Thursday, June 26, 2008

CAMBOGIA - seconda parte


Bangkok, inverno 1990, Wat Phra Keo.
Sono all'interno di uno dei templi più belli della città. Decido di tornarci una seconda volta dopo la mia prima visita, da solo, entrando poco prima dell'orario di chiusura, in modo che la folla di turisti se ne vada, a poco a poco.
Rischio forse di rimanerci chiuso dentro, ma ne vale la pena, perchè, sparita la frenesia dei visitatori, rimango come d'incanto in mezzo a riflessi di luce esaltati dal tramonto e tintinnii di campanelli mossi dal vento sulla cima delle pagode.
E' un fascino particolare quello che mi avvolge, di quiete interiore e di preghiera che si fa strada, in un luogo senza tempo dove buddsimo e fede cristiana non appaiono in contrasto tra di loro.
Trovo ad un certo punto un modellino in pietra di Angkor Wat, la straordinaria città dei templi cambogiana, nella zona di Siem Reap.
Mi fermo ad osservarla e sogno di poterla vedere un giorno o l'altro dal vero. Negli anni a venire non avrò questa fortuna ed è difficile che ciò possa capitare in fututo, ma ricordo bene quei momenti, come sensazioni di grandezza e di splendore, miste a qualcosa d'inquietante.


"questi templi rappresentano la memoria gloriosa dei Khmer. Al tempo della loro costruzione, fra il IX e il XII secolo, l'impero khmer occupava gran parte del Vietnam e della Thailandia attuali. Da allora, Angkor ha servito il fantasma politico di tutti i regimi che si sono succeduti in Cambogia. Anche il regime khmer rosso non ha rinunciato all'abitudine ancestrale di invocare quel passato per giustificare il presente. Ogni corso politico dell'epoca dei khmer rossi iniziava o terminava con il seguente slogan, che invoca quella nostalgica gloria: "Lavoriamo notte e giorno / Lavoriamo fino allo sfinimento / E' imminente la nostra ricompensa / La Kampuchea democratica ritroverà subito la gloria di Angkor"
(Claire Ly)

Fantasmi, di Tiziano Terzani, termina con un articolo su Angkor: "la direzione in cui andavano i suoi pensieri", dice al riguardo la moglie Angela Staude.
Tiziano porta lì i suoi figli, in quello che a lui pare possa essere unico gesto davvero educativo: "Seminare dei ricordi. Nel mio ruolo di padre non ho fatto altro. Ai figli non ho mai pensato di poter insegnare granché, ma fin dall'inizio della loro presenza in casa ho sentito che attraverso alcune esperienze indimenticabili potevo mettere nella loro memoria i semi di una grandezza con la cui misura vorrei che vivessero". La grandezza che vede ancora intatta ad Angkor, "pur in rovina" e semi dai quali "in qualche modo, da qualche altra parte, continuerà a germogliare una vita che aspira al "grande".


Anche Claire Ly torna ad Angkor.
Un passato in Cambogia da alta borghesia, laurea in diritto e filosofia, poi l'insegnamento e infine l'inferno, deportata dai khmer rossi in un campo di lavoro. Marito e padre uccisi, poi la strada dei profughi, l'arrivo in Francia e l'inizio di una nuova vita. La conversione cristiana, di nuovo l'insegnamento, la sua testimonianza in un libro - "Tornata dall'inferno" - ed infine il ritorno in Cambogia visto come un "cammino di libertà".
C'è da vincere l'incubo del genocidio, la paura di rivedere quei luoghi, qualcosa che sembra quasi impossibile a priori.
Anche lei, ad un certo punto, passa da Angkor col figlio e sembra ritrovare un'armonia: "la moltitudine di quei volti di pietra mi fa prendere coscienza che la mia storia personale su quella terra khmer non è composta solo da volti del passato, felici o infelici; è fatta anche dai volti attuali di quel popolo ferito. Volti di uomini e donne incontrati nel corso di questo terzo viaggio, volti molto diversi, a volte molto vicini e altre volte molto lontani, ma tutti convergenti verso uno stesso punto d'incontro: quello in cui si ricostruisce la mia identità e da cui nasce la mia ricerca. Come i raggi del sole conferiscono forma alle torri dai quattro volti di Bayon, così la quotidianità degli abitanti del regno khmer consolida la mia identità spezzata. Ora so che, pur essendo diventata altra, discendo sempre da questo popolo. Sulla terrazza del Bodhisattva della compassione, alcuni frammenti della vita delle persone ordinarie assumono per me un volto".
Quella di Claire Ly è faticosa esperienza di serenità che si è fatta strada poco a poco; la cristiana convertita che è diventata accoglie ora la buddista che era : "la vita nuova che ho ricevuto per grazia è una vita ospitale che permette di accogliere in me la buddista così com'è. Non cerco assolutamente di convertirla. Le lascio semplicemente uno spazio di parola. E, paradosso!, la parola autentica della buddista permette alla cristiana di essere sempre più discepola di Cristo. Sì, oggi so chi sono: una discepola cristiana cattolica venuta dal buddismo. Non lo avrei mai veramente saputo se non fossi tornata verso l' "inferno" e se non avessi avuto il coraggio di incontrare i miei fratelli khmer straziati, sia buddisti che cristiani."


Il racconto straordinario di Claire Ly è quello della speranza che va oltre le più brutte evidenze della storia: "ecco la buona novella del cristianesimo che amplifica ulteriormente la grandezza dell'uomo percepita dai buddisti. Ma questa grandezza, l'uomo non la trae da se stesso. E' dono della Vita di Dio..."
Ed è speranza che ha radici nella domanda: in quella che Don Giussani chiamò un giorno "mendicanza":
"(...) il mistero della misericordia sfonda ogni immagine umana di tranquillità o di disperazione (...) Questo l'abbraccio ultimo del Mistero, contro cui l'uomo - anche il più lontano e il più perverso o il più oscurato, il più tenebroso - non può opporre obiezione: può disertarlo, ma disertando se stesso e il proprio bene. Il Mistero come misericordia resta l'ultima parola anche su tutte le brutte possibilità della storia. Per cui l'esistenza si esprime, come ultimo ideale, nella mendicanza. Il vero protagonista della storia è il mendicante: Cristo mendicante del cuore dell'uomo e il cuore dell'uomo mendicante di Cristo".

Questa mendicanza è il trionfo della reciprocità tra l'uomo e Dio, che rispetta la sua libertà.
Questa è la vera speranza dell'uomo nuovo, dell'alba di un nuovo giorno.
E del sogno folle di un Dio: "Che tutti siano uno!" (Gv 11, 27)

Cambogia, letture:
Molyda Szymusiak - Il racconto di Peuw, bambina cambogiana - Einaudi
Antonio Soda - Testimonianze dalla Cambogia - ed. San Lorenzo
Tiziano Terzani - Fantasmi - Longanesi
Claire Ly - Tornata dall'inferno - Paoline editoriale libri
Claire Ly - Ritorno in Cambogia - Paoline editoriale libri


PS: Grazie a Marco (http://www.marcoecristina.it/) per avermi permesso di pubblicare una sua foto di Angkor Wat

Monday, June 23, 2008

CAMBOGIA - prima parte


Bangkok, inverno 1990. Mi aggiro tra gli scaffali di Asia Books, libreria del centro della città. Sono alla ricerca di qualcosa su questo bellissimo paese, la Thailandia, ma m'imbatto per caso in un libro che parla di Cambogia.
The Stones Cry Out è il racconto di Molyda Szymusiak, vissuta da ragazzina sotto l'atroce regime dei khmer rossi, prima di riuscire a giungere da profuga in Francia, negli anni a venire, dopo aver perso tutti i familiari nel proprio paese.
Comincio a sfogliare le pagine e m'imbatto in una tragedia che non conosco. Acquisto il libro, inizio a leggerlo subito. Rimango sempre più attonito e, mano a mano che entro nelle vicende della storia, mi vergogno della mia ignoranza su quel paese. Imparerò col tempo, però, anche di come quell'ignoranza sia inscritta dentro un alone di omertà e, in un certo senso, quasi di corresponsabilità dell'occidente, che ha spesso taciuto sulla tragedia di questo popolo sotto il regime comunista di Pol Pot.
Tornato in Italia trovo la traduzione italiana del libro - Il racconto di Peuw, bambina cambogiana - e compro anche quella.
Continuo la lettura, anzi la ricomincio da principio, finisco il libro tutto d'un fiato.
E arrivato in fondo, continuo a non capire.
Non capisco le ragioni profonde del dramma, e ancora di più il motivo del suo isolamento, il fatto che accada che non tutti gli "sfortunati" debbano essere uguali e ricordati allo stesso modo dalla storia. L'olocausto cambogiano non ha avuto la stessa risonanza di altri, come, ad esempio, quello ebreo da parte dei nazisti. Perché ?


Il 17 aprile 1975 i khmer rossi entrano a Phnom Penh, rovesciando definitivamente il governo del generale Lon Nol, sostenuto dagli Stati Uniti e che, a sua volta, aveva spodestato la monarchia del re Norodom Sihanouk. Inizia uno dei periodi più cupi della storia dell'umanità intera. Le città vengono svuotate e la popolazione deportata per intero nelle campagne. Sono abolite le scuole, la proprietà privata, la moneta, chiusi gli ospedali. Il progetto è quello aberrante di un comunismo rurale, che riporta il paese indietro di secoli, in condizioni di vita quasi preistoriche. Vengono sistematicamente eliminati non solo gli oppositori al regime, ma anche insegnanti, artisti, monaci, medici, chiunque avesse un titolo di studio o conoscesse una lingua.
Per essere uccisi bastava essere scoperti con una penna in mano, ma anche molto meno: un litigio, rubare pochi chicchi di riso per fame, lamentarsi della propria sofferenza in mezzo alle malattie ed alla carestia che ben presto erano dilagate nel paese; e la condanna a morte precedeva un'esecuzione spesso eseguita a bastonate, perchè bisognava risparmiare anche sulle pallottole.
Nel 1975 avevo tredici anni e portavo gli occhiali: sarebbe bastato questo particolare per farmi perdere la vita se fossi nato e cresciuto in Cambogia.


Il 22 dicembre 1978 il Vietnam lancia la sua offensiva ed invade il territorio cambogiano. Il regime di Hanoi, sulla carta fratello d'ideali comunisti del regime dei khmer rossi, ma mai in realtà in buoni rapporti, prende rapidamente il possesso del paese, instaurando un governo fantoccio sotto la guida di Heng Samrin, ex khmer rosso della zona orientale. Quella del Vietnam non è guerra di liberazione, ma serve ai cambogiani per scacciare dal potere un regime che, in poco tempo, è riuscito a mettere in atto un genocidio che ha portato alla morte circa due milioni di persone in un paese che ne contava inizialmente circa sette.
Gli anni a venire non liberano il paese da povertà, sofferenza e dall'assenza di vera giustizia e democrazia. Anche la missione dell'ONU - l'UNTAC - che prova a governare dal 1991 al 1993, col compito di traghettare il popolo verso libere elezioni, si rivela enormemente dispendiosa di denaro e vite umane, ma non ottiene, in fondo, l'obiettivo sperato. La Cambogia giunge ai giorni d'oggi con un'alternanza di governi di coalizione, intervallati anche, nel 1997, da un colpo di stato di Hun Sen, altro ex leader khmer rosso, già capo di stato nel 1985, il tutto espressione dell'incapacità di eleggere un vero governo rappresentante del popolo. La strana miscela di gruppi politici perennemente avversi tra di loro, inizialmente persino compresiva degli organismi dirigenti degli stessi khmer rossi - mai processati per i loro crimini - sembra l'unica alternativa alla persistenza di una guerra civile senza fine.


Aprile 2008, vede la luce Fantasmi, un libro che racchiude tutti gli scritti sulla Cambogia del compianto Tiziano Terzani. Aspetto un libro del genere da tempo: il suo Holocaust in Kambodscha, ormai irreperibile, era stato pubblicato ai tempi solo in tedesco.
E' un'appassionante carrellata di articoli, raccolti in ordine cronologico, dove Terzani racconta la sua esperienza in questo paese a partire dal 1973 sino al 1996, momento in cui si sparge la voce che Pol Pot sia morto. Quello sarà il suo ultimo articolo sulla Cambogia, anche se la notizia si rivelerà successivamente falsa: lo spietato dittatore morirà davvero nell'aprile 1998, senza aver mai scontato alcuna delle proprie colpe. Ma nel 1998, come dice la moglie di Tiziano, lui "si era ormai ritirato nell'Himalaya e i "fatti" non lo interessavano più".
Il libro è anche un viaggio dentro l'anima dello srittore, che mostra inizialmente tutto l'entusiasmo per il fallimento della guerra americana e l'avvento al potere dei governi comunisti, quello di Saigon e quello "nuovo" dei guerriglieri cambogiani.
Ma piano piano la verità viene in superficie, l'orrore diviene visibile e si fanno strada prima l'incredulità, poi la coscienza e l'orrore ed infine la delusione e lo scoraggiamento.
Il sentiero che questo straordinario scrittore percorre, nell'acquisire coscienza della precarietà dell'ideologia, sembra non giungere alla fine ad affacciarsi su una strada che possa portare alla conquista di una vera libertà. Rimarrà in lui disillusione e poca fiducia nell'agire umano e nella storia, pur rimanendo intatti una passione ed un rispetto dell'uomo che trovano pochi eguali nel panorama giornalistico mondiale.
Angela Staude, nel saggio introduttivo di Fantasmi, scrive del marito: "se fino ad allora non aveva creduto alle informazioni degli americani a meno che non le avesse personalmente verificate e si era invece fidato della sinistra, ora non si fida più di nessuno". E ancora: "negli anni novanta dentro di sè voltò le spalle al giornalismo: non si era dimostrato l'arma con cui da giovane aveva sperato di poter agire sui politici per cambiare le sorti del mondo. Presto partì per nuove mete, per quel viaggio che dalla Thailandia lo portò in India, da lì all'Himalaya e infine a Orsigna, dove si conclude il suo "viaggiare per il mondo alla ricerca della verità".


E' la stessa tristezza che traspare quando la Staude, in un altro passo del saggio, parla del popolo cambogiano concludendo che "quello dell'improvvisa ferocia è uno dei lati oscuri della razza khmer". Mi viene in mente il volto spesso sorridente dei thailandesi: forse è per questo che la "ferocia" sembra fare ancora più contrasto, divenendo "lato oscuro". Claire Ly, cambogiana, ci aiuta però a capire: "gli occidentali difficilmente capiscono che il sorriso asiatico è in realtà una porta chiusa, una facciata esposta ad ogni vento, e che l'essenziale è altrove. Noi asiatici ci disegniamo il sorriso sul volto così come si dà una tinta sulle pareti di casa per proteggerle. E' bello. Ed è isolante. (...) Allora beato te quando un'asiatica ti parla senza sorridere, con un volto quasi chiuso. Occidentale: sei stato adottato, fai parte della cerchia degli amici, una cerchia molto difficile da penetrare nel mondo orientale".

Ma se di lato oscuro si tratta, bisogna guardarlo fino in fondo, senza errori che rischino di non comprenderlo e relegarlo in un angolo, quasi fosse una strana e scomoda anomalia. Avere il coraggio di accettarlo come possibilità vuol dire capire di più la possibilità di deriva dell'uomo e allora non importa se sia un khmer rosso del passato o un novello naziskin: la ferocia è ciò che affiora, il destino che lo attende, quando l'uomo è drammaticamente lasciato solo a se stesso.
Giovanni Lindo Ferretti, nel suo libro "Reduce", in cui il guardare indietro alla storia s'intreccia di continuo con una profonda esperienza personale e spirituale, sembra avere un'altra lucidità di giudizio e di pensiero:
"E' passato il secolo ventesimo, quello veloce e breve, dal '19 all'89. Doveva decretare nei fatti come da idee che l'hanno prodotto l'alba della libertà, a seguire il sol dell'Avvenire, l'uomo nuovo, la nuova umanità. Eccolo: mattatoio abominevole in dimensione industriale, milioni e milioni a decine, di uomini e donne, vecchi e bambini, ridotti a fumo cremoso, fanghiglia viscida escrematizia e putrida. Tolto il soffio divino a questo si riduce l'uomo. Macello d'ogni speranza, illusione d'umana presupponenza. Su questo costruisce chi s'affida, contro Dio, all'uomo. Nelle due dimensioni in dote alla modernità: il nazifascismo e il comunismo. Alla post modernità: lo scientismo tecnologico genetico".

(fine della prima parte)

Monday, June 16, 2008

SIAMO TUTTI CAUBOI


"Quando la musica è popolare, attraversa e commuove il cuore del popolo. Un popolo che non è leggenda, non è favola, ma è gente che vive, che esiste. Nelle canzoni di Davide Van De Sfroos c'è la passione per la realtà, quella realtà che oggi viene negata e derisa. Dall'osservazione delle onde del lago può nascere una canzone: quelle onde che spesso noi non riusciamo a vedere, tanto siamo vittime di una realtà virtuale che altri inventano e ci impongono. Sono canzoni, le sue, che non vanno contro, non giudicano, ma raccontano senza nascondere nulla, tanto meno quel senso religioso che appartiene a ogni uomo. Questo ci accomuna a davide Van De Sfroos e ai suoi "40 passi" verso il mistero."

(il Grillo Cantante,
presentazione del concerto di Davide Van De Sfroos,
Milano, Teatro Sala Fontana, 15 giugno 2008)

Non ci sta, Davide Van De Sfroos, a prendersi troppo sul serio.
Usa a piene mani l'ironia, sia nell'intervista che precede il concerto di ieri sera a Milano, alla sala Fontana, sia durante l'esibizione, che alterna splendide canzoni, tutte in chiave acustica - Davide voce (e che voce!) e chitarra acustica e fido compare con steel guitar al suo fianco - a momenti di racconto, recitazione e poesia.
Eppure, davanti ad un pubblico che conosce bene il significato della parola popolo e del sapersi rapportare alla realtà, perchè questa dia significato all'esistenza di ogni giorno, Davide riesce a proporsi allo stesso tempo con una profondità ed intelligenza che non sono patrimonio di molti.
Così, proprio di fronte alla domanda su cosa sia un popolo, ti risponde che per lui è importante anche cantare davanti a dieci persone. E non è piaggeria o snobismo, di chi si può permettere di dirlo dopo aver riempito con undicimila il forum di Milano. E' qualcosa, invece, che lui chiama "miracolo", perchè l'entrare in rapporto con le persone e le storie che ciascuna porta con sè non è cosa da poco, né da dare per scontata.

Presentato sul palco come il Woody Guthrie delle nostre parti, dimostra di esserlo nella musicalità, nella proposta, nella capacità di narrare le storie della gente come pochi altri. Ed il set acustico che Davide propone risulta eccellente, ricco anche di momenti inattesi, come la splendida esecuzione di London Calling, in risposta ad uno spettatore che gli chiede spiegazioni sull'adesivo dei Clash posto in bella mostra sulla chitarra tra il simbolo del Tao e quello della Sardegna.
Ed anche in quella circostanza, emozione, ma allo stesso tempo risate senza fine, con Davide che scherza ancora: "il simbolo della Sardegna? Mah, ho caricato la chitarra invece che l'auto sul traghetto e mi hanno messo su l'adesivo...".

Così tre ore di spettacolo passano in un baleno, attraverso altri momenti memorabili, come una libera interpretazione della vicenda di Adamo ed Eva, assolutamente irresistibile per comicità, messa lì quasi provocatoriamente a seguire un racconto su come lui intenda la preghiera che potrebbe essere spunto di riflessione a lungo per molti.
E dentro tutto questo una manciata delle sue canzoni più belle, comprese alcune dall'ultimo album: Il Costruttore Di Motoscafi, La Ballata Del Cimino, fino alla struggente New Orleans, messa come bis finale, a suggello di una serata memorabile.

Ce ne andiamo dopo lo spettacolo convinti di aver assistito a qualcosa di speciale ma forse non irripetibile.
Speciale perchè questa sera Davide ha raccontato di sè più di quanto abbia potuto fare tante altre volte. Ma per fortuna ripetibile, perchè quella passione del cantare stando con la gente, Davide la trasmette in ogni circostanza ed è sempre un'esperienza.
Ci lasciamo allora con un appuntamento: il meeting di Rimini, spettacolo alla vigilia dell'ultimo giorno: al "venerdì sira", ci direbbe Van De Sfroos.
"O protagonisti o nessuno", recita il titolo dell'edizione di quest'anno: cosa pensare di meglio per ritrovarci tutti insieme anche là con lo stesso spirito di ieri sera ?


Thursday, June 12, 2008

TEMPI MODERNI




Padova, Basilica di Sant'Antonio, sette del mattino.
Un'oretta di tempo, prima di tuffarmi in una sessione scientifica, e sentir parlare tutto il giorno di coronarie e infarti, di angioplastiche e prognosi di pazienti cardiopatici.
Lodi del mattino e, a seguire, la messa feriale. Un modo alternativo, senza dubbio, di cominciare una giornata di congresso; ed infatti di colleghi neanche l'ombra, anche se l'albergo dista solo cinquanta metri da qui.  Ma questo modo d'iniziare la giornata è alternativo - appunto - e quindi a me va proprio bene così.

Mi colpisce la bellezza della cattedrale, ma anche un connubio di cappuccini e gente di ogni tipo. In prima fila una bella donna dai capelli rossi; poi, distribuiti in mezzo ai frati, donnette anziane insieme a uomini con la borsa, quasi pronti per l'ufficio; e ancora turisti e giovani studenti. Quei preti, poi, non sono mica tutti vecchi: ce ne sono parecchi piuttosto giovani, invece, e sembrano pure dei bei tipi; per un attimo me li vedo senza tonaca e con la t-shirt e una chitarra elettrica addosso: credo che farebbero una bella fatica a liberarsi dalle groupies,  fuori dal camerino di un concerto.
E quando, poco dopo, li riguardi e li ascolti, mentre intonano salmi e lo fanno talmente bene che ti sembra d'essere proiettato indietro di secoli, ti rendi conto di quanto sia ricca e bella la tradizione.  E di quanto sia incredibile l'effetto che fa, a contrasto con l'attivismo senza senso che vedi correre là fuori, dove bellezza ed armonia sembrano diventate parole senza significato.

Il giorno prima, quell'attimo d'incanto si era materializzato altrettanto all'improvviso,  davanti agli affreschi di Giotto, nella cappella degli Scrovegni.
Ma ancor di più mi aveva affascinato la storia che il figlio di un usuraio avesse deciso di riparare in qualche modo alle malefatte del padre ed a quelle che, quasi senza rendersi conto, si era messo a commettere anche lui, ed avesse deciso di costruire una cappella dedicata alla Vergine Maria. Cappella privata, adiacente al suo palazzo, ma che divenne presto "servizio pubblico", perchè l'ingresso principale era sulla piazza e chiunque poteva recarsi a pregare lì dentro.
Quello scandalo dell'usura ad un certo punto era diventato una molla e questa aveva fatto saltar fuori il desiderio.
E il desiderio porta alla ricerca della Verità, anche passando dallo spendere i propri denari per costruire una cappella, che poi, quando l'hai fatta non te la tieni più neppure per te.
Roba d'altri tempi, perchè oggi è tutto cambiato ? Non ne sono così sicuro.
Storia già vista, di chi si mette a posto la coscienza con l'elemosina ? Forse no.
A me piace pensare che lo scandalo interiore, il sentirsi d'un tratto nulla di fronte al tutto, avesse aiutato il desiderio a farsi strada.  Un desiderio che tanti ora sembrano non cercare più,  quasi che il bisogno del Vero non fosse rimasto lo stesso, come ai tempi di messer Scrovegni.
E allora in mezzi a cateteri e stents, ad angioplastiche andate bene o andate male, oggi sono contento d'essermi fermato anche qui.
A riscoprire che la mia prognosi non dipende solo da una sigaretta o dal colesterolo, ma anche dalla capacità di far riaffiorare dal cuore il desiderio.
Quello che domanda al Mistero di rendersi presente ogni giorno di più.


Wednesday, June 04, 2008

GIORNI DI PIOGGIA



Sali in auto al mattino, svogliatamente. Appesantito già, dalla stanchezza di giornate apparentemente messe in fila senza senso. E per giunta piove, a rendere il traffico assurdo e la gente rabbiosa. 
"C'è gente senza cuore in giro per la città, alcuni pensano liberamente, alcuni pensano in cattività": De Gregori attacca a cantare Finestre Rotte, dal ritmo accattivante ed incalzante. Peccato solo che assomigli così tanto a The Levee's Gonna Break di Dylan, ma che importa, è bella lo stesso. E poi, che diamine, Bob l'aveva copiata anche lui, e quindi che differenza fa: il blues è patrimonio largo, ci stanno dentro tutti. 

Sono giorni che giro intorno a questo disco, dal titolo curioso. 
Ora mi attira, ora mi respinge, e non riesco a spiegarmi il perchè.  
Poi, all'improvviso, mi pare di capire: è una questione di malinconia.
Una volta Don Giussani disse che "in quella parola ci riconosciamo tutti, in questa verità di attesa misteriosa facilmente ci riconosciamo tutti." Perchè "l'essenza del cuore dell'uomo è rapporto con una felicità attesa, di cui non si conosce né l'ultima natura, né il nome". Ma non è un'attesa qualunque: é "attesa di un compimento a cui noi diamo un nome: Dio".
E allora lo rimetto su il disco, continuo ad ascoltare.  Sono istanti brevissimi, che separano quella stanchezza da un nuovo entusiasmo che mi sembra già di scorgere vicino. E prima ancora che abbia capito, prima ancora di qualsiasi altra cosa, una nuova canzone mi aiuta a benedire quello che sembra così stretto su di me:


Ogni giorno c’è un pezzo di strada da macinare,
ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra.
E una lacrima che sa di pioggia, che sa di sale,
ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra.
(...) E a volte mi sento come un prigioniero da liberare,
ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra.
Ma non ci sono sbarre, non c’è modo di scappare,
ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra.
E ogni giorno c’è un pezzo di strada da ritrovare,
ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra.
E una lacrima da benedire, da conservare,
per tutti i giorni di pioggia che Dio manda in terra.


Ogni Giorno Di Pioggia é luce nuova ed inattesa.  
La carità è possibile - ancora una volta lo è - prima di tutto su di me, perchè possa poi rivolgersi agli altri. Ma deve avere una radice nella sofferenza. Perchè non sia buonismo, perchè sia roba vera. Devi imparare a benedire ogni lacrima, a capire il significato della fatica che c'è dietro a ciò che costruisce o, soprattutto, a quello che Qualcuno riesce a costruire. 
Malgrado te, malgrado gli altri, malgrado tutto.


L'Angelo Di Lyon è difficile da raccontare.
Ma il primo istante è un tuffo nel passato e allora provo a lasciarmi cullare.
Mi rivedo affacciato su un ponte, la Saone scorre tranquilla sotto di me.
Chalon è la prima tappa di un viaggio da ventenne in Francia. Tra sogni on the road, castelli e cattedrali, notti in ostelli della gioventù.
Mi affascina da subito, quel legame tra fiume e città. Così come il mistero di ogni cattedrale - ne incontro giorno dopo giorno - magari vista sin da lontano, come quando arrivi a Chartres da Parigi. Oggi in auto, ma è proprio come ieri, cavaliere o viandante a trovare la strada e la via di casa, unica luce all’orizzonte le guglie di una chiesa.
L’Angelo Di Lyon è di una bellezza trascendente.
Mi avvolge nella musica, ma sono magiche anche le parole.
Una storia affascinante e dentro ci puoi scrivere la tua. Farci riaffiorare il desiderio, la ricerca, il Mistero nella vita; Quello che ha indossato un volto, ha vissuto e condiviso, è morto per noi. Ed alla fine è risorto.

Fu la visione di Anna Maria, con il rosario tra le dita,

ad incantare lo stregone e a fargli cambiar vita.
Lasciò la scena in un vestito grigio, lasciò un messaggio con un sorriso,
Diceva parto per Lione e cerco un angelo del paradiso.
Salì sul treno che portava a Bruxelles, ordinò cognac e croissants,
Fece l’elenco dei suoi beni futili, nella carrozza restaurant.
Pensò alle ville e alle piscine e ai pezzi rari da collezione,
Poi fece un voto come San Francesco, per il suo angelo di Lione.
E cantò l’Ave Maria, almeno i versi che ricordava,
mentre guardava dal finestrino, l’ombra del terno che lo portava.
E ad occhi chiusi sognò quei due fiumi, il Rodano e la Saone.
Simbolo eterno delle due anime, maschio e femmina di Lyon.

Restò ad aspettare sul vecchio ponte, pensò all’incontro di un anno fa,
ma i giorni vanno, diventano mesi, quattro stagioni son passate già.
Ora il suo abito è tutto stracciato, somiglia proprio ad un barbone,
Gira le strade, cerca ad ogni passo il suo angelo di Lione.
Stanotte nella cattedrale, mille candele stanno bruciando,
le tiene accese suor Eva Maria, a mano a mano che si van consumando.
E dentro i vicoli come sogni, trascina il passo lo straccione,
il vecchio scemo fuori di testa, per il suo angelo di Lione.
E cantò l’Ave Maria, almeno i versi che ricordava,
Mentre fissava fuori sui muri, la vecchia ombra che lo seguiva.
E attraversò quei due sacri fiumi, il Rodano e la Saone,
e l’acqua scura come il mistero di quell’angelo di Lyon.


E’ proprio bello questo disco e più lo ascolto, più faccio fatica a trasformarlo in parole.  Ma è una preoccupazione inutile, perchè già Francesco ce lo dice: "non ci sono mai riuscito, in tutta la mia vita, a parlare delle canzoni".
E allora vado avanti ad ascoltarlo, che è molto meglio.
A scoprire paura e pessimismo, ma anche speranza e libertà da ideologia - come in Celebrazione, chissà a quanti non piacerà affatto - ed a godermi questa musica, così colta e matura anche lei, proprio come l'autore.
Perchè affiancata all'anima c'è proprio lei, la musica, e non c'è da stupirsi che sia così bella, con una band così. Ce l'avesse Bob Dylan, dannazione, invece di quel gruppo senza infamia e senza lode, dove le chitarre, se potessero, preferirebbero suonarsi da sole. 

"Certo è molto diverso da quello che passano di solito le radio", dice alla fine De Gregori a proposito del disco ed a conclusione dell'intevista pubblicata sul suo sito, nuovo di zecca.
Sarà per questo, forse, che faccio fatica a togliere il cd.
O sarà quella benedetta malinconia, che continua a rapire un pezzo del mio cuore.


Post Scriptum
"L'angelo di Lione" è il titolo del bellissimo post di Paolo Vites.
Lo trovate sul suo blog qui:http://gamblin--ramblin.blogspot.com/2008/05/langelo-di-lione_18.html