Saturday, November 29, 2008

SECURE

Vorrei farmi certo,
che la mia sicurezza é quando le mie infedeltà mi hanno fatto incerto su di me.

Anche oggi, un'altra volta ancora, t'incontro in cima a una montagna, 
costruita coi miei tradimenti, col freddo che ho procurato in Te, in me, in tutti i fratelli che non ho saputo o voluto amare.
Mi abbracci lassù ed é quello di cui ho bisogno.

SentrirTi così mi dà gioia: é ciò che non alimenta il mio orgoglio.
La Tua forza si manifesta nella mia debolezza e posso ricominciare,
anche per oggi, un'altra volta ancora,

secure




Secure (Genrosso)

When I trust in you, you give me everything
When I trust in you, you give it to me all
When I trust in you, take away my weaknesses
'cause I am with you, my friend, secure

Wednesday, November 26, 2008

LETTERA D'AMORE

Lascia che anche stasera io sia l'ultimo a dormire.
Guardarti mentre sogni e ringraziare Dio d'averti incontrata.
Sfiorare te, e i nostri bambini, con la struggente certezza che il desiderio di felicità dimora già in mezzo a noi.
Ho bisogno di questa dolcezza prima di addormentarmi anch'io.
Ho bisogno che si faccia strada a poco a poco e prenda il posto della frenesia e del grigiore. Tutta la giornata, d'un tratto, come un volo: fotogrammi di un film ad uno ad uno.
Ed un pupilla nuova per guardarli, l'Amore versato su noi, l'occhio di un Dio che abbraccia le miserie di ogni istante.
Quel che resta di me - alla fine del giorno - scorre lungo le note di una dolce melodia.... 



Cosa Resta Di Me (Genrosso)

Cosa resta di me / quando il giorno va via
Che cosa potrò dare io / con queste mani vuote?
Cosa mai darà forza alla mia voce
Cosa mai darà fiato alla mia corsa
Se  non quel po' d'amore / nato dalle mie lacrime

Stanca nella sera / dorme la collina
Non un suono, non parole / si alzano nel vento
Come un cuore gonfio / il mondo soffre il suo lamento
Che profondità 
In quei silenzi / che possibilità

Strana prospettiva / magica alchimia
Lentamente nella vita / cambiano i valori
Il pianto brilla nelle mani / brilla più dell'oro
Che serenità
In questa sera / che se ne va

Monday, November 24, 2008

BUON LUNEDI'


Ho un amico che, con una fedeltà impressionante, mi manda ogni mattina, via SMS, un augurio di buona giornata.
Lo fa anche con altri, così che tutti si possa essere consapevoli di quanto una vita "in cordata" possa dare molto più senso ad ogni cosa. 
Spesso é un semplice "buon lunedì", altre volte é un "buona domenica con il sole", ma può essere anche "buon martedì con la pioggia". Come a dire: la Bellezza non dipende da quisquilie come il tempo o come tu ti senti dentro, la Bellezza é dentro la realtà che ti si fa incontro, il punto é se la vuoi vedere o no.

Da ingrato quale spesso sono nella vita, non gli rispondo mai o quasi mai.
L'altro giorno, però, uscendo di casa al mattino presto e col morale già sin troppo sotto i tacchi, l'ho voluto fare, per dirgli subito che il suo buongiorno era la prima cosa bella che avevo incontrato al mattino.
Lui mi ha risposto di nuovo e mi ha pure un po' sgridato, ricordandomi, in poche parole, tutto il positivo della mia vita.  E così mi ha spiazzato di nuovo, perché gli amici veri son così: non sono compiacenti e non ti lasciano mai tranquillo.
Alla fine del suo SMS, però ha anche aggiunto "andiamo avanti insieme".

"Andare avanti", allora, prima di tutto. Perché quando il limite ti opprime, invece che chiedere aiuto ad un Altro, ritieni legittimo fermarti - "oggi voglio rimanere spento" cantava Vasco - ignorando che chi non va avanti non sta fermo, ma va indietro.
E "insieme", perché quell'insieme rende il cammino non più fatica, ma gioia di una compagnia. 
Compagnia di Lui, perché "dove due o tre sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro".

L'SMS di stamani é "buona settimana": grazie, amico mio, per avermi ricordato tutto questo anche stamattina. 
Un'altra volta ancora.

Sunday, November 16, 2008

PRENDERSI CURA?

"Ci vuole una grande umanità per capire che la cosa più difficile da sopportare é il dolore
e la cosa di cui abbiamo più bisogno é che nel dolore ci sia qualcuno con noi che condivide e ci aiuta a non essere soli.
Ci vuole solo una grande, infinita, straordinaria umanità"
(Enzo Piccinini, chirurgo)

"Una persona é più dell'individuo biologico, psicologico e sociologico che la definisce. In essa vibra un fattore che non possiamo definire, ma possiamo riconoscere. E' ciò che risponde all'idea di Mistero. Infatti anche in presenza di punteggi di qualità di vita negativi é possibile la felicità, e anche tutte le condizioni migliori non la garantiscono. E' sotto gli occhi di tutti, ogni giorno. Negare questa verità é un primo atto d'irragionevolezza scientifica.
La conoscenza é una finestra spalancata sul reale, non una scatola in cui rinchiuderlo."
(dal catalogo della mostra di Medicina e Persona "Misurare il desiderio infinito?)



Premessa
Più passa il tempo, nell'esercizio della professione medica, più si fanno strada in me sentimenti e sensazioni nuove.
Cresce l'esperienza, la pratica clinica e cresce la conoscenza, attraverso lo studio e la lettura di quel bagaglio sempre più ricco ed ampio costituito dalla letteratura medica.
Ma, paradossalmente, pur dentro un lavoro sempre più caratterizzato dalla possibilità di migliorare la qualità di vita e la sopravvivenza dei pazienti, affiora anche un certo senso d'incertezza e di disagio, di fronte alla complessità di questo mestiere, per cui - in un certo senso - più sai, più ti accorgi di non sapere.
Eppure, mentre compi ogni giorno gli atti della tua professione, ti accorgi sempre più che tutto quel lavoro, nella misura in cui lo compi con zelo e con passione, diviene a poco a poco condivisione e compagnia al Destino.
Allora e solo allora, se ti sforzi di farti capace di comprendere fino in fondo ciò che accade davanti a te, sei capace di accettare anche le sconfitte, che così cessano di divenire frustranti, quasi fossero un fallimento di tutto il tuo lavoro.
Ma non é semplice e scontato: é anch'esso duro lavoro - interiore questa volta - su cui sei costretto a ricominciare ogni giorno.

Flashback
Agosto 2008, Rimini, Meeting per l'amicizia tra i popoli.
Incontro la mia amica Anna pochi passi fuori dalla mostra. Lei, invece, é in fila per entrare.
Mi chiede: "sei stato alla mostra, vero? Ti é piaciuta?".
Ha un sorriso sul volto che mi provoca e costringe la mia gioia a fuoriuscire: "E' bellissima! - le rispondo - questa é la lezione che nessuno mi ha mai fatto all'università".
"L'avevo capito dal tuo sguardo...", mi risponde. Ed io mi rendo conto di quanto la Bellezza che ho incontrato si sia resa evidente: ha attraversato due volti che si sono incrociati per caso e li ha messi gioiosamente in relazione tra di loro.
Saluto Anna, un po' frettoloso: devo raggiungere mia moglie e i miei figli.
Ma, ne sono certo, la mostra piacerà anche a lei.

Misurare il desiderio infinito?
Cosa c'é di commovente e coinvolgente in una mostra?
Tante cose. Incontrare testimoni, ad esempio. Come il prof. Pierre Mertens, che, parlando della figlia, nata con la spina bifida e morta pochi anni dopo, dice: "la cosa più bella che mi é capitata nella vita é mia figlia Liesje". I medici che Pierre incontra sono spietati quando Liesje nasce: secondo loro non dovrebbe neppure vivere; ma quella figlia, nei pochi anni vissuti, li smentisce: la gioia che dispensa a chi le sta intorno riempe di significato ciò che accade ed aiuta ciascuno a vivere meglio il proprio destino. Conclude Mertens: "all'inizio della storia c'era stato un giovane dottore che quando aveva finito di rispondere alla mia ultima domanda é rimasto lì. In quel momento di silenzio ci siamo incontrati. Consolare vuol dire non fuggire, restare con qualcuno a dispetto del disagio profondo che il dolore e la sofferenza dell'altro provocano in noi. Come terapeuta, io riconosco una cosa fondamentale: i momenti più intensi non sono quelli dove io mi presto alle interpretazioni, ma quelli in cui sono il testimone della sofferenza più profonda. Quando io sperimento in me il grado d'intolleranza. Quando mi obbligo a restare. Perché per chi soffre, il fatto di sentire che non é solo, in questi momenti di disperazione, apre le porte alla speranza. Mol ed io abbiamo la coscienza che é Lies che ci aiuta a superare i momenti difficili".


Mario Melazzini, primario oncologo e docente universitario, é un altro testimone. Ammalato di SLA dal 2003 ed oggi alimentato con sondino, dopo essersi misurato con l'impotenza della medicina aveva persino considerato il suicidio assistito; oggi benedice la vita e ti dice: "avendo la fortuna di una mente lucida e consapevole, mi sono reso conto di quanto possa ancora dare e ricevere a chi mi vive accanto, alla famiglia, agli amici, ai colleghi di lavoro, al mondo esterno. L'essere conta più del fare".

Ma di cosa parla questa mostra? Di qualità della vita. Possibile? E allora cosa c'entrano personaggi così? Stiamo parlando di sofferenza estrema e allora dov'é la qualità?
"La qualità della vita" é il sottotitolo della mostra. Il titolo é "misurare il desiderio infinito?".
Allora cosa stiamo cercando di fare?
Forse stiamo provando a conoscere anche ciò che é mal misurabile, ma non per questo svuotato di significato. Allora il problema é che occorre un altro metodo ed ecco il perché dei testimoni.
Qualcuno cioé che ti racconti che, al contrario di quanti affermano che "non si può vivere così", si può provare invece ad entrare in un universo differente. E magari scoprire che anche il nostro concetto di qualità può subire variazioni. Paola Marenco, ematologa, curatrice insieme a Giorgio Bordin della mostra, dice nell'introduzione, citando il carnet de voyage di Marie Michèle Poncet, pittrice che racconta la propria malattia attraverso i quadri: "lo sguardo acuto dell'artista sulla realtà vede ciò che accade nella circostanza concreta e risalendo fino a cercarvi un significato, scopre come la malattia possa non essere ostacolo alla vita, ma vibrazione di un pezzo di vita più intensa, di un'attesa più importante". Fino al punto di affermare che "ciò che accade di nuovo attraverso la malattia" é "qualcosa che prima non c'era e che fa della vita "un'altra, più bella".

A questo punto, allora, si può capire anche Felice Achilli, primario cardiologo, che, sempre nell'introduzione alla mostra, parla di Eluana Englaro: "Eluana Englaro é nel suo letto, probabilmente una suora la sta guardando, come si guarda una figlia, le sta riassettando le lenzuola. Non ha una malattia inguaribile, non ha bisogno di farmaci, non é una malata terminale: ma ha bisogno di qualcuno che l'assista, le dia da bere e da mangiare. Ma qualcuno ha detto che non é vita, il padre ha chiesto una stanza d'ospedale in affitto, perché il suo "medico curante" possa sospenderle idratazione ed alimentazione, possa sottrarle vita. Una vita indegna, che (dicono) lei non avrebbe desiderato vivere. Una vita senza qualità adeguata".



Epilogo
Cosimo Calò é stato per anni il medico di Chiara Lubich.
E' morto tanti anni prima di lei; ora ha incontrato nuovamente la sua amata paziente lassù.
C'é un libro che racconta la sua vita, che porta come sottotitolo: "la misura dell'amore: senza misura". Scrive Silvano Cola, l'autore: "la parola del Vangelo che ha illuminato Chiara ed ha travolto nella sua scia migliaia di persone, che si consacrano all'unità per rispondere alla preghiera di Gesù: "che tutti siano uno", era diventata anche per lui l'Ideale da incarnare nella vita. Ma Cosimo é medico, il suo mondo sono i pazienti. E' qui il suo banco di prova. E una luce particolare lo investe, come una grazia ad hoc, come una scoperta: "Io in loro" (Gv, 17,22). Gesù é nei malati, negli angosciati, nei volti sfigurati da qualsivoglia sofferenza. Ecco la sua nuova deontologia medica: "Ho scoperto Lui nell'uomo".

Chi vedeva Cosimo visitare gli ammalati - si racconta nel libro - aveva talora l'impressione di vedere Maria accanto al Figlio.
Anche San Riccardo Pampuri visitava così.
Anche i medici che fanno compagnia a padre Aldo Trento nella sua clinica per malati terminali in Paraguay sono così.
Tanti colleghi che conosco provano a vivere così, nel loro semplice, banale, faticoso e stressante lavoro quotidiano di medici ospedalieri e medici di famiglia.
Oggi io voglio stare con loro e riscoprire le ragioni più profonde della mia professione.
C'é un desiderio d'infinito nel mio cuore e nulla lo potrà sconfiggere, ormai.
Non ci riusciranno i giudici, con le loro inique sentenze, né primari ed amministratori di ospedale che non l'abbiano ancora compreso.
Ma, soprattutto, c'é la compagnia di un Dio, protagonista di un amore infinito, in quel suo misterioso grido sulla croce - "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" - grido che ha ridato significato e speranza ad ogni dolore.
E c'è la compagnia di Maria, il suo Stabat ai piedi della croce, anche lei "sicurezza della nostra speranza", come disse un giorno Don Giussani.
E questo mi basta per andare avanti.



Fonti citate:
1) catalogo della mostra di Medicina e Persona: "Misurare il desiderio infinito? La qualità della vita", edizioni Itaca (http://www.itacaedizioni.it/) .
Per una descrizione della mostra vedasi anche questo link.
2) Silvano Cola - "Cosimo Calò. La misura dell'amore: senza misura" - Città Nuova ed.

Friday, November 14, 2008

SHAME


"Ho fatto le prove generali, siamo tutti pronti! Non ho fretta di morire, ma non ho paura, sono serena e in pace, perché io sono una donna fortunata".
Sono parole di Elena, le prime parole citate dal prete durante l'omelia del suo funerale. Elena era un'amica di famiglia, una giovane donna, medico anestesista, madre di bambini.
Elena era malata di SLA - la famigerata "sclerosi laterale amiotrofica" - non ha mai maledetto la vita ed é morta quando é giunto il suo momento, certamente in odore di santità.
Scriveva, poco tempo prima: "(...) anch'io, come Luca Coscioni, parlo con un sintetizzatore vocale e sono tetraparetica ma credo che l'omicidio di un essere umano, pur piccolo come un embrione, non può condurre a niente di buono"


Morire di fame e di sete.
Non lo augureresti al tuo peggior nemico.
Può capitare per disgrazia, per sciagura; succede al protagonista di Into The Wild, ad esempio, nel film di Sean Penn che narra di una storia realmente accaduta.
Oppure può trattarsi di condanna a morte. Come quella di Massimiliano Kolbe, perpetrata da "giudici" che indossavano l'uniforme di ufficiali nazisti.

E allora evitiamo, almeno, di farla soffrire, Eluana, non é vero? Bontà loro.
Perché finora l'abbiamo accudita, assistita, nutrita, le abbiamo fatto compagnia. E qualcuno ha chiamato tutto questo "accanimento terapeutico".
Ma adesso dovremo trovare dei medici che somministrino farmaci, perché la sospensione dell'assistenza di Eluana comporta giorni di agonia prima che giunga la fine e allora richiede sedazione.
E d'altra parte anche ai condannati a morte per iniezione letale si somministrano anestetici generali, prima d'iniettare il cloruro di potassio che gli fermerà il cuore. Cuore che si ferma di fibrillazione ventricolare, una morte molto più veloce di quella per disidratazione.

Pena capitale, allora, perché di questo stiamo parlando.
Questo é l'eutanasia, quella che i giudici della Corte d'Appello e poi di Cassazione non hanno avuto il coraggio di chiamare col suo nome.
Eutanasia, aborto, pena capitale; nomi diversi per descrivere la stessa cosa: l'arrogarsi un diritto che l'uomo - al di là di ogni convinzione religiosa - non possiede: quello di disporre della vita, propria ed altrui.
Che vergogna all'indomani di una sentenza così.
E che tristezza.


Comunicati stampa:
Medicina e Persona (http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=8717)
Scienza&Vita (http://www.scienzaevita.org/)
Comunione e Liberazione (http://www.clonline.org/articoli/ita/vol_Eluana1108.pdf)

Post Scriptum:
l'editoriale di oggi di Medicina e Persona, a cura di Clementina Isimbaldi e Felice Achilli, esprime molto meglio delle mie parole perché non si può condividere ciò che i giudici hanno sentenziato in questi giorni.
Il testo completo si trova qui: http://www.medicinaepersona.org/cm/rassegna.jhtml?param1_1=N11d9afc97f079d7ef7d&param2_1=N11d9afc97f079d7ef7d
da esso traggo solo queste poche righe: le ha scritte Giacomo Leopardi:
"questo malato é assolutamente sfidato e morrà di certo... I suoi parenti per alimentarlo, come richiede la malattia, si scomoderanno realmente nelle sostanze: essi ne soffriranno danno vero, anche dopo morto il malato... Che cosa dice la nuda e secca ragione? Sei un pazzo se l'alimenti. Che cosa dice la natura? Sei un barbaro e uno scellerato se per alimentarlo non fai e non soffri il possibile"

Wednesday, November 05, 2008

CAN'T ESCAPE FROM YOU


"Neanche questo ti piace?": mi rivolgo a mia figlia dodicenne, il volto assonnato del mattino, mentre dall'autoradio fuoriescono le note della splendida Mississippi. La sua risposta é di quelle che non lasciano scampo: "sono tutte uguali...". Niente da fare, anche stamani i Finley battono Bob Dylan uno a zero e a scuola, coi suoi compagni sarà difficile che menzioni l'ultimo album del nostro. Peccato perché Tell Tale Signs é davvero uno dei dischi più belli di Bob Dylan e comunque il migliore da più di dieci anni a questa parte, da quando uscì Time Out Of Mind, nel 1997.


"Where the fuck is 'Blind Willie McTell??? How could you leave that off the album? It's the greatest song..." Reagisce così, tempo fa, Larry "Ratso" Sloman ascoltando Infidels; e Bill Graham ha un sussulto, quasi pronto a saltar su dalla sedia: ma perché Bob Dylan ha sempre questo vizio di lasciar fuori dai dischi alcuni dei suoi pezzi migliori?
Eppure la risposta di Bob é di quelle in grado di spiazzare chiunque: "Aw, Ratso, don't get so excited. It's just an album - é solo un disco, in fondo - I've made thirty of them - ne ho già fatti altri trenta..." (1)
Impagabile Bob Dylan. C'é poca gente in giro così capace d'ironia.
Ed eccolo qui, allora, Tell Tale Signs, ottava puntata della saga delle "Bootleg Series", un doppio cd pieno zeppo di outtakes ed unreleased songs, che poi alla fine vuol dire scarti di registrazione, ma roba che la maggior parte degli altri artisti farebbe carte false per avere sui propri dischi, gente che venderebbe l'anima al diavolo come Robert Johnson, pur di farne il disco "buono" di un'intera carriera.
Ci sono altre gemme, per la verità, come una splendida Ring Them Bells (tratta dagli shows "unplugged" al Supper Club di New York, nel 1993) o la dolce ed acustica Cocaine Blues, o, ancora, le potenti High Water e Lonesome Day Blues.

Non é un caso, comunque, che molte delle canzoni di un album così bello derivino dalle sessions di Oh Mercy e di Time Out Of Mind. Dylan stesso riconosce una magia tutta particolare, presente in sala di registrazione in quei giorni, merito anche di Daniel Lanois (2): "avevo una totale ammirazione per l'operato di Lanois. Molto di quello che aveva fatto era unico e destinato a durare. Danny e io ci saremmo rivisti dieci anni dopo e avremmo lavorato insieme un 'altra volta (le sessions di Time Out Of Mind, nda) con lo stesso intenso coinvolgimento e con la stessa eccitazione. Avremmo fatto un altro disco, ripartendo da capo e ricominciando da dove avevamo smesso". Dylan, come poche altre volte nella sua carriera, aveva trovato un produttore capace di entrare in sintonia con la sua anima e la sua poesia ("eravamo spiriti fratelli") ed il risultato erano sì canzoni, ma forse anche qualcosa di più, qualcosa che riguarda ciò che sei ed il destino verso il quale ti sei messo in cammino: "le canzoni erano state scritte per la gloria dell'uomo, non per la sua sconfitta, ma anche prese tutte insieme non esauriscono di certo la mia visione della vita. A volte le cose che si amano di più e che rivestono il più grande significato non volevano dire niente la prima volta che le abbiamo viste o sentite. Vale anche per alcune di quelle canzoni" (3).
Ascoltare alcune di queste canzoni, allora, significa entrare in un universo tutto particolare, dove anche due versioni differenti dello stesso brano non sono mera ripetizione, ma diverse sfaccettature di un'esperienza a tratti anche esaltante: "si può andare avanti all'infinito a variare tempi e ritmi. Sarebbe stato bello se qualcuno avesse prestato attenzione a questo aspetto, alle combinazioni ritmiche all'interno della canzone invece che alla canzone, la quale era perfettamente in grado di prendersi cura di se stessa" (4)


Forse é proprio perché le canzoni di Dylan sono in grado di "prendersi cura di se stesse", che si rendono capaci d'intrecciarsi coi fili dell'esistenza non solo di Dylan, ma di chiunque voglia implicarsi in un ascolto disposto a lasciarsi condurre lontano.
Tell Tale Signs é pieno di canzoni così. Da Most Of The Time a Mississippi. Da Red River Shore a 'Cross The Green Mountain. Da Dreamin' Of You a Series Of Dreams. Ognuna di esse meriterebbe un capitolo a sé, un momento su cui fermarsi a pensare. Magari non per cambiare un'esistenza, perché quella ha bisogno di altro, che le dia spessore e significato. Anche Neil Young, d'altra parte, ha detto di recente, nel suo Just Singing A Song Won't Change The World: "puoi cantare del bisogno di un cambiamento, beh devi fare il tuo cambiamento personale, puoi essere quello che stai cercando di dire, ma cantare una canzone non cambia il mondo" (5). E Dylan sarebbe stato d'accordo sin dall'inizio, sin da quando, nei primi anni '60, qualcuno gli affibbiò l'etichetta di folksinger di protesta, mentre lui aveva già cominciato semplicemente a raccontare di sé a chiunque avesse voglia, allora come adesso, di fargli compagnia laggiù sotto il palco.


Ma se le canzoni, come ogni forma d'arte, hanno un merito, é anche quello di farti intravedere la Bellezza. E questa é sempre un tramite, capace di metterti in contatto con Qualcosa o Qualcuno di più grande.
Dylan ha sempre avuto la capacità di fornirmi uno di quei canali diretti, di mettere lì, a mia disposizione, pezzi di bellezza capaci di divenire richiamo. Nulla di strano, allora, che spesso e volentieri, ed in modo del tutto arbitrario ma altrettanto legittimo, continui ad esercitare su di me un fascino che ha questa sfaccettatura tutta particolare: una possibilità d'intreccio positivo con le righe dritte e storte della mia esistenza.
Come mi accade, ad esempio, sulle note di Mississippi.
Provo a percorrerla, allora, lungo le note splendide, intimiste, della sua versione acustica.
Vi riconosco il percorso di un cammino, una strada a tratti stanca e disillusa ("Every step of the way, we walk the line/Your days are numbered, so are mine/Time is piling up, we struggle and we stray/We're all boxed in, nowhere to escape"). Eppure c'é una voce, povera voce, che grida per un perché ("I need something strong to distract my mind/I'm gonna look at you 'til my eyes go blind") ed é vero che "la nave é andata in pezzi e affonda in fretta", "ma il mio cuore non é stanco, é libero e leggero/non sento che affetto per chi ha navigato con me".
Forse una Compagnia al cammino mi ha fatto scoprire Chi é misericordia e allora é quella che ridesta il desiderio e dona nuova forza all'andare avanti : "Stick with me baby, stick with me anyhow/things should start to get interesting right about now"/"sta' qui con me, sta' con me in ogni maniera/é adesso che le cose si fanno interessanti".
Una magia mi avvolge, arrivato alla fine della canzone.
Accadrà ancora, con Dreamin' Of you, ad esempio. O con Red River Shore.



(Mississippi, live in Oregon, 9 october 2001)


Chissà cos'é che, arrivato alla fine dell'album, mi fa guardare a Dylan in preda ad una nuova sensazione. La musicalità eccellente, la sua performance vocale, la qualità dei brani pubblicati, ma forse e soprattutto quell'amicizia in musica di così lunga data. E la consonanza con l'esperienza dell'anima diviene così intensa che ad un certo punto, in un esercizio soggettivo quanto avventato, mi é venuto da pensare a questo disco come ad un percorso interiore di Dylan, il racconto del suo stesso incedere verso il Destino.
Lo guardo nel video dell'ultima canzone, una splendida 'Cross The Green Mountain, quasi viaggio esistenziale illustrato da quadri che raccontano della guerra di secessione americana.
In un video che accompagna la canzone, un inedito Dylan vestito da ufficiale, guarda il viso del compagno morto - I look into my eyes of my merciful friend - chiedendosi disperatamente : is this the end?
Qual é, Bob, il tuo sguardo verso il punto d'arrivo del tuo percorso, lontano dal mito di te stesso, che per tutta la vita, peraltro, hai voluto e saputo tener lontano, e sempre più nudo, senza sconti con te stesso e chi hai di fronte - like a complete unknown - nel raccontare di te?
Quel che é certo é che io non posso fare a meno di ascoltarti e di seguirti fino in fondo, proprio come il titolo di quella canzone, scritta per un film che non é mai stato fatto.
Dopo tutto rimarrò sempre e soltanto Emotionally Yours e quel che più conta, appunto, in fondo é proprio questo: Can't Escape From You.





Note:
(1) tratto dal libretto allegato al doppio cd
(2) tratto da Bob Dylan - Chronicles - ediz. italiana a cura di Feltrinelli
(3) ibid.
(4) ibid.
(5) tratto dall'articolo di Paolo Vites "CSNY. Il prezzo della libertà", JAM n.152, ottobre 2008

Saturday, November 01, 2008

TO BE A SAINT IN THE CITY



"(...) Victor non è riconducibile alla sua dolorosissima malattia, perché è Cristo. E allora se è Cristo, capite che è il Paradiso qui in terra. Io non posso stare senza contemplarlo, perché è il mio conforto, come in questi giorni in cui la fatica si fa sentire. Guardarlo, baciarlo, è sentire vibrare la dolce Presenza di Gesù che mi accarezza nei momenti difficili. Certamente senza prendere sul serio la vita, come ci ricorda Giussani nel Senso Religioso citando quel pezzo di un dialogo fra Richard e la vecchina nonna Henry, è impossibile riconoscere in questi fatti la grande Presenza, il Mistero che da senso e bellezza a tutto…  Quando lo si riconosce come mi ha detto l’altro giorno Cristina, la giovane mamma di una delle casette di Betlemme, con 14 bambini da 0 a 11 anni: “padre, da quando Dio mi ha tolto le mie uniche due figlie del mio matrimonio. Nageli di 6 anni e Natali di 9, e mi ha chiamato ad essere madre di tutti questi bimbi ho capito che per me essere madre significa non possedere mai i miei figli. Ogni attimo li guardo, li amo immensamente, ma so che non saranno mai miei e che prima o poi se ne andranno. Ma questa è la mia vocazione. Mi tortura il cuore, però se Gesù vuole questo è anche vero che mi ha regalato un vero cuore di mamma: farli crescere e poi lasciarli andare seguendo il disegno buono di Dio... ed io rimanere ogni volta a ricominciare e pregare”.  Questa è la santità."

(dalla lettera di padre Aldo Trento del 22 ottobre 2008)


Post Scriptum
grazie all'amico Renzo Cozzani, che oggi, giorno di Ognissanti, mi ha mandato questo video del Boss...