"I'm trying to break your heart", canta Jeff Tweedy e la platea milanese ha un sussulto, il primo vero sussulto della serata. Una platea che ha gremito ogni ordine di posti per il ritorno in Italia degli Wilco, uno show sold out da mesi, atteso ormai da troppo tempo. Il cuore, Tweedy e soci, nuovi heartbreakers del terzo millennio, lo spezzeranno in realtà di lì a poco, con un'appassionata versione di California Stars di Woody Guthrie. Il cuore pulsante dell'America delle radici e delle tradizioni é già tutto lì, contenuto in quella canzone e nell'alchimia di voce e suoni che trasformano d'incanto via del Conservatorio in Mermaid Avenue.
Per quanto mi riguarda, potrebbe bastare già così, ma per fortuna questo é un concerto degli Wilco e c'é molto, ma molto di più.
Paolo Vites definisce cosmic music il prodotto musicale della band e non si potrebbe trovare definizione migliore. Come descrivere altrimenti il piacevole smarrimento generato dall'impatto sonoro complessivo, quando i musicisti si muovono sui terreni inesplorati della distorsione di chitarre e tastiere, svolti sul tappeto ritmico incessante e martellante generato da quel folletto al basso di John Stirratt e da quel gigante di virtusosismo e muscoli alla batteria che corrisponde al nome di Glenn Kotche? Sono i momenti in cui l'eclettico e geniale Nels Cline sfodera dalle sue chitarre i suoni più improbabili, muovendosi sul palco come fosse stato morso da una tarantola; ma sono anche i momenti in cui l'acustica di Tweedy e la sua voce riemergono improvvisamente, facendo insperatamente e magicamente ripiombare l'ascoltatore in atmosfere intime ed intense raramente sperimentate altrove.
Due ore e mezza di grande musica, in cui puoi trovare tutto ciò che hai sempre desiderato. E' Bob Dylan, é Woody Guthrie, sono i Pink Floyd, oppure gli Stones. No, sono gli Wilco invece, unici e inimitabili, la più grande rock band americana che ci sia in circolazione.
Mi porto a casa immagini e suoni. L'etereo assolo di chitarra di Cline su Impossible Germany, la magia di Via Chicago, il crescendo di wall of sound su Handshake Drugs. E poi Jeff Tweedy, gambe larghe, la cassa della chitarra acustica abbracciata, il manico un po' in giù, ma sì, dai, proprio come faceva lui: Bob Dylan nei sessanta.
Dovessi rubare il lavoro agli amici dell'Armadillo Bar, metterei uno champagne in abbinamento a questo show. Marca e annata? Fate voi. Basta che sia di quello buono. Quale sia il futuro del rock'n'roll, io davvero non lo so. Ma ho voglia di brindare al presente. E il presente si chiama Wilco.
3 comments:
grande cardioman!
qualche foto la trovo qui:
http://gallery.me.com/armadillo9#100070&view=grid&bgcolor=black&sel=84
per lo champagne senza ombra di dubbio un Beaufort, cosmico nel vero senso della parola
Champagne!!!
Belle foto Cicciuxs!
un Beaufort, wow, invitaci che lo beviamo insieme :-)
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