Sunday, December 07, 2008

AMICI CIOE' TESTIMONI

(padre Aldo Trento, coi suoi bambini della parrocchia San Rafael di Asunciòn, durante il grest estivo)


Un commento dell'amico Alessandro, sul suo bellissimo blog "Amici di Simone", alla lettera di padre Aldo pubblicata anche sul mio, mi offre spunto per una riflessione personale.
Qual é il rischio di fronte a testimonianze così forti, come queste che ci arrivano dal Paraguay ?
Il primo é l'indifferenza, né più ne meno ciò che fanno i nostri media occidentali, censurando ostinatamente la cronaca bianca, ritenendola non interessante, incapace di fare notizia, o, peggio, persino fastidiosa nella propria intrinseca e contagiosa positività.
Ma un rischio ancora più grande é che chi é in grado di riconoscere il bene possa sentirlo lontano da sé, non applicabile alla propria vita.
Scrive Alessandro, riferendosi al "miracolo" dell'opera di padre Aldo: "Veramente un miracolo! Più miracoloso è il fatto che uno come me possa dire "anch'io voglio vivere così, con questa tensione e questo sguardo al Mistero" e non dire solo "pero' che bravo sto Padre Aldo...".
Ecco, proprio questo é il punto, l'unica cosa davvero importante.
Il fatto, cioé, che un avvenimento così riguardi seriamente la mia vita di ogni giorno.
Scrivo queste righe all'indomani di una delusione personale, vissuta sul mondo del lavoro e fatta d'incomprensione sul mio operato, cioè di piccola ma sensibile persecuzione.
Il rischio che un fatterello così aumenti l'ira, scoraggi, distolga l'attenzione da ciò che conta, insomma, abbassi la "tensione" e "lo sguardo al Mistero", é un pericolo troppo grande perché possa essere preso sottogamba.
Ma é ancora padre Aldo a tracciare la strada, ad esempio quando parla del suo incontro con Don Giussani: "Lui mi ha abbracciato dicendomi: "la tua vocazione ti ha portato dentro una storia grande!". E mentre io volevo raccontargli tutti i miei problemi e i miei dubbi, lui mi ha detto una cosa importantissima: "Dio ti abbraccia non nonostante ciò che ti succede e nonostante il tuo limite, ma dentro ciò che ti succede, ti afferra dentro il tuo limite". Quella di don Giussani é una posizione sconvolgente, se penso a tutto il moralismo di tanti tra noi sacerdoti. Così lui mi accolse e mi prese con sé, dandomi sempre paternità, giudizio e amicizia" (1).


Quella paternità é ciò che a volte cerco affannosamente, specie quando le cose vanno storte (proprio come il fatterello di questi giorni!) e si dispongono nella vita come io non vorrei. Ancora, qualche giorno fa, ripassare davanti alla tomba del don Gius, al Monumentale, era questo tipo di ricerca, unendo ad essa la preghiera intensa capace di colmare la difficoltà di non poter unire quel gesto al pellegrinaggio da Chiara Lubich, colei che mi é madre, ma che fisicamente si trova a Rocca di Papa e quindi non raggiungibile come lo é il don Gius, magari al mattino presto, all'indomani di una notte di guardia in ospedale.
Ma a questi gesti, sempre capaci di donare pace e significato alla mia esistenza, oggi si é aggiunta una consapevolezza in più.
Ed é quella che incontrare testimoni, cioé amici, implica la certezza che di quella testimonianza e di quell'appartenenza fai inderogabilmente parte anche tu, con tutto il tuo vivere, senza che nulla di ciò che ti accade debba esser censurato.
Questa responsabilità e questo sentirmi implicato é il nuovo vigore della mia giornata.
Non perché oggi mi senta migliore di ieri, ma perché la nuova consapevolezza é, come diceva il don Gius, che "la mia responsabilità é per l'unità, fino alla valorizzazione della minima cosa buona che c'é nell'altro".
E' una misura d'amore quella che mi contraddistingue, Amore per la mia persona innanzitutto - appartengo a Cristo! - ma che si riverbera verso la Sua presenza in ogni fratello che mi si para innanzi.
Ma tutto (com'é importante questo!) dentro quel limite, "dentro ciò che ti succede", perché Lui "ti afferra" dentro lì.
In questo il mio quotidiano viene salvato anche oggi, anzi oggi più di ieri.
L'avere intorno amici, cioè testimoni, come padre Aldo, come Alessandro, come tanti altri ancora, non fa che tenere costantemente desto questo desiderio.
Cosa potrei desiderare di più?


Note:
(1) tratto da "Cronache dal nuovo mondo - Paraguay, la missione di padre Aldo Trento", di Roberto Fontolan, ed. San Paolo.

3 comments:

factum said...

"la mia responsabilità é per l'unità, fino alla valorizzazione della minima cosa buona che c'é nell'altro". Ma che bella questa frase, sintetizza le mie ultime riflessioni sulle persone che incontro, è del Giuss ma potrebbe benissimo averla detta Chiara.

P.S. Promessa fatta!

Paolo Vites said...

bello qs incrocio di blog - rispondo ad alessandro postando sul tuo blog, fausto :-).

la frase "anch'io voglio vivere così, con questa tensione e questo sguardo al Mistero" mi lascia perplesso, per quanto umanamente la possa condividere. nel senso che anche io reagisco così inizialmente davanti a uno come padre aldo. ma poi penso alla mia miseria e alla mia incapacità anche di alzarmi da solo dal letto al mattino e dico: "chiedo a Dio di farmi vivere così, perché da solo questa tensione e questo sguardo al Mistero scompare dopo 5 minuti, travolto dal mio tradimento continuo ed istantaneo".

come te, fausto, anche io in qs periodo sto facendo collezione di delusioni professionali una via l'altra. ed ecco perché dire "io voglio vivere così" mi sembra una bella utopia. io chiedo di vivere così, perché sono un mendicante del cuore di Dio.

grande osservazioen la tua a proposito dei media occidentali: si parla della chiesa solo quando c'è qualche scandalo, mai delle opere buone che la chiesa fa.

Fausto Leali said...

Paolo e Factum, grazie per i Vs. commenti!!

@Paolo
La mendicanza é la giusta posizione, perché da soli non andiamo da nessuna parte.
Se penso alla mia incapacità di mutare il cuore davanti alle difficoltà (il lavoro é un esempio), capisco subito che ho bisogno di un Altro per "vivere così". Ma quest'Altro, come dice il Don Gius, mi ha afferrato "dentro il mio limite", cioé non ha scelto quelli bravi: ha salvato proprio uno come me ed é CON ME che vuole compiere cose grandi, lì dove mi trovo.
La mia speranza é in Cristo che ha provato l'abbandono del Padre ("Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato"). Lui é già il Fallito, il Disperato, lo Scontento; ogni aggettivo negativo é riassunto dentro questo Mistero. Ma se l'abbraccio, dentro il mio limite, abbraccio Cristo e quindi nulla, soprattutto il mio limite, può più spaventarmi.
Solo così sarò in grado, per esempio, domani, di riguardare in faccia quelle stesse situazioni che ieri mi hanno fatto crollare, e che, magari domani mi faranno crollare di nuovo. Ma non é il mio crollo il punto: il punto é un abbraccio, poi é Lui che compie le cose.
Certamente, però, diventa utopia nel preciso istante in cui esco da quell'abbraccio e penso anche solo per un atimo d'essere capace di fare qualcosa o di "farmi da solo"....

@Factum: é vero, quella frase potrebbe averla detta Chiara e infatti il Gius l'ha detta a Pentecoste '98!