Thursday, December 03, 2009

SICK OF LOVE



Sono venti d'inverno, questi che spazzano via la pioggia e la foschia. Il banjo sbarca a West London e cambia il colore del cielo. Atmosfere bluegrass ed oldtime, mescolate a profumi d'Irlanda e ad un mood tutto inglese, capace anche di strizzare l'occhio ad accelerazioni di sapore quasi punk.
Sin dal primo ascolto, questo disco d'esordio di Mumford & Sons ha il potere di travolgerti come un fiume in piena. Armonie vocali da coro a cappella e suoni che passano da una struggente malinconia all'irruenza che accompagna sia l'inquietudine che la gioia. Una musicalità unica, particolare, anche nei numerosi stop & go, che sembrano sottolineare in musica passaggi lirici capaci di mettere in rima la passione.

Eppure questi son ragazzi, quattro londinesi poco più che ventenni, ritrovatisi con l'esplicito comune desiderio di fare della musica che conti, senza, al contempo, prendersi sul serio più di tanto. Una voglia di far musica che li caratterizzava come individui - il percorso di ricerca di ciascuno - ma che, una volta messi insieme, li ha trasformati in qualcosa di diverso. Un rehearsal alla fine del 2007 e - raccontano sul proprio sito - subito, all'istante, la consapevolezza d'essere una band, perché quel desiderio e l'espressività di ogni singolo individuo, si era trasformata in un'esperienza nuova: l'essere una band, scoprire a se stessi territori sconosciuti e inesplorati ("As soon as we sat down together, just the four of us, we knew we had become a band cos what came out was unique to us four as individuals")
E' per questo che Sigh No More dà un brivido immediato, come qualcosa che percepisci nuovo anche se nuovo non é, con tutta quella musica che sa di tradizione, nota dopo nota. Un prodotto nuovo perché nuovo é quello che i musicisti hanno visto uscire da sé stessi lavorando insieme, oltre le proprie capacità e le proprie aspettative. Nuovo perché, paradossalmente, solo ciò che sa fedelmente ancorarsi alle radici da cui é nato, é capace poi di rinnovarsi veramente.

E poi l'amore, dalla prima all'ultima canzone, ma quello vissuto, non quello celebrato.
Amore con la A maiuscola, amore a tutto tondo, che non censura nulla, che é fatto di passione e sofferenza, di momenti di bonaccia ed altri di tempesta feroce.
Nella title track chi narra ha il passo incerto ("one foot in sea and one on shore"), ma non perde mai la dimensione del luogo in cui si trova ("love it will not betray you, dismay or enslave you, it will set you free"). Perché l'amore rende liberi davvero: ama e poi fai ciò che vuoi, diceva sant'Agostino tanto tempo fa. E l'amore é ciò che resta, ciò che dura anche dopo la tempesta: la vita é destinata a decadere ("you must know life to see decay"), ma ciò che é stato fatto per amore alla fine rimarrà: "love will not break your heart / but dismiss your fears / get over your hill and see, what you find there / with grace in your heart and flowers in your hair" ("After The Storm").

Buffo come, nota dopo nota, verso dopo verso, questo disco s'intrecci con l'incertezza del mio passo nel cammino. Il giorno che, misteriosamente, giunge a legarmi a sé non é quello del primo ascolto, anche se l'attrazione é sempre indissolubilmente legata al primo sguardo. Accade invece che il turbinio di suoni, voci e parole mi risollevi proprio all'indomani di certe sconfitte quotidiane, capaci di tramortirti a terra troppo a lungo.
Accade perché il richiamo all'amore é troppo forte. Così forte che ti rialza a poco a poco, ti aiuta a comprendere che non é l'esito delle tue vicende ciò che ti definisce - quello alimenta solo l'orgoglio di te stesso - ma é l'Amore in sé, quello che sfugge ad ogni tua definizione, che rende vera la tua vita. Amore che si compie malgrado la tua incapacità e che, allo stesso tempo, ha bisogno di te e del tuo sì, espresso dentro quell'avventura che si chiama libertà. Libertà di aderire a un disegno e di lasciare agire un Altro, Colui al quale quell'Amore appartiene per davvero, e che ha desiderio di farne partecipe la tua esistenza tutta intera.
Ancora una volta il miracolo si é compiuto e la musica ha adempiuto, a sua volta, al suo dovere.
"La musica - dice l'amico Maurizio Pratelli nel suo blog - non é la cura. La luce, alla fine del tunnel, é l'amore".


2 comments:

Maurizio Pratelli said...

che gran disco, caro dottore. Grazie e pi ci sentiamo per serata natalizia. Invito anche che zio Bob, visto che di Natale se ne intende?

Fausto Leali said...

Insieme a Strict Joy (ho trovato l'edizione Deluxe a buon prezzo!!!) é il disco dell'anno.

Attendo con trepidazione la serata natalizia, just let me know e... sì, invita lo zio Bob, così finalmente il dottor Canzoni riesce a intervistarlo :-)