'individualismo, ma allo stesso tempo risponde a quell'esigenza di verità che Kerouac sembra volere a tutti i costi, quando parla di "qualcosa da scegliere da cui non mi allontanerò mai". Per Chiara la strada é il fratello che trova davanti a sé nell'attimo presente della vita di tutti i giorni e lo eleva, senza incertezze, a vero e proprio mediatore di Dio :
"Ho sentito che io sono stata creata in dono a chi mi sta vicino e chi mi sta vicino é stato creato in dono per me. Come il Padre nella Trinità é tutto per il Figlio ed il Figlio é tutto per il Padre".
Ma c'é di più, perché questo approccio genera comunione : "Noi mettiamo come punto di partenza di amare Dio con tutto il cuore, tutta l'anima, tutte le forze e quindi il prossimo come se stessi, perciò incominciamo la nostra santificazione santificandoci con gli altri, in comunione col fratello, e non supponiamo nemmeno la possibilità di santificarci individualmente".
E' una via nuova nella Chiesa, ora indicata anche nella Novo Millennio Ineunte di Giovanni Paolo II, che parla di spiritualità di comunione : "fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo". (4)
E' una strada che si percepisce essere entusiasmante, perché capace di dare il centuplo sotto forma di felicità piena, già durante il cammino terreno ed é ancora Chiara a percepirne il fascino, quando afferma, sempre in quel periodo : "Chi entra nella via dell'unità entra direttamente nella via unitiva (...) Chi entra nella via dell'unità non sale un monte con fatica, ma con una violenza iniziale e totale che comporta la morte totale dell'io, si mette al vertice della montagna".
L'accostamento tra l'esperienza interiore di Jack Kerouac, come descritta nei suoi diari e quella spirituale ed esistenziale di Chiara Lubich e delle sue prime compagne, sembra - ed effettivamente lo é, sostanzialmente - un po' una forzatura, sostenuta solo dal nesso temporale.
Tuttavia l'esperienza di Chiara - lo sperimentare nella semplicità della vita quotidiana la verità e la portata di quella frase di Gesù "dove due o più sono uniti nel mio nome, ivi sono io in mezzo a loro" (5) appare in fondo la risposta all'interrogativo più profondo dell'uomo moderno, che pur avendo la stessa esigenza di spiritualità di sempre é giunto a sperimentare l'individualismo e quindi la solitudine più estrema.
Kerouac sembra, nel suo desiderio cristiano, rappresentare questa esigenza nel dramma dell'abbandono: "Sono stanco, Dio. Non riesco a scorgere il tuo volto in questa storia".
Chiara, invece, indica la via più semplice, alla portata di tutti, rifuggendo ed ammonendo nello stesso tempo sul rischio che la solitudine porta con sé: "le anime(...) - sole - in buona fede cercano di arrivare a Dio senza il fratello (...) e trovarono la via scabrosisssima ed arrivarono - dopo tanto tempo - al vertice della montagna donde avrebbero dovuto partire".
Note:
(1) Antonio Spadaro - Il Dio di Jack Kerouac - La Civiltà Cattolica 2007 I 126-139. Quaderno 3758.
(2) Chiara Lubich, discorso in occasione del XIX Congresso Eucaristico Nazionale, Pescara, 15 settembre 1977.
(3) Gérard Rossé - Il "carisma dell'unità" alla luce dell'esperienza mistica di Chiara Lubich - Nuova Umanità XXII (2000/1) 127, 21-34
(4) Giovanni Paolo II - Novo Millennio Ineunte , lettera apostolica, 6 gennaio 2001
(5) Mt 17, 19-20
3 comments:
bello.
Il mio libro preferito di Kerouac resta Maggie Cassidy
Io sono sempre presente eh?? passo sempre da queste parti!!! :-)
Ho qualche sospetto sulla tua identità, Mr.Nymous... :-) :-)
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