Monday, February 25, 2013

THE STREETS OF ROME


Oh, the streets of Rome are filled with rubble /
Ancient footprints are everywhere /
(...) Someday everything is gonna be different /
When I paint my masterpiece
(Bob Dylan)

Quando la finestra su Piazza San Pietro si chiude per l’ultima volta, non puoi fare a meno di pensare che se ne sia andato con la stessa umiltà con cui era arrivato otto anni prima. Un operaio nella vigna del Signore. Ciò che nello spazio di un istante passa per la mente, ti appare già un bel modo per salutare Benedetto XVI dopo il suo ultimo Angelus davanti ad una folla di  duecentomila persone. Ma basta l’amico al tuo fianco per correggere subito il pensiero. Non è andato via - ti suggerisce – semplicemente è presente in altro modo, ed è davvero così. “Il Signore – ha detto il Papa – mi chiama a dedicarmi ancora di più alla preghiera e alla meditazione.  Ma questo –aggiunge - non significa abbandonare la Chiesa, anzi, se Dio mi chiede questo è proprio perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui ho cercato di farlo fino ad ora, ma in un modo più adatto alla mia età e alle mie forze”.
Ti domandi perché oggi sei qui. Perché hai preso su la tua famiglia da Milano ed hai superato neve e grandine lungo la strada, portandoti dietro gli amici e trovandone altri, inaspettatamente, una volta arrivato. Non basta l’affezione a una persona, non basta una buona compagnia a giustificare la tua presenza davanti alle parole di un pontefice che riempiono lo spazio di appena un quarto d’ora. E’ necessario che i tuoi pensieri ed il tuo agire diventino esperienza. E quell’esperienza si chiama chiesa. E’ per questo, lo capisci bene solo quando la finestra sulla piazza si è chiusa, che adesso sei qui. Davanti ad un’esperienza di popolo che è quasi un paradosso: Cristo che ha comunicato il divino attraverso l’umano e che, dentro tutta la grandezza e, allo stesso tempo, la fragilità di quel che siamo, continua a comunicarsi anche all’uomo d’oggi.
E’ di questo che hai fatto esperienza ora, in piccoli istanti fatti di gesti, sorrisi, parole scambiate viaggiando o con persone incontrate per la prima volta in questa piazza. Ed è la stessa esperienza che vorrai fare domattina, nel tuo vivere quotidiano, con i figli, sul posto di lavoro, al supermercato mentre fai la spesa, o al seggio mentre riconsegni la scheda elettorale.  
Il resto è ancora sempre e soltanto gratitudine. Gratitudine per chi si é lasciato afferrare da Cristo. Così, mentre ripercorri la strada che porta verso casa pensi che sì, le strade di Roma sono piene di macerie, ma la possibilità di dipingere il proprio capolavoro é già a portata di mano e sta scritta dentro quel forte e lungo abbraccio che anche quest'oggi hai sentito, attorno al Papa e intorno a te. E che porta il nome di chiesa. 

Friday, February 22, 2013

HIGH HOPE

Quando, in una delle numerose chiacchierate, inframmezzate tra una canzone e l'altra, Glen Hansard ha raccontato della sera in cui é andato a sbattere contro un faro in compagnia dei suoi amici ubriachi, la mia mente si é trovata scaraventata all'improvviso su di un lungomare di Bretagna, in cui avevo visto un manipolo di ragazzotti, dal nome impronunciabile di Startijenn, tenere in pugno un pubblico di giovani e anziani, pronti a ballare ed a cantare insieme in nome della buona musica e delle tradizioni. Bretagna come Irlanda, o come la buona vecchia Scozia dei Runrig dei tempi che furono. Gente nata e cresciuta in terre del nord, ma capace di trasmettere il calore di un cuore sincero meglio di uomini del sud.
Glen Hansard, coi suoi Frames prima, con i Swell Season poi e ancora adesso, lungo la sua nuova strada dettata dal ritmo e dal riposo é stato tutto questo, al Limelight di Milano, ma anche molto di più.
Il Limelight, una vecchia discoteca, che posto più brutto per ospitare un concerto così fai fatica ad immaginarlo anche se ti ci metti con tutte le tue forze. E che all'improvviso diventa una spiaggia di Bretagna, un vecchio pub o una strada di Dublino, un salotto di casa dove suonare con gli amici, un palco dove sfoderare così tanta rabbia ed energia che al confronto i gruppi punk della prima ora ti appaiono quasi dilettanti allo sbaraglio.
Che cosa ha fatto Glen Hansard l'altra sera, coi suoi Frames, gli archi, un terzetto di fiati e l'impagabile contributo aggiunto di Lisa Hunnigan, lo si legge meglio nelle recensioni di chi queste cose le sa scrivere per competenza e per mestiere. Basti, tra tutti, l'articolo di Paolo Vites - le canzoni della buona speranza - pubblicato su Il Sussidiario.net a questo link
Io, per parte mia, mi porto a casa la musica totale che sa diventar sincera. La musica, cioé, di chi ti sa parlare, oltre che suonare e cantare. Di chi sa farti passare dal furore per giungere al riposo e alla speranza. Di chi, alla fine, stacca la spina della corrente elettrica, scende da un palco e ti finisce accanto, quella Passing Through di Leonard Cohen suonata in mezzo al pubblico che non é un trucco per fare la migliore uscita di scena che ti sia mai capitato di vedere, ma un solo un modo come un altro per far sentire ad un cuore del nord il calore di tutti gli altri che sono corsi fino a qui da lontano per stringersi accanto al suo. 
Maybe when our hearts have re-aligned, maybe when we've both had some time, I'm gonna see you there. Ti ritroverò laggiù, amico mio, là dove la musica non sarà mai un luogo dove dimenticare ed annegare le proprie tristezze, ma dove trovare l'amico che ti da' di gomito e ti dice: guarda! 
Indicandoti un oltre dove ricominciare a camminare insieme. Dopo ogni passo falso ed ogni caduta. Ogni volta come fosse la prima volta. 


Thursday, February 21, 2013

THANK YOU GLEN

Forse riuscirò anche a scriverne, prima o poi. Di Glen Hansard e dei Frames ieri sera a Milano.
Gli altri artisti, nel frattempo, possono pure andarsene, con buona pace, in pensione.
Thank you, Glen.

 

Thursday, February 14, 2013

UN FORTE E LUNGO ABBRACCIO


"E dice Signore lo vedi / il panorama di Betlemme / 
Questo cielo senza riparo / questo sipario di fiamme"
(Francesco De Gregori) 

Se nei prossimi giorni le capitasse di trovarsi a tu per tu con il Santo Padre, che cosa gli direbbe?”. Georges Coittier, teologo emerito della Casa Pontificia non ha dubbi: “Niente parole - risponde – Soltanto un abbraccio, un grande lungo abbraccio".

Ecco. Forse ciascuno di noi potrebbe rispondere la stessa cosa. Di fronte alla commozione, allo sgomento, al timore del futuro, nessun pensiero e nessuna parola. Solo un forte e largo abbraccio.
Del resto è così che si manifesta la gratitudine. Gratitudine per questo Papa, per ciò che ha saputo dire ad ogni uomo, non solo di fede, ma anche di semplice buona volontà. Il Papa che ha affrontato i temi della modernità, che è sbarcato su Twitter, che ha parlato a partire da un cuore afferrato da Cristo.
Di tutti i personali ricordi che in questi giorni affiorano impetuosi nella mia mente, ce n’è uno, più forte di tutti gli altri. Quello vissuto nella spianata del campo volo di Bresso, lo scorso 3 giugno, durante l’Incontro Mondiale delle famiglie. L’uomo che scende faticosamente dall’auto poggia il proprio passo su un bastone. Non è il bagno di folla a dargli la forza che gli anni sembrano inesorabilmente volergli sottrarre, ma un bastone, un bastone a forma di croce. La Chiesa è di Cristo, ha detto Benedetto XVI alla sua prima udienza all’indomani dell’annuncio-shock delle sue dimissioni. E Cristo, ha aggiunto, non le farà mai mancare la sua guida e la sua cura. L’applauso incessante dei fedeli in sala Nervi, che quasi impedisce al Papa di proseguire il suo discorso, altro non è che quel grande e lungo abbraccio che ciascuno di noi vorrebbe dargli. Soprattutto adesso, che il successore di Pietro ha fatto sue le parole imperiture di Paolo: “Ed egli mi ha detto: "Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza". Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie  infermità... quando sono debole, è allora che sono forte »  (2 Cor 12, 9-10).
Grazie Santo Padre, per tutto quanto ha saputo darci con il dono della sua vita. Come scrive Marina Corradi, in un editoriale di Avvenire, é il cuore che ci aiuta a capire meglio la sua scelta e dirle con fiducia e speranza un nuovo grazie. Il Signore, come lei ha detto a ciascuno di noi, ci guiderà.