Sunday, December 26, 2010

LACRIME NELLA PIOGGIA



Fuori la pioggia sembra non cessare mai. Il cielo é grigio, poco fa era nero, solo qualche rara insegna luminosa sullo sfondo.
Notte di guardia, guardia dura. Notte di un Natale che anche oggi se ne va.
Ho visto la vita rinascere, quando sembrava nulla potesse più salvarla.
Ed ho visto giungere la morte, quando nulla l'ha potuta più fermare.
Ho visto cose che parrebbero aliene ed invece sono ciò che di più umano c'é in questa vita, fatta troppo spesso di apparenze ed inutilità. Dentro quelle strane galassie, ho sperimentato tutta la mia fragilità ed impotenza, il passo si é fatto incerto, le mani tremanti, il pensiero confuso e smarrito. Ci voleva che Tu prendessi le mie mani e le cambiassi con le Tue, perché io riuscissi a penetrare lo spazio più profondo. Che Tu indossassi il camice di un amico e ti mettessi a lavorare al mio fianco, come si fa in una vera squadra, quella capace di giocare con il cuore.
Ci voleva che, ancora una volta, mi mostrassi che "io sono Tu che mi fai".

In una notte in cui il Natale se ne va, al mattino rinasce la speranza, a fianco di un Dio che non ha paura di sporcarsi le mani per camminare dentro la nostra fragile, titubante, desiderosa e grandiosa umanità.
Hai scelto d'essere qui, in mezzo a noi.
E il tempo della nostra vita non rimarrà come lacrime nella pioggia.
Di cos'altro potremmo aver bisogno lungo la nostra notte oscura?

"Oggi un uomo é morto in rianimazione ed ha donato gli organi. Stanotte altri uomini rinasceranno, proprio nella notte in cui é nato il figlio di Dio. Ti rendi conto che lavoro meraviglioso é il nostro? Gestire ed aiutare il dono della vita: cosa c'é di più affascinante?"

grazie, amico, you know who you are


Sunday, December 19, 2010

BUON NATALE DAL PARAGUAY


lettera di Aldo Trento

"Cari amici, buon Natale, in particolare ai moltissimi amici che con le loro e-mail mi hanno confidato i loro dolori, difficoltá, le loro sofferenze e spesso la loro non voglia di vivere. Per me è stata una grazia perchè chiunque soffre lo sento parte con me e con il mare di dolore che mi circonda, del dolore di Cristo, di ciò che manca alla passione di Cristo per il suo corpo che è la Chiesa. Vi ringrazio di cuore perchè le vostre ferite non solo mi impediscono di essere un borghese, cioè un uomo senza domanda, senza drammaticità, bensi di vivere dentro le circostanze della vita con gli occhi fissi sul Mistero. È come se il vostro, il nostro dolore mi rendesse sempre più cosciente di cosa significa essere sospeso su un pieno, su una certezza.
Vi confesso che, tutte le sere, quando a tarda notte vado a dormire dopo aver visitato le diverse opere della parrocchia, dove vedo e sento solo il dolore dei miei figli, dai piccoli appena nati e abbandonati, delle bambine vittime della violenza, agli ammalati terminali e anziani raccolti nelle strade, riconosco come il Mistero domina la mia vita riempendola di pace. Che bello essere presi, dominati da quel "TU" ai cui occhi sono prezioso e degno di stima, perchè sono Suo, come ci ricorda il profeta Isaia. Come vorrei che le tante persone depresse, stanche di vivere, vittime di mille fantasie e di cui conosco personalmente cosa significa, riconoscessero, anche quando l'angoscia sembra soffocarle che, comunque, il Mistero è un Fatto presente, è un abbraccio che non permettera mai che ci perdiamo. Il problema non è il dolore, la depressione, la malattia ma la libertà di riconoscere in quel "Tu che mi fai" la propria consistenza. Ci sono dei momenti in cui non vedo niente, ma il giudizio è chiaro e me lo ripeto continuamente: "Tu, o Cristo mio" e sempre ritrovo l'energia per camminare.

Vi chiedo, mentre lo chiedo a me, di non mettere dei "se", dei "ma", dei "però", fra noi e Cristo, perché questo sarebbe la unica grande fregatura e ci perderemmo la festa della vita. Il Mistero ama chi rischia, chi non ha paure della realtà, e spesso si diverte permettendoci di arrivare fino al bordo dell'abisso, ma poi, come d'improvviso, quando tutto sembra perduto, ci salva prendendoci per i capelli. Da vent'anni sperimento questo fatto, anche a livello economico. Pensate alle centinaia di migliaia di Euro di cui hanno bisogno queste opere! Eppure arriva l'ultimo giorno del mese e la Provvidenza arriva. All'inizio chi lavorava con me si spaventava, l'amministrazione andava in crisi, mentre per me era tutto semplice e lo è tutt'ora: "Signora (all'amministratrice) mancano ancora due giorni per pagare il salario ai 180 dipendenti del Mistero, unico padrone di questa opere, per cui di che si preoccupa?". E il giorno seguente la Provvidenza arrivava con i soldi necessari, nè uno in più, nè uno in meno. Anche su questo il Mistero mi tiene sempre sospeso e quindi sempre mendicando. Non so come pagherò lo stipendio di Gennaio alle 180 persone, cioè famiglie, ma per questo non perdo il sonno perchè ho la certezza assoluta che il Padrone, quel "Tu che mi fai", al momento giusto sará lì per pagare. Che razza di libertà mi dona stare davanti, davanti a quel Tu che mi domina, abbracciandomi.

Ieri mi ha donato due nuovi figlioletti. Guardateli nella foto. Sono gemelli, sono stati abbandonati dalla mamma e per via del maltrattamento sofferto a motivo della "mamma" hanno ambedue una paralisi cerebrale, per cui, ancora di più, mi lacerano il cuore nel tenerli in braccio. Hanno un anno ed otto mesi e pesano ognuno 6 kg. La loro storia è di una sofferenza terribile. Eppure il Mistero si è occupato di loro e me li ha donati. La prima notte hanno pianto tutta la notte, ma questa sera erano già più tranquilli fra le mie braccia.
In fondo se il nostro abbraccio è il frutto delle esperienza del "Tu che mi fai" si trasmette per osmosi anche a loro, la cui innocenza è stato lacerata delle violenza di tutti noi quando ci dimentichiamo di essere relazione con il Mistero.
Guardandoli, penso a quella povera donna che, certamente, sarà stata vittima anche lei di altra violenza. Li affido alle vostre preghiere, como affido la terza casetta di Betlemme e la nuova casa per le bambine violentate e incinte, che inauguriamo alla vigilia di Natale. Come vedete, Gesù me ne fa di regali regali, che sono anche per voi. È proprio bello essere bruciati dall'amore per Cristo, perchè il proprio cuore brucia di amore per l'uomo.

Buon Natale

P. Aldo


Friday, December 17, 2010

HEAVEN'S DOORS

In fondo il Natale é di tutti. Di chi l'ha ridotto a fiera consumistica e di chi riesce a viverlo in una sorta di purezza francescana. Della donna in carriera che parcheggia il SUV in doppia fila e di chi, ad Haiti, non ha ancora un tetto sotto cui stare.
Il fatto é che, alla fine, chi più chi meno, chi inconsapevolmente e chi, invece, con un cuore desideroso di cose grandi, stiamo tutti bussando alle porte del paradiso.
Io, a questo Natale, ci sono arrivato così così, ancora troppo incerto lungo il cammino che porta a spalancare le porte senza timori a Cristo. Ma Lui, quel Bambino, rinasce per tutti e quindi anche per me. Basta poco per accogliere chi si é fatto niente, una capanna come tetto ed un bue ed un asino come riscaldamento della casa. Basta la povertà di un pastore errante, che, nella notte che ridona la speranza al mondo, sta in ginocchio con pari dignità a fianco di un re che porta oro, incenso o mirra.

Davanti a ciascuno c'è il Salvatore e le porte del paradiso sono già aperte per tutti. Non c'é più bisogno di bussare, ormai, Dio ha già risposto facendosi carne in mezzo a noi: "vi sarà aperto", ci ha detto. Si tratta di fare il passo.
E di entrare.



Saturday, December 11, 2010

SHOOTING STARS




Thank your luckystars all the way
No one thought you'd still be here today
(Neal Casal, Luckystars)

Le canzoni di Neal Casal accompagnano dolcemente i miei percorsi autostradali. Adoro i dischi di quest'uomo. Ricordo un'intervista, letta da qualche parte un po' di tempo fa, dove gli si diceva che in fondo era un vero peccato che lui fosse il chitarrista di Ryan Adams e non viceversa. Neal si era trincerato dietro un sorriso, neppure troppo compiacente: "sono felice di fare il mio lavoro", aveva risposto. Una lezione d'umiltà che solo pochi sono capaci di dare.
Già, che bella cosa l'umiltà. Una virtù che conosco e pratico troppo poco. Ma non é mai troppo tardi per riprendere a percorrere il cammino buono.

Seen a shooting star tonight
And I thought of me
If I was still the same
If I ever became what you wanted me to be
Did I miss the mark or over-step the line
That only you could see?
Seen a shooting star tonight
And I thought of me
(Bob Dylan, Shooting Star)

Non c'é solo Neal, c'é anche Dylan con me, lungo i miei viaggi di ogni giorno. Lui non mi abbandona mai. E questa notte la mia musica e la mia strada mi hanno riportato qui: quel decimo piano, con le luci della città laggiù sullo sfondo. Come ogni giorno, peraltro, da molto tempo a questa parte. Casa e ospedale, andata e ritorno, stesso percorso rotolante avanti e indietro, punteggiato dalle canzoni, ma spesso e volentieri anche da pensieri che diventano preghiera.
Così, due o tre del mattino, quel che é, e sono un'altra volta qui, davanti alla mia dolce e cara macchinetta del caffé. In fondo questo é il mio personale osservatorio sul mondo. Anzi, soprattutto su me stesso. Il castello esteriore e quello interiore, che vedo venir su, pietra dopo pietra, a poco a poco. E questa notte, oltre alla luci della città, ci sono anche le stelle. Stelle cadenti e stelle fisse, luminose, dritte in mezzo al cielo.
Su quelle cadenti sto imparando tante cose, ora che molta acqua é passata sotto i ponti ed altrettanta ne sta passando ad ogni istante. Che si tratti di rivoli o fiumi in piena, comunque, é sempre ed invariabilmente acqua benedetta, che mi piaccia o no. Che si tratti di fonte che disseta o burrasca dalle conseguenze scomode o inattese.
Il fatto é che, in ogni circostanza, c'é una ricchezza di grazia che non manca mai.


La prima stella cadente é stata questo blog e tutto quello che si é portato dietro troppo a lungo. Uno scenario infarcito di orgoglio e narcisismo, distaccato quanto basta dalla realtà e da coloro che mi hanno sempre voluto bene. E allora perché tornarci sopra di nuovo, dopo aver detto di non volerne più sapere? Forse perché é vero quello che mi ha detto un caro amico: "Il blog aveva luci ed ombre. Delle ombre sai ormai tutto: autogratificazione, esercizio d'estetica, eccessivo tempo, esclusivo rifugio, proprieta' privata.... Litanie in negativo. Le parole sono diverse, ma la musica e' la stessa. Non senti? Turris eburnea, ianua coelis, salus..., refugium..., consolatio.... Le luci dovrebbero valere di piu', ne hai i segni... e anch'io gironzolavo con piacere nel giardino dei tuoi pensieri, traendone beneficio..."
Riproporsi qui, allora - di tanto in tanto e con più saggezza ed equilibrio - significa provare ad indossare un vestito nuovo, che quelle ombre sappia scrollarsele davvero di dosso. E' un passaggio delicato, questo, molto profondo. Ma possibile. Ed io voglio provarci, in qualche modo.
Un blog fatto di carne e di sangue, come la vita vera, l'unica che conta, non quella inutile e virtuale. E messa nelle mani di un Altro. Come strumento e testimonianza del Suo amore.



La seconda stella cadente é stata, di nuovo, un vestito. Il camice da dottore, questa volta, messo da parte per un istante perché in quelle stanzette d'ospedale, adesso, c'é il volto di persone amate. Tutta la sicurezza di un mestiere a lungo collaudato vacilla paurosamente ed il volto del turbamento é scorto con chiarezza da chi ti sta davanti. Al collega che ti chiede come stai, rispondi senza pudore, svelando la tua debolezza senza veli, ma gli mostri anche che il trovarsi dall'altra parte sia parte di quell'educazione di cui hai bisogno, per andare avanti a fare sempre meglio questo mestiere così strano. Non é così, di solito, non é così quando il male riguarda tutti gli altri, e chi ti ascolta ti dice che é legittimo che ognuno tiri su le sue difese. Altrimenti - ti risponde - come faremmo a farcela ad andare avanti? E invece no che non é neppure così, se ti guardi davvero fino in giù nel profondo, senza sconto alcuno: "Il medico deve essere vero con se stesso e con la sua vita. Per poter vivere con verità il destino dell'altro deve essere aiutato a vivere con verità il proprio destino. Deve imparare a giudicare la sua vita e le sue azioni non sulla base del loro esito, ma sulla base di ciò che le muove. E questo avviamento non é istintivo, ma é l'esito di una compagnia e di una educazione."(Antonio Rodari).
Le difese non servono a nulla, certamente non ad andare avanti meglio . Stelle cadenti anche loro, questa sera.

L'ultima stella che ho visto andare giù é la stella del mio io.
In fondo quell'io, senza un abbraccio d'amore che lo sostenga e dal quale lui non tenti di fuggire, non é altro che un idolo, un dio decapitato. Un "Dio", appunto, che, con la testa mozza, diventa solo un "io": povera cosa. Ma se quell'io agisce come un "Tu che mi fai", allora sì che diventa un uomo, capace di fare cose grandi, perché strumento dell'Amore che, fattosi carne sino a provare l'abbandono, alla fine del terzo giorno é finalmente risorto.
La pretesa di un amore, elargito a prescindere da quel Tu che mi fai, é l'ultima stella a cadere questa notte. Se c'é qualcosa da donare ancora, saranno frutti di alberi cresciuti da semi che hanno saputo marcire nella terra. Note di una canzone da sempre amata.
Musica che continua ad accompagnare ogni mio passo, anche questa notte.





In mezzo a tante stelle cadenti, questa notte ne ho vista una fissa, lassù in mezzo al cielo, a forma di cometa. E mi é sembrata infinitamente più bella delle altre.
Qualche giorno fa un vicino di casa si é lamentato con l'amministratore di condominio per il monopattino di mio figlio, lasciato troppo spesso, a detta sua, sullo zerbino di casa nostra, in quel cosiddetto "spazio comune" che non deve essere occupato da oggetti personali. Sarà che i bambini, al giorno d'oggi, danno fastidio a molti. Io, comunque, il monopattino l'ho tirato dentro, ma qualche giorno fa, mentre sistemavo gli addobbi natalizi, oltre ad appendere due angioletti sulla porta, ho messo sul muro del pianerottolo - spazio comune, appunto - anche un disegno che uno dei miei figli ha fatto un po' di tempo fa. Un pezzo di cartone rotondo, qualche bel colore ed una scritta al centro, che recita così: "Vieni Signore Gesù".
Questa sera, mentre vedo cadere le stelle cariche dei peccati del mondo, ne guardo un'altra, luce fissa in mezzo al cielo e più bella delle altre, e penso a quella frase, che invoca la venuta e la presenza di Quel bambino. L'unica speranza per questo mondo triste ed affaticato, ma che possiede ancora un cuore capace di desiderare cose grandi.

Thursday, December 02, 2010

STILL WALKIN'


Molta acqua é passata sotto ai ponti e può darsi che questo blog riapra, un giorno o l'altro.
Se mai lo farà, sarà sempre e soltanto per condividere la certezza che sotto ogni cammino c'é un disegno buono.
E, in ogni caso, avrà con sé una modalità nuova:

"innalza gli scritti con la tua vita
innalza la tua vita con gli scritti"

(Igino Giordani)

stay warm, my friends

Friday, November 05, 2010

AIN'T TALKIN', JUST WALKIN'


Dopo quattro anni di vita questo blog chiude, un grazie di cuore a chi mi ha seguito sino a qui.
Gli amici restano, quelli veri non si perdono mai, aveva scritto tempo fa un amico.
Vale anche per me.
Un abbraccio.

Tuesday, November 02, 2010

STELLE DEL CAMMINO


Lo ricordo ancora bene, quel mattino di un giorno di ottobre. Un pallido sole riscaldava appena l'aria di un autunno inoltrato milanese. La stanchezza di una notte di guardia passata in ospedale faceva da contrasto col moto incessante e frenetico della città. Ma intorno al Famedio e lungo i tranquilli viali del Cimitero Monumentale, tutto sembrava ricomporsi in una dimensione del tempo e dello spazio più sensata.
Lì dentro i soliti turisti giapponesi, poi qualche distinta ed isolata persona, un mazzo di fiori in mano, il ricordo del proprio caro dipinto sul volto disteso. Poi, lungo il percorso che dall'ingresso porta alla cripta, anche uno strano viavai di persone comuni. Giovani studenti, col casco della moto, lavoratori con la borsa in mano, persino mamme alle prese con le proprie carrozzine. Anche loro qui, per lo stesso motivo per cui quel giorno ero giunto anch'io. Erano venuti a trovare don Giussani. Mi fermo ad osservarli, lungo quel percorso e poi davanti alla sua tomba e, quella che mi avvolge, é una strana sensazione. Qualcosa che scaccia il senso lugubre di morte che ricopre gli splendidi monumenti di questo luogo d'arte di Milano. Che ha a che fare con la gioia, invece, col viaggio di singole persone che vivono, percorrono la gioia ed il dolore, passano di qua. E sanno affidarsi in ogni istante.
Mentre sono davanti alla lapide del don Giuss, penso a quel fiore, gettato da mia moglie prima che la lastra di marmo chiudesse definitivamente allo sguardo il corpo di quel prete brianzolo, che amava le sigarette ed il buon vino, ma che più di tutto aveva amato il Volto ed il Destino di tanta gente incontrata giorno dopo giorno, persone che poi non avevano più cessato di seguirlo. Che privilegio aveva avuto, mia moglie, ad essere presente in quel momento, a tradurre in un gesto tutta la sostanza del suo cuore. Era per quello che dietro a quella lapide c'era un pezzo anche del mio. Ed era per quello che quel mattino mi trovavo lì.
"Chi é don Luici Ciussani?", mi aveva chiesto quel signore là davanti, l'accento simpaticamente inglese. "E' il fondatore di Comunione e Liberazione", avevo risposto un po' sorpreso, quasi incapace di esprimere sul serio l'entusiasmo del mio cuore. "Oh, beautiful!", mi aveva risposto lui, sottolineando tutto con uno splendido sorriso, quasi a dirmi: si capisce che questo é un luogo vivo, vivo per davvero.

Altre volte ero tornato laggiù, spesso di ritorno da quelle mie notti lungo le torri di guardia.
Quel mattino faceva freddo, sembrava autunno, invece che aprile: "smonto dalla guardia in ospedale. E' stata dura questa notte, c'é stato da combattere laggiù. Il freddo mi avvolge. Il gelo dell'aria, quello della sofferenza che ho incontrato, quello - soprattutto - delle miserie di me stesso, che a volte mi attanagliano senza pietà". Ero tornato da Giussani, ora che avevano traslato il suo corpo dalla cripta sotto al Famedio ad una bella cappellina, proprio al centro del viale principale. Chiara Lubich era appena partita e, dopo la sua nascita al cielo, avevo un irrefrenabile bisogno di venire ancora qui.
Un calore s'era fatto strada a poco a poco, ora che la figliolanza era divenuta, finalmente, completa. E dentro di essa si era fatta strada anche quella pace che troppo spesso non ho. Stavo imparando a riconoscerLo sempre più, ad andare al di là della piaga, dentro quel grido misterioso emesso in croce: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?", che aveva spalancato l'umanità all'Amore infinito.
Non c'era più gelo in quel mattino: "sto imparando ad abbandonare in Te tutto quel freddo, per incontraTi in ogni fratello che mi si para innanzi, in quell'avventura sempre nuova e affascinante che é l'attimo presente della vita".

Ma quella figliolanza aveva ancora una tensione. Bisogno di un segno tangibile, un luogo fisico, visibilità di una memoria. Oggi il Comune di Milano ce l'ha messo. Ha ricordato Chiara, sua cittadina onoraria, trascrivendone il nome al Famedio, aggiungendolo a quello di tanti altri illustri. In un giorno di pioggia, tanti volti si ritrovano qui, volti a tratti solenni ed a tratti incuriositi ed anche un po' intirizziti, ma con un senso di affezione che si fa strada lungo l'ascolto delle parole del sindaco Moratti. La cittadinanza a Chiara era stata votata all'unanimità in quel consiglio comunale del 30 ottobre 2003, con una motivazione che ne sottolineava il suo impegno a coltivare ovunque i semi del bene. E Chiara, nel corso del conferimento solenne del 20 marzo 2004, aveva esortato la città tutta "a divenire una stella che indichi il cammino a tanti: una profezia di che cosa potrebbe essere il mondo se tutti gli uomini la imitassero".
Mentre ascolto, di tanto in tanto mi guardo intorno, ho già salutato qualche amico e qualche sorriso fa in tempo ancora ad incrociarsi. Poi il mio sguardo, quasi d'istinto, si rivolge lassù in alto. Il cielo é stellato per davvero, un blu intenso, dipinto per esteso lungo le volte del Pantheon. Stelle che indichino il cammino, uomini vivi, uomini veri, che abbiano a cuore la fraternità. E' questo che aveva a cuore Chiara. Ed é per questo che sono qui. Non per ascoltare parole, seppur belle ed accorate. Ma per posare uno sguardo lassù, terreno fertile dove farne crescere le radici, perché possa poi diventar capace d'amare la circostanza che si fa carne, volto di ogni prossimo che incontro.


Capiterà ancora, di tanto in tanto, che io mi ritrovi qui. E' un luogo, questo pezzo di Milano, che dà sicurezza al mio passo incerto e mi piace ritornarvi per far memoria di ciò che mi sostiene. Mi fermo un po', prego, mi riaffido. Poi torno là fuori e riprendo a camminare, nell'attimo presente della vita. Chi mi é padre e madre mi accompagna sempre, insieme ai santi ed agli amici che mi hanno preceduto.
E' un gusto del vivere che si fa strada, momento su momento.
Ed io, trafitto da un raggio di sole, non mi sono mai sentito solo.


Assisi 2000, Comunione tra carismi from Thomas Klann on Vimeo.

Tuesday, October 26, 2010

LONG AGO, FAR AWAY


Se una sola canzone come Like A Rolling Stone, ha avuto la capacità di generare un libro intero, sebbene scritto dal grande Greil Marcus, su un'uscita discografica come le rimasterizzazioni mono dei primi otto dischi di Bob Dylan, si potrebbe scrivere un'enciclopedia intera.
Dal 1961, anno in cui fu registrato il primo lp "Bob Dylan", alla fine di dicembre del 1967, momento d'uscita di "John Wesley Harding", c'é un intervallo di tempo che equivale ad un intero percorso generazionale. All'inizio c'é un ragazzo che, al sabato pomeriggio, si ritrova a casa Gleason, per sedersi sul divano, chitarra e armonica con sé, fianco a fianco di un Woody Guthrie stanco ed ammalato, ma capace di riconoscere la vera novità che avanza. Lo aspettava sempre, il vecchio Woody: "viene oggi, il ragazzo?", la mente dritta e sicura, l'unica cosa non tremante di quel corpo, ferocemente attanagliato dalla corea di Huntington. Un ragazzino affascinato dalla vita alla quale si stava affacciando, dall'America dei sessanta e dalle scintille della scena musicale folk di allora. Un giovane a tratti insicuro - "accadeva che improvvisamente, un istante prima di cominciare, dicesse:'non ne ho voglia, andiamo a casa'. E io: 'Bob devi andare avanti" (Mikki Isaacson) - ma allo stesso tempo entusiasta e deciso come pochi altri: "dava l'impressione di essere uno che conosce tutte le regole e le trasgredisce regolarmente.. si mascherava da quello che non sa nulla ma si capiva che sapeva quello che faceva e che ignorava le regole deliberatamente: e la cosa funzionava" (Dave Van Ronk). (1)

Ma Dylan, che doveva andare avanti, lo sapeva bene. E in questi dischi ci sono tutti i paesaggi della sua avventura. Il fascino di quella voce narrante, che percorre le emozioni della propria particolarissima esistenza e fa da colonna sonora degli scenari più importanti. La Civil Rights March di Washington é ancora una chitarra acustica che suona, così come lo é il timore di una nuova e devastante guerra atomica, una tragica e definitiva hard rain che i signori della guerra rischiano di far scoppiare nei difficili giorni della crisi missilistica di Cuba del '63. Ma il ragazzo che cresce e si fa uomo é una musica e un'anima che si fanno sempre più complesse e articolate. Il suono diventa di mercurio ed é la vita che si stratifica lungo avvenimenti intensi. Da Bringin' It All Back Home fino a Blonde on Blonde c'é spazio per il matrimonio con Sara, forse l'unico vero grande amore di Bob, per i figli, per una vita on the road sempre più sfida con se stesso e con un pubblico che non capisce quante le sue ruote corrano sempre troppo veloci. L'anticlimax del festival di Newport del '65, la sfida a duello col pubblico inglese dei concerti del '66, sono l'epifenomeno di un'unicità artistica che non può fare a meno di lasciare un segno indelebile nella storia della musica che amiamo. E' per questo che una canzone come Like A Rolling Stone può produrre un libro intero. "Suonate fottutamente forte!", aveva gridato ai suoi musicisti quella sera, alla Free Trade Hall di Manchester, perché no, accidenti, lui non era Giuda, come aveva urlato quel ragazzo giù nel pubblico. Lui stava andando semplicemente dritto per la propria strada, l'aveva sempre fatto tutto il tempo ed il problema degli altri era il non comprenderne la sincerità e la passione. Scrive Greil Marcus, di quel momento leggendario: "Dylan si accolla la canzone come se non avesse mai sentito un fardello simile in tutta la sua vita. Non la canzone, ma tutto quello che era venuto prima e lo scontro che rimane. E' una stanchezza che va oltre il corpo, é uno stato dell'essere; si muta in rimpianto. Poi ogni emozione é possibile. La quarta strofa e l'ultimo ritornello portano via il tetto dell'edificio, spazzano via tutti i limiti della canzone, con quello che a prima vista sembra rabbia che si trasforma dentro ogni parola in un abbraccio, poi avversione, poi sgomento: lo stesso cantante é impaziente di vedere quello che seguirà. Robbie Robertson accompagna la canzone che va avanti per quasi un altro minuto, quasi rifiutandosi di lasciar andar via la gente. Quando finisce, l'applauso sommerge qualsiasi altro rumore". (2)

Tra il penultimo e l'ultimo disco di questo cofanetto, rispettivamente Blonde On Blonde e John Wesley Harding, c'é ancora una volta un universo intero. Dall'orlo dell'abisso, il rischio grosso di finire prematuramente un'esistenza che correva ormai decisamente fuori giri, alla vita familiare di Woodstock, forse l'unico periodo sereno della vita di Bob. L'incidente motociclistico del 29 luglio 1966 é uno spartiacque, uno stop certamente non cercato, ma forse esistenzialmente atteso, una modalità per ripartire, provando a riconsiderare tutto da un punto di vista diverso. "Non vorrei essere Bach, Mozart, Tolstoj, Joe Hill, Gertrude Stein o James Dean, sono tutti morti", aveva scritto una volta e Dylan non poteva e non voleva essere un faro generazionale, sorta di nuovo messia per qualsivoglia turbamento o desiderio di cambiamento di tutti coloro che si sentivano identificati in lui, col rischio di mettere poi a repentaglio la sua stessa vita lungo un'insostenibile accelerazione. Il suo percorso artistico e musicale era certamente espressione tra le più sensibili della sua epoca, ma comunque sempre e soltanto descrizione della ricerca di significato per la sua stessa vita. "Io scrivo canzoni, una poesia é un uomo nudo.. qualcuno dice che io sono un poeta", aveva detto ancora, e allora che senso ha cercare di rendere ancor più nudo un uomo che si é già reso pietra rotolante, che, come la donna della sua canzone, é invisibile, adesso, e non ha più niente da nascondere? E' più logico, invece, che sia il prodotto di quell'arte - le canzoni - ad avere dignità per camminare da sé, perché ognuno possa farlo proprio, lasciando che l'autore continui a percorrere la sua strada. Se, dunque, "una canzone é qualcosa che può camminare da sola", che ciascuno percorra il proprio viaggio, anche grazie ad essa. Magari insieme, però, perché la condivisione non é esclusa da questa modalità e proposta di cammino. E, d'altra parte, se il Never Ending Tour é ancora in corso e il vecchio Bob é ancora lì sul palco a riproporsi senza tregua, significa che, a dispetto di un'impressione fredda e distaccata, c'é un bisogno reale di andare avanti insieme: "Dicono 'Dylan non parla mai'. Che accidenti c'é da dire ? Non é quella la ragione per cui un artista sta di fronte alla gente. Un artista ha uno scopo differente. Io non voglio essere insensibile e dire che non me ne importa niente. Ti importa, ti importa molto altrimenti non saresti lì. Ma c'é un diverso tipo di connessione. Non é una cosa leggera. E' vivere ogni sera, o sentirsi vivi ogni sera. Rischi la tua vita suonando musica, se lo fai nella maniera giusta" (3).



Che si provi, allora, a ripercorre un lungo pezzo della strada di Dylan, attraverso l'ascolto sincero e appassionato degli otto affascinanti dischi di questo cofanetto. Sono canzoni scritte tanto tempo fa - long ago, far away - ma sembravano così vecchie allora, sono molto più giovani, adesso. E magari accadrà anche a noi, come al protagonista di Masked & Anonymous, di scoprire dove stanno di casa quella verità e quella bellezza di cui abbiamo sempre bisogno: "sono sempre stato un cantante e probabilmente niente di più. A volte non é abbastanza conoscere il significato delle cose, a volte abbiamo bisogno di non saperne il significato. Le cose stanno cadendo a pezzi, specialmente il buon ordine di regole e leggi. Il modo in cui guardiamo al mondo é il modo in cui siamo fati. Se lo guardi da un giardino fiorito tutto sembra perfetto. Sali su una vetta più alta e vedrai saccheggi e omicidi. La verità e la bellezza sono negli occhi dell'Onnipotente: ho smesso di preoccuparmi di capire cosa succede molto tempo fa".




Note:
(1) da: Anthony Scaduto, Bob Dylan, la biografia, Arcana ed.
(2) da: Greil Marcus, Like A Rolling Stone, Donzelli ed.

(3) intevista di Jonathan Lethem per Rolling Stone, settembre 2006,



Sunday, October 24, 2010

REALTA'

"Papi, qual é la cosa più bella del tuo lavoro?". Ancora una volta mia figlia mi spiazza. E no, che non si fa così, che diamine. Non si fanno queste domande a tavola alla sera, coi miei due figli più piccoli che, invece di mangiare, fanno il solito casino. Ed io, in questo momento, mica sono di guardia in unità coronarica, magari alle prese con un turno di quelli che sembra che sia arrivata l'apocalisse là fuori, oppure alle tre del mattino davanti alla macchinetta del caffé, quella che ha per sfondo le luci della città e le montagne tutte intorno all'orizzonte.
No, non si fa così, cara figlia mia, che poi dopo cena al lavoro ci devo andare per davvero e se fai in questa maniera, finisce che mi tocca mettermi a pensare al modo in cui ci vado e così mi vengono in mente sia gli entusiasmi e le passioni, che le infedeltà e i fallimenti. Insomma quel misto di vittorie ed insuccessi, i soliti maledetti impostori, che non c'é una volta che siano serviti a tenermi veramente in piedi.
"Sai qual é la cosa più bella? - le rispondo dopo averci pensato per un po' - E' che non c'é nessun lavoro come questo che ti metta così tanto di fronte al reale. Perché sia colui che soffre che quello che se ne prende cura, si trovano davanti alla domanda più profonda di significato del proprio cuore. Ed hanno la possibilità di condividere questo pezzo di strada insieme".

Non sono più a cena coi miei figli e con mia moglie, adesso: sono arrivato dove dovevo andare, lungo le torri di guardia di un'altra notte in ospedale. Ma per questa volta il sasso é stato lanciato ed io sono stato ben felice d'essermi chinato per raccoglierlo. Magari per ricordarmi che quel pezzo di strada, per fortuna, non é condiviso solo da me e da chi mi troverò davanti anche stasera.
Ma anche e soprattutto dall'Amor che move il sole e l'altre stelle.

Wednesday, October 13, 2010

SWEET HOMETOWN

Possibile che nessuno l'avesse sentito? Eppure aveva urlato, parole così forti da entrare dritte nelle orecchie, sino a trafiggere il cervello. Oltre il volume, tirato al massimo, delle cuffiette del suo iPod, strette tra il bavero dell'impermeabile, tirato su a fare da scudo contro il freddo del vento e serrato con le mani a sé, quasi a proteggere l'anima e il cuore. "C'è qualcuno vivo là fuori?", aveva gridato, più forte della musica che accompagnava i suoi passi in quella Milano così gelida già in autunno. No, non c'era nessuno in giro, nessuno vivo, neppure in mezzo a quella folla che gli camminava intorno. Erano tutti soli, o male accompagnati; tutti alle prese col proprio male di vivere, lo sguardo ostinatamente verso il basso, il passo veloce, corpi abituati a urtarsi gli uni gli altri, facendosi maleducatamente largo nelle strade, rese strette dalla presenza dei troppi guai.
Che razza d'infanzia aveva avuto, là dentro? Forse era per quello che non se la ricordava più. Niente prati verdi, né biciclette; non cieli azzurri, o nuvole nel cielo. Solo nebbia, asfalto ed orizzonti grigi e piovosi. Ed ora le cercava, disperatamente, quelle nuvole, ma quelle che vedeva erano tetre come i suoi pensieri. Avrebbe voluto volare su, sempre più su, fino a vederlo bene, quel cielo che aveva sempre e soltanto immaginato. E come un aviatore, sparire poi lassù in cima, spegnere il motore, respirare forte e vedere se gli fosse riuscito di non tornare più indietro. Sentire la musica vera, la musica del silenzio che ci fa cantare...


Quando si risvegliò era seduto sul sedile dell'auto, ferma lungo una stradina di campagna, via secondaria rispetto a quella principale, la provinciale che era solito percorrere tutti i giorni. Davanti a lui, il bosco di pioppi non c'era più. Era rimasto solo un po' di prato e quel sottile fiumicello, un rigagnolo in realtà, ora che le piogge tardavano a farsi vedere. Tutti gli alberi erano stati tagliati e portati via, segati per bene, resi legna da ardere per le moderne stufe. Si erano portati via anche quello, l'albero caduto, lasciato di traverso lungo quel sottile rivo d'acqua, abbattuto chissà quando e da che cosa, un colpo di vento, una grandinata forte di un giorno ormai lontano. Quell'albero era rimasto a lungo là disteso, i rami ormai avvizziti, privati della vita delle radici, ma rimasti abbarbicati al fusto delle altre piante ancora in piedi, nel disperato tentativo di rimanere aggrappati a qualcosa che potesse donar loro ancora un po' di vita.
Ogni tanto ritornava là, giungeva in quel luogo facendo viaggiare l'auto lentamente, poi spegneva il motore e si fermava per un po'. Si era affezionato a quel tempo e a quello spazio, all'albero caduto, agli alberi ancora in piedi che a quello sdraiato continuavano a voler bene. Ci tornava soprattutto quando era la sua vita a traballare, quando i pensieri ed i gesti si mettevano ad attraversare gallerie oscure, quando, per le sue infedeltà e contraddizioni, cessava di amare. A volte scendeva dall'auto e si metteva volentieri a camminare, il terreno ad impolverare le scarpe ed i calzoni. E spesso, poco a poco, quel passeggiare diventava anche preghiera, luogo di ritrovo del senso più profondo che anche nei momenti bui gli sembrava di cogliere dalle circostanze e dalle cose. Quel groviglio di tronchi, fusti, rami intrecciati tra di loro era il senso di comunità che avvolgeva tutto. E qualche volta, in fondo a quel rivo d'acqua, gli era parso di veder sorgere anche il sole.

Si svegliò di nuovo. Era sempre in mezzo alla gente, le cuffiette dell'iPod ancora addosso e qualcuno, urtandolo lungo il marciapiede, aveva mormorato un sommesso "scusi". Allora aveva tolto elmo ed armatura. Via la musica ed il cappello, un respiro profondo a far entrare tutta l'aria e anche lo smog della città. Poi si era messo pure a sorridere alla gente, quella che, prima, gli sembrava non si curasse minimamente di nessuno, ma che ora, invece, sentiva misteriosamente legata a sé.
Aveva cominciato a fissare la bestia negli occhi, ma si era tolto prima tutte le armi di dosso. Non era una sfida a duello, quella che si stava per compiere. Era, invece, uno sguardo largo che si faceva strada, diverso, in qualche modo anche armonioso e misericordioso, su tutto ciò che vedeva e sentiva attorno a sé.
Sapeva che era difficile amare quel luogo se non ci si era nati. Difficile come difficile é amare chi é irascibile e scontroso, chi non compie il primo passo, perché il suo cuore si é indurito, a furia del dolore dal quale ha dovuto difendere se stesso o che, suo malgrado, ha dovuto lasciare entrare dentro sé. Ma nessuno é indifferente all'amore. E quella frenetica e nevrotica città era fatta di tanti volti, nessuno dei quali avrebbe rifiutato quel poco d'amore che lui, adesso, aveva voglia di donare.
Così si era messo ad osservare le persone, ad una ad una. I volti dei bambini, o quelli dei vecchi coi sacchetti della spesa. Gli yuppies in carriera e poi i ragazzi, le donne, gli extracomunitari incrociati mille volte, sempre fermi agli stessi semafori a chiedere la carità. Ecco dov'era bella la sua povera città. Non nelle piazze o nei monumenti e nemmeno nei teatri o nei caffé. Era bella dentro quei visi e quegli sguardi, che a fermarsi ad osservarli, invece che a schivarli, ci si accorgeva di come ognuno avesse dentro la sua strada. E che la strada, per quanto tortuosa e impervia potesse essere o apparire, aveva sempre la faccia di un Destino buono, che ha a cuore il desiderio più profondo del tuo cuore, quello che fa rima con felicità.
C'era una frase, forte, che si era fatta carne, frase scritta da poco da un ragazzo, partito troppo presto per il cielo. Quella frase, ora, sembrava dare senso anche ad ogni conto che sembrava quasi inesorabilmente non tornare: "Non esiste luogo in cui non ci sia la possibilità di creare unità, ogni persona la porta dentro, ma la esprime in modi diversi e bisogna amare senza condizioni".

Da quel giorno decise di voler essere una frase incarnata, parola vissuta, ma sentiva d'aver bisogno ancora di qualcosa. Di un modello, forse. Di un aiuto, certamente.
All'improvviso si trovò davanti ad un portone e lì, dipinto, vide quello che cercava. Il volto di una donna, l'amore di una Madre: eccola, era, quella, la misura. L'Amore mescolato tra tutti, uomo accanto a uomo, come s'inzuppa un frusto di pane nel vino.
Ce la poteva fare, ora sì che ne era certo, ora che non era più da solo, alle prese col deserto lastricato composte da tutte le sue inutili e buone intenzioni; ora l'aiuto di cui aveva bisogno sarebbe arrivato in ogni istante, da Chi era disposto a donarlo gratuitamente, chiesto, com'era, da un cuore sincero.
Respirò a pieni polmoni, l'aria non sembrava poi così tanto inquinata, in fondo. E guardò, un po' più in là, lontano: in mezzo all'asfalto, alle auto ed alla gente, c'era pure un po' di verde.
Tirò un sospiro profondo, per la prima volta si sentiva libero davvero.
E, anche se ci era nato, si accorse di non averla mai amata così tanto, quella sua nevrotica, impossibile, fantastica città.


Ringraziamenti:
A Paolo Vites, per la foto che ha scattato, riprodotta qua sopra e rapita da un portone di città e che trovate pubblicata sul suo blog, a questo link.
A Claudio Chieffo, Bruce Springsteen, Chiara Lubich, che hanno incrociato, come capita spesso, i miei pensieri.
E a Luca, cui é dedicato questo post, partito troppo presto da quaggiù, ma certamente felice, ora che é nel seno del Padre.

Wednesday, October 06, 2010

HUNGRY HEART




"Quando ho accettato di sedermi, di nuovo, di fronte alle cento canzoni di Bruce Springsteen (macché, sono molte di più), per tradurle, spiegarle, amarle di nuovo, l'ho fatto per riappropriarmi di qualcosa che sento mio. E' quel sentiero che ogni tanto amo percorrere a ritroso, come il protagonista di Long Walk Home. Che ha visto un bel pezzo di vita passare davanti ai suoi occhi, molte cose e volti, cambiare, eppure torna davanti alle botteghe di una volta, infila dentro la testa per capire chi c'é e chi é andato via. E' un processo bello e doloroso. In una parola: inevitabile".
C'é forse bisogno di queste parole di Ermanno Labianca, tratte dall'introduzione di Talk About A Dream - uno dei suoi libri di testi commentati di Bruce Springsteen - per indicare la modalità giusta con cui calarsi nella musica di For You 2, il tributo a The Boss di un folto gruppo di artisti italiani, uscito su doppio cd in questi giorni per la nuova nata casa discografica Route 61. Perché ripercorrere queste canzoni é di fatto un'affacciarsi a quelle botteghe, per vedere che le vecchie canzoni che abbiamo amato non se ne sono mai andate via.
E' per questo, allora, che il fatto che un manipolo d'italiani provi a reinterpretarle possiede un senso, spazzando via ogni sensazione di déjà vu o d'inutilità. E' un qualcosa, invece, che ha a che fare con la canzone popolare, col fatto che quella canzone, perché resasi capace di raccontare qualcosa che é di tutti, può essere fatta propria da ciascuno, mantenendo intatta la poesia e la verità che ha dentro sé. Se quello di Springsteen é spesso un acquerello, dove trovare dipinta quella terra di mezzo abitata dalle speranze andate in frantumi dell'american dream, allora non é difficile trovare rispecchiate in esso le nostre stesse aspettative, i sogni, tutti i dolori e le brevi gioie di esistenze che, al fondo, hanno le stesse esigenze interiori, perché il desiderio del cuore dell'uomo é lo stesso, sia che si trovi nelle pianure del Nebraska o sulle colline dei castelli romani.
Il rock'n'roll - diceva Springsteen - era l'America vera che ti entrava in casa. Qualcosa, dunque, che ha a che fare con la vita, mai ripetitiva, mai uguale a se stessa. Ecco perché gli artisti di questo disco compiono un esperimento che può dirsi riuscito, perché il loro mettersi di fronte a una cover diviene lo spalancare una porta e permettere a quel desiderio del cuore di trovare la propria via d'uscita, fare esperienza di vita e dimostrare a se stesso che esiste.
Allora, anche musicalmente, ci sta tutto. Come le diversioni chitarristiche di PJ Faraglia su State Trooper e Cadillac Ranch, la rilettura italiana di Metamoros Banks da parte di Luigi Mariano, o, ancora, le suggestioni irlandesi dei Modena City Ramblers su The Ghost Of Tom Joad. Ma anche le versioni, ricche di pathos, di canzoni come Radio Nowhere (Daniele Groff), Sherry Darling e Be True (Lorenzo Bertocchini), Eyes On The Prize (Tenca/Severini/Basile), Tomorrow Never Knows (Francesco Lucarelli), la spettacolare Land Of Hope And Dreams dei Mardi Gras e tante (tutte?) altre ancora.
Ma, soprattutto, ci sta che la scelta delle canzoni e lo stile musicale sia quello che predilige i tempi lunghi e distesi, la ballata struggente, il rock che lascia il passo al folk o al country malinconico; un percorso narrativo che si dimentica dei muscoli perché col tempo c'é sempre più bisogno di spazio per pensare piuttosto che per correre e ballare.

La mia Route 61 é spesso una strada che schiva il traffico cittadino, per infilarsi sinuosa a ridosso dei campi, di cui ora l'autunno sta smorzando i colori. Curve vicino ai fossi, tratti dove sei costretto a rallentare l'auto, ma anche la frenesia stessa dei pensieri, appesantiti da notti talora insonni o da giornate dove la sofferenza che ho incontrato ha reso troppo affranto anche il mio cuore. In mezzo ai tempi dell'anima, anche queste canzoni trovano, in questi giorni, il loro giusto spazio, così come lo trova uno sguardo sempre più profondo sul senso delle circostanze e di ciò che mi accade intorno. Sempre di cuore si tratta, ma non quello fatto di sentimentalismi. Un cuore, invece, ogni giorno sempre più affamato - Hungry Heart - di quello che é vero e di tutto ciò che dura e che non può morire.
Quella frase, che mi ha rincorso tutta estate - e di cui ne ho intravisto, a tratti, il senso - continua a non darmi tregua neanche adesso. "Quello che il tuo cuore desidera, esiste": basta tenerlo a mente spesso, fare in modo da non dimenticarlo, attaccarlo, sorta d'ideale post-it, proprio a ridosso dei pensieri.
Solo così il pensare e, ma sì, anche il correre delle mani e dei piedi nei gesti d'ogni giorno, o al ritmo della musica buona, acquista senso. Ed anche la mente trova quel filo rosso che lega le cose tra di loro, anche quando quelle stesse cose sembrano così misteriosamente scollegate. Basta che tutto si rivesta di uno Sguardo largo, diverso, ricco di quella Misericordia e di quell'Amore che tu non hai e che non ti puoi dare da solo.
Anche mentre ascolti un disco di tributo alle canzoni di Bruce Springsteen.

Links:
il progetto e tutte le info sul disco: http://www.foryouspringsteen.com/
la casa discografica Route 61: http://www.route61music.com/




Sunday, September 26, 2010

UNA LUCE PER TUTTI


Questi sono stati giorni specialissimi, ma quello che voglio dire adesso è che stando con Chiara abbiamo vissuto momenti eccezionali. Vivevamo in un’atmosfera che non si può spiegare. Questi due anni son stati i più belli della nostra vita, i più benedetti da Dio, perché Gesù ci faceva vivere in una dimensione soprannaturale che ci sollevava da terra. Come quando si sale sull’aereo, e dal finestrino si vede la terra, le nuvole. Tutti i nostri dolori e quelli di Chiara che erano ancora più grandi, li vedevamo laggiù, non ci toccavano. E’ stato il frutto dell’amore di tante persone che hanno pregato e ci hanno sostenuto.

(Ruggero Badano, papà di Chiara, 25 settembre 2010)




Links:
ringraziamento finale di Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari, alla S, Messa di beatificazione di Chiara Badano , sabato 25 settembre
Comunicato stampa al termine della santa messa di beatificazione , sabato 25 settembre
Comunicato stampa serata di festa, sala Nervi, città del Vaticano , sabato 25 settembre
Il messaggio di Benedetto XVI all'Angelus , domenica 26 settembre

Friday, September 17, 2010

CHIARA LUCE BADANO. LIFE, LOVE, LIGHT



Chiara ha "definitivamente rifiutato la morfina", perché - dice - "toglie la lucidità ed io posso offrire solo il dolore a Gesù". E' ciò che si legge nell'ultima parte della biografia di Chiara Badano (1), quando inizia il racconto della fase decisiva della sua vita, rappresentato dalla malattia e della sua scalata verso la vetta della santità.
Ma come é possibile rifiutare la morfina alle prese con un sarcoma osseo, uno dei tumori più dolorosi in assoluto? Eppure Chiara - diciott'anni al momento della diagnosi - non é una persona diversa dalle altre, un'eroina, oppure un'esaltata: é una ragazza come tante, che ama la vita ed ha ancora una sana voglia di volare, dentro le circostanze della propria esistenza.

Sta giocando a tennis, Chiara, quel giorno. Chissà quand'é che sente il primo dolore lancinante: durante una prima palla di servizio, o un dritto potente, sferrato da fondo campo. E' un dolore alla spalla, forte, strano, mai provato, che le fa cadere a terra la racchetta. Si riprende, ma ha una faccia strana. Da qualche tempo non si sente bene ed é per questo che cominciano i primi accertamenti. La diagnosi di osteosarcoma arriva in fretta. Quando torna a casa, quel giorno, la mamma la vede arrivare "camminando lentamente, come se volesse temporeggiare a dare la notizia che aveva scoperto. Era molto cupa in volto, guardava per terra". Chiara entra in casa, non una parola, fila dritta in camera sua. Venticinque minuti di lotta e di silenzio, in cui neanche mamma Maria Teresa e papà Ruggero possono entrare in alcun modo. Poi, finalmente, esce da quella stanza e va loro incontro decisa: "sai mamma, ho parlato con Gesù. Gli ho detto: se lo vuoi tu, lo voglio anch'io".
L'aveva scrutata, sua madre, dentro quella camera, impotente ed inquieta, in quegli interminabili venticinque minuti; lo racconta oggi dopo tanti anni: "... vedevo dall'espressione del suo volto tutta la sofferenza di quel momento, la lotta che Chiara faceva interiormente per poter dire questo sì a Gesù, ma non ci riusciva. Poi Chiara esce da quella stanza e dichiara il suo sì". Racconta ancora, sua madre, che "la vita di Chiara, da quel momento, cambia in un modo radicale, in un modo meraviglioso. Mi meravigliai di questa cosa e dentro di me parlavo a Gesù e gli dicevo: ora Chiara ti ha detto il suo sì, ma quante volte lo dovrà ripetere? Quante volte cadrà? E invece Chiara non si é più voltata indietro ed ha cominciato il suo calvario nella piena gioia, nella volontà di Dio" (2).


Chiara Badano nasce il 29 ottobre 1971, a Sassello, un piccolo paese nei pressi di Savona. E' proprio un bel tipo, sportiva, gioiosa, volitiva; una gioventù fatta di successi, ma anche di sconfitte, come tanti: c'é spazio anche per una bocciatura in IV ginnasio, subita come ingiustizia. Conosce i gen, i giovani del Movimento dei Focolari e raccoglie la sfida lanciata un giorno da Chiara Lubich ad alcuni di loro: "per fare città nuove ed un mondo nuovo non bastano tecnici, scienziati e politici, occorrono sapienti, occorrono santi". E non ha timore a confidare loro un segreto: Gesù nel momento culmine del dolore e dell'amore, quando giunge, sulla croce, a gridare l'abbandono del Padre per riunirci a Lui e tra noi. Invita loro a riconoscere il Suo volto e ad amarlo con predilezione in ogni dolore piccolo e grande. E' questa la chiave per trasformare il dolore in amore e non restare ripiegati su se stessi, ma proiettati fuori nell'amore. "Non abbiate paura! - aveva detto loro - lasciate fare a Lui il ricompensarvi d'amore. Vi farà felici in questa vita e per l'eternità". Quando Chiara Badano ascolta queste parole é il 1983. Ne sarà l'incarnazione viva.


Che Chiara non si fosse più voltata indietro, nei venti mesi che avrebbe vissuto dal giorno della diagnosi a quello della sua dipartita terrena, attraverso giorni e giorni d'ospedale e di sofferenze fisiche terribili, lo dimostrano innumerevoli testimonianze. Ed hanno dell'incredibile. Perché Chiara "Luce" - il nome "nuovo" che le aveva dato Chiara Lubich un giorno - illumina col suo costante sorriso chiunque le si stringa intorno. Gente che giunge sino a lei per essere di sostegno ed esce da stanze d'ospedale o dalla cameretta della sua casa, rigenerata quando non letteralmente convertita. Racconta Paola, un'amica: "vicino a lei non si sentiva mai, neanche per un attimo, il peso della malattia, del dolore, delle limitazioni. Stando accanto al suo letto ero io ad avere la netta percezione di essere la malata, l'invalida. Io che avevo davvero tutto e non donavo. Vedevo Chiara già in cima alla vetta, una più grande di me, anche se coetanea, che concludeva il suo "santo viaggio". Sentivo di doverle chiedere una mano, il segreto per riuscirci anch'io un po' di più; ma poi, in verità, non occorreva chiedere nulla, bastava guardarla per imparare ad amare sempre e a ripetere con lei: "Se lo vuoi tu, Gesù, lo voglio anch'io. Sei tu, Signore, l'unico mio bene". Rientrando a casa avevo anch'io la certezza di aver vissuto un momento di paradiso". (3)


L'adesione di Chiara alla volontà di Dio, vissuta momento per momento, produce la santità della sua vita, ma soprattutto permette, a coloro che vogliono condividere con lei pezzi di questo percorso, di vivere una profonda esperienza di unità, quella percezione della presenza di Cristo in mezzo a noi, quando siamo uniti nel suo nome. E' per questo che il cammino di questa ragazza diventa percorso di conversione per tutti: genitori e amici, medici ed operatori sanitari, semplici conoscenti o persone del Movimento particolarmente vicine a Chiara. "Dio ti ama immensamente - le scrive Chiara Lubich un giorno - e vuole penetrare nell'intimo della tua anima e farti sperimentare gocce di cielo". Le dona anche un nome "nuovo", che lei aveva chiesto: "Chiara Luce é il nome che ho pensato per te; ti piace? E' la luce dell'Ideale che vince il mondo. Te lo mando con tutto il mio affetto, ti abbraccio e ti sono unitissima nel Risorto".
Chiara "Luce" Badano non chiede altro che non sia questa presenza di Cristo: "Io ho tutto", ripete spesso e non é un modo di dire, poiché spesso dona ai poveri quello che riceve.
Scrive così, un giorno, a Chiara Lubich: "...Nessun risultato, nessun miglioramento. La medicina ha così deposto le armi. Solo Dio può. Interrompendo le cure, i dolori alla schiena dovuti ai due interventi e all'immobilità a letto sono aumentati e non riesco quasi più a girarmi sui fianchi.. Stasera ho il cuore colmo di gioia. Mi sento così piccola e la strada da compiere é così ardua; spesso mi sento sopraffatta dal dolore. Ma é lo Sposo che viene a trovarmi, vero? Sì, anch'io ripeto con te: "Se lo vuoi tu, Gesù, lo voglio anch'io. Sono certa che insieme a lui vinceremo il mondo! "Uno" in Gesù crocifisso e abbandonato, tua Chiara". (4)

E' sempre più dura, alla fine. Ma la scalata verso la vetta non cessa. E Chiara non smette di offrire le sue sofferenze: "Non chiedo più a Gesù di portarmi in paradiso, altrimenti sembra che io non voglia più soffrire". O ancora: "E' un desiderio così grande, che mi sembra di essere "attaccata". Allora mi sto chiedendo, ma non sarà un modo per scappare da questi dolori, dalla volontà di Dio?". E' una santità, un eroismo che ha dell'incredibile. Ma tutto é sempre nelle Sue mani: "Lo sa Gesù quando devo partire".
Nulla é lasciato al caso, Chiara sceglie le letture e i canti per il suo funerale, vuole che sia una festa. Chiede d'essere vestita di un abito bianco: é la sposa che va incontro allo Sposo. Chiede alla mamma di non piangere, perché "quando in cielo arriva una ragazza di diciott'anni, si fa festa", anzi di cantare: "quando entrerò in chiesa, tu devi cantare, perché io canterò con te".
"Mamma, ciao. Sii felice perché io lo sono", sono le sue ultime parole: Chiara nasce al cielo alle 4 e 10 del mattino del 7 ottobre 1990, festa della Beata Vergine Maria del Rosario. E il funerale, una festa, lo sarà per davvero. Il giorno 11 giugno 1999 viene avviata l'inchiesta diocesana per il processo di beatificazione. Durante la GMG del 2000 i gen canteranno davanti a migliaia di giovani una canzone dedicata a lei. E il prossimo 25 settembre 2010, la Chiesa proclamerà beata Chiara "Luce" Badano.



Sono giorni che medito l'esperienza di Chiara nel mio cuore. Giorni in cui cerco di far tacere il chiasso che c'é fuori e dentro me, che provo ad andare alla scuola dei miei ammalati in ospedale. La risposta della sua vita incrocia la domanda di significato della sofferenza che incontro quotidianamente. La loro presenza davanti a me, la loro quotidiana offerta e ciò che viene condiviso assieme, s'intrecciano misteriosamente con l'evidenza della gioia che Chiara ha mostrato, lungo tutto il percorso della sua santa esistenza.
Ma, soprattutto, mentre scrivo e sistemo queste righe sul blog, domando a me stesso quale significato abbia la parola santità nella mia vita. Guardo le mie infedeltà e contraddizioni, ma, allo stesso tempo, anche la tensione e il desiderio. Capisco come tutto si giochi dentro il quotidiano, momento su momento, goccia dopo goccia, come aveva fatto Chiara. Solo ciò che é vissuto bene in questo modo diventa tassello di un mosaico, che alla fine compone il Disegno di un'intera esistenza. Allora tutto é importante, anche quando tutto sembra così diverso. Ad una sola condizione: che non si tratti di una questione di tenacia o di obbedienza - destinate ad infrangersi più o meno in fretta, ma inesorabilmente - ma una faccenda d'amore. E l'amore é quella cosa che sta in mezzo tra il dire e il fare, come ho sentito dire da un amico, proprio in questi giorni. L'amore con la A maiuscola, quello di Dio, l'Amore a cui affidare il nostro, manifestato in ogni gesto, dal più piccolo ed insignificante, al più eroico.
E' una faccenda d'amore, quella che riunisce il pensare, il dire e l'agire, che racconta della storia di Chiara Luce Badano, come potrebbe raccontare della mia e di quella di ciascuno. "La storia tra Chiara e Dio - conclude il libro di Mariagrazia Marini - é una storia d'amore; un grande e appassionato amore reciproco. Amore infuocato dal desiderio ardente di poterlo condividere. "Siate fuoco!" ha gridato il Santo Padre alla GMG del 2000 ai giovani di tutto il mondo. Chiara Luce attesta che, oggi some sempre, la risposta é possibile".
Perché santi per vocazione, se solo lo desideriamo, lo siamo tutti.
Nessuno escluso.






Note e links:
(1) tratto da Mariagrazia Magrini - Di luce in luce - ed. San Paolo
(2) l'intervista a Maria Teresa e Ruggero Badano a questi link: http://www.youtube.com/watch?v=dIWOkiOmSJ8
(3) tratto da Mariagrazia Magrini - Di luce in luce - ed. San Paolo
(4) ibid.
Oltre al libro di Mariagrazia Marini, la biografia di Chiara Badano é narrata nel libro di Michele Zanzucchi, "Io ho tutto", ed i nquello di Franz Coriasco, "Dai tetti in giù", entrambi editi da Città Nuova.
Molte notizie su Chiara e sulla sua prossima beatificazione anche a questo link:

TRASMISSIONI TV
RAI 2 – Programma “Le vie di Damasco” – Sabato 25.9 dalle ore 10,15 alle 11,15
l’intera trasmissione sarà dedicata a Chiara Luce con intervista in studio, con la vice-postulatrice Maria Grazia Magrini, e servizi in cui saranno inseriti: un brano di Chiara Lubich, interviste ai genitori, a Chicca e Franz Coriasco e ai gen.
RAI 1 – Programma “A sua Immagine” – Domenica 26.9 dalle ore 10,30 alle 12,20 circa.
Alle 12 si collegano con l’Angelus del Papa che parlerà di Chiara Luce ( Il programma è in costruzione).

Wednesday, September 08, 2010

EARLY MORNIN' RAIN


La Stoccolma di fine estate indossa un abito milanese da autunno inoltrato. M'incammino per le viuzze di Gamla Stan e faccio fatica ad immaginare come fosse nell'antico medioevo, infestata com'é, adesso, da negozi di anticaglie e souvenirs. Ogni tanto mi fermo un po', guardo lo stesso le vetrine, mi tuffo nei vicoli, a caccia di imprevisti e di agguati usciti dritti come da indimenticabili film di Ingmar Bergman. Una chitarra, le cui note giungono da lontano, mi attira inesorabilmente a sé ed é una Knockin' On Heaven's Door di strada che merita le poche corone che tengo ancora in tasca. Qui i negozi di dischi ci sono ancora, zeppi di buona musica e sfrontati nel mettere in vetrina pure i vinili. Lo scaffale di The Tallest Man On Earth é desolatamente vuoto, ma "it's not sold out", mi dice con sobrietà ed eleganza l'enorme uomo barbuto che si aggira dentro qui, tirando fuori il dischetto da un angolo remoto del negozio, mentre le note di sottofondo di un Bob Dylan d'annata ci avvolgono dolcemente, facendo sembrare questo posto un angolo del Greenwich Village dei sessanta. Christian Kjellvander, invece, sold out lo é per davvero, ma sarebbe stata troppa grazia riuscire a procurarsi pure quello. Me ne vado prendendo su con me anche l'Eddie Vedder di Into The Wild ed un Wilco doc, ad andare a riempire due piccoli spazi scandalosamente ancora vuoti su di un altro scaffale, quello dei dischi che sta laggiù a casa mia.


Un esercito di cardiologi ha invaso la città, per il più importante congresso europeo dell'anno. Una full immersion nello stato dell'arte della disciplina e nelle hot lines più interessanti degli ultimi mesi. La domenica pomeriggio, però, mi ero allontanato per qualche ora da quella convention di migliaia di specialisti, a caccia di una chiesa cattolica in questa capitale del nord. Dopo chilometri a piedi, su e giù per il quartiere di Sodermalm, avevo deciso che sarebbe diventato affar Suo rendere reale il desiderio del cuore di trovarla. Poi quel desiderio si era fatto carne, attraverso la gentilezza di un pastore protestante: "Do you know where is the catholic church, please?", "Yes, come with me, I'll show you on the map", aveva risposto con un sorriso.
Certo che trovarla così é più bello, tutta un'altra cosa rispetto alle indicazioni che potrebbe darti il guidatore di un tassì; in questo modo il desiderio passa attraverso il dialogo, si trasforma in tensione all'unità, in quel già e non ancora che esprime bene quello che hai dentro, anche negli anfratti più nascosti ed in mezzo alle quotidiani ed onnipresenti tue contraddizioni. Sarà per quello, poi, che la messa domenicale in svedese riesce a scaldarti il cuore anche se non riesci a comprendere neppure una parola. Sarà perché il desiderio del cuore esiste, il motivo per cui riesce a travalicare anche la Babele dei linguaggi e riempie di significato ogni tua attesa.

Ogni tanto il sole fa capolino anche quaggiù e allora é un piacere scoprire colori pastello sconosciuti ai climi caldi cui siamo abituati qui da noi. Due ore di battello, tra le chiuse che separano il mar Baltico dal lago Malaren, rendono finalmente giustizia ad una città che in realtà é un arcipelago di miriadi di isole e isolette. C'é finalmente spazio, poco prima di riprendere la strada che porta verso casa, per far percorrere alla mente pensieri più distesi, mentre si scivola su percorsi d'acqua che tra pochi mesi potranno essere soltanto lunghe distese da percorrere per lo più a piedi o, per i più giovani e vivaci, pattinando; bianco per terra e grigio all'orizzonte, a disperdere in un'amalgama opaco quegli stessi colori che in questi momenti si fanno capaci di scaldare i muscoli e l'anima.

Una fine pioggerellina, frequente compagna dell'estate di Svezia, farà capolino anche in un inizio di settembre milanese, altrettanto grigio ed insolente, forse solo con la linea del termometro spostata un po' più in alto. Allora bisognerà tendere un agguato a quello stesso mattino, coglierlo di sorpresa prima che la città si metta a correre e ad urlare e farsi accompagnare, ancora una volta, dalla buona musica, perché sappia colorarlo come si conviene. Sarà la polvere della voce roca di Ryan Bingham, con quel Junky Star così tanto acustico, così tanto T-Bone Burnett, così Blood On The Tracks del 2010. O sarà forse Mister Everett, che con Tomorrow Morning ha finalmente svelato i suoi misteri, giungendo ad un punto d'arrivo che sa finalmente di sollievo. Il sollievo del mattino - al mattino / quando gli uccelli stanno ancora dormendo / avverti il mattino / nessuna automobile per le strade - il sollievo che ogni nuovo giorno porta con sé, dovunque e chiunque tu sia, regalandoti - ancora una volta - una chance per ricominciare.

Friday, August 27, 2010

CRONACHE DEL CUORE


Le note di Piper To The End in sottofondo, mentre l'auto scorre veloce lungo l'autostrada, mia figlia sul sedile a fianco e gli altri due più piccoli a sonnecchiare su quelli di dietro. Mia moglie é al lavoro, non é riuscita a venire e allora cosa mi spinge ad andare sin laggiù, in quel posto che proprio lei mi aveva fatto scoprire anni fa? Dev'essere qualcosa che ha a che fare col cuore, quello che desidera qualcosa e che é tutta estate che m'insegue.
Sto andando al meeting di Rimini e il titolo - ma guarda un po' - c'entra con lui un'altra volta: "quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi é il cuore". Allora é per quello che l'auto sta mangiando la strada, che due giorni liberi sono stati ritagliati con fatica, dentro la frenesia della città e del lavoro. Per trovare là una risposta, un volto, un'incarnazione a quel "ciò che il tuo cuore desidera esiste", scritto sulla maglietta dei miei figli al ritorno da una vacanzina.

Non siamo ancora arrivati e squilla già il cellulare. Dall'altra parte c'é la Manu, che sta prendendo gli ordini per fare lo scontrino del pranzo. Non siamo ancora arrivati e c'é già chi pensa a noi. Ecco la prima risposta a tutti i dubbi, le incertezze e le infedeltà che ti porti dentro. La risposta é un'amicizia che ha già pensato a te prima che tu la potessi incontrare o meritare. Un'amicizia che non é pensiero o ideologia, ma carne ed ossa e che appena entrato in fiera ti accoglie con un abbraccio e ti fa sedere a tavola saltando la coda.
Dopo pranzo accompagno i ragazzi più piccoli al villaggio ragazzi. Chiara, la più grande, ha già trovato le sue amiche e vola via per il "suo" meeting, che, lo scoprirò man mano, sarà vissuto con allegria e pienezza. Io vado a sentire Fiammetta Cappellini, volontaria di AVSI ad Haiti, che ha più di qualcosa da raccontare. Prima di lei, la testimonianza di Mireille Yoga, educatrice in Cameroun in mezzo alla dura realtà dei ragazzi di strada. Fiammetta, ad Haiti con AVSI, ha fatto cose inenarrabili. Eppure quella che passa é la sua disarmante semplicità. La mamma di Haiti - come l'ha chiamata qualcuno - riesce a raccontare il proprio agire come quello di qualcuno che é cosciente di essere strumento nelle mani di Uno più grande di noi. "Sapete - ci dice a un certo punto - i professionisti del soccorso internazionale ci hanno detto che laggiù si può dare una mano, ma che ormai non c'é più niente da fare. Ma noi abbiamo visto che il popolo di Haiti ha desiderio di cose grandi. E dove c'é gente che desidera cose grandi, noi non possiamo non essere lì con loro". Un brivido scorre sotto la pelle, mentre la platea sottolinea col proprio applauso l'emozione dell'animo. Eccolo lì, dentro quelle parole, il titolo del meeting. Eccolo lì il desiderio e il cuore, il motivo per cui oggi sono qua.


Fuori da lì eccoli di nuovo, ad uno ad uno li incontro tutti. Gli amici. Sguardi, strette di mano, abbracci tra uomini veri. Incontro Paolo Vites, mi presenta Terra Naomi, bella e brava cantautrice newyorkese che la sera ci delizierà con le sue canzoni. "Hi, how are you?", un sorriso disarmante. C'é don Eugenio con lei, che é già riuscito a portarla in Italia senza che lei sapesse che era un prete. E' un uomo grosso così, di una simpatia travolgente. "Ho capito che dovevo fare il prete ascoltando la musica rock", ci dice. Come mi piacciono i tipi così.
Poco dopo sono davanti alla mostra di Solidarnosc. Trent'anni da quei giorni. E li ricordo ancora, quei momenti dei miei diciott'anni. Ma non avevo capito cosa fosse successo veramente. E allora sono qui per entrare dentro quella storia, una vicenda incredibile di operai che s'inginocchiano davanti ad un quadro della Madonna, dentro un cantiere gestito dall'oppressione comunista. La storia di un popolo che prima di chiedere il pane - quello che gli manca ogni giorno - chiede la possibilità di esprimere ciò che ha nel cuore: la libertà. Libertà di riconoscere quella natura che ci fa desiderare cose grandi.
Le mostre al meeting sono una più bella dell'altra. Non avrò la possibilità di vederle tutte, in due soli giorni. Ma ce n'é un'altra che mi attanaglia l'anima per poi farla volare senza freni. E' la storia - umana soprattutto, più che il racconto dei suoi scritti - di Flannery O'Connor. Qui c'entra il limite ed il fatto che misteriosamente sia proprio quello a condurti ad un'esperienza di verità. Ecco dove sta la bellezza del seguire Cristo. Il tuo peccato, il fallimento e la fatica, non sono un'obiezione, ma un fatto già redento dall'Uomo dei Dolori, Colui che sulla croce s'é fatto così tutto con noi, da arrivare a provare la sensazione dello straziante abbandono del Padre. E, nella vita della scrittrice, la malattia, e tutto il resto si trasformano in una strada dove comprendere sempre più come Dio parla attraverso la realtà di ogni giorno.



Il pomeriggio del mio secondo ed ultimo giorno al Meeting c'é un amico importante da incontrare. Massimo Priviero é venuto fino a qui, per cantare un paio di canzoni all'interno dell'incontro di presentazione del libro "Cosa sarà: l'avventura del mistero nella canzone italiana". Ci regala La Strada Del Davai ed un medley di Chimes of Freedom con Nessuna Resa Mai, prima di lasciarci con una versione da brividi di Amazing Grace. In contemporanea c'é l'incontro con la vedova Coletta e solo il cielo sa quanto avrei bisogno di sentir parlare di perdono da parte di una donna così. Ma incontrare gli amici e condividere un'esperienza é tramutare in carne il desiderio del cuore e allora é per questo che sono qui. Perché l'abbraccio con Massimo é una di quelle cose calde che lasciano il segno e che ti porti fino a casa. Alcuni fans di Priviero si erano stupiti della sua presenza qui: "che cos'hai in comune con quella gente là?" gli avevano chiesto. E lui risponde - lo dice a Walter Gatti, che gli chiede sul palco di rendere conto, in un certo senso, del motivo della sua presenza - : "il mio bisogno di cristianesimo é il loro bisogno di cristianesimo". E davvero non c'é bisogno d'altro per stare insieme, penso, mentre sale l'applauso della platea.


Faccio in tempo ad ascoltare qualcosa del cardinal Scola, prima che la giornata volga al termine. Ha fatto uno sforzo per essere un po' più semplice e comprensibile del solito, ha detto sorridendo. Io ascolto solo gli ultimi dieci minuti del suo discorso, ma sono un vero e proprio sussulto. "Vieni e vedi" é l'esperienza che ci richiama a fare. Ecco perché, allora, anch'io ho fatto l'esperienza quaggiù che tutti gli amici sono tali perché testimoni. Ecco cos'era che mi faceva sussultare ogni volta che ne incrociavo uno. E Scola lo spiega bene che cos'é il testimone: "colui che, condividendo di persona anche l’ultimo frammento del desiderio che permane sempre in ogni uomo, ridesta nel suo cuore la nostalgia del desiderio di Dio, cioè del compimento della propria felicità. Questa nostalgia ha un nome semplice e luminoso. Si chiama santità". Una santità a portata di mano finalmente. Santità che non é merito nostro, ma che é raggiungibile e possibile. E che passa attraverso il fratello. E attraverso gli amici.

Si parte per tornare a casa che é già sera. Arriveremo a notte fonda. "papi, ma come si fa a capire se una persona é quella giusta?". Mia figlia, sul sedile a fianco, mi spiazza, mentre gli altri due, sui soliti sedili posteriori, stanno già dormendo. Quattordici anni e già fanno domande che sanno d'infinito. "Non c'é un metodo, un sistema, ma si capisce, Chiara, si capisce. Nel profondo del tuo cuore lo capisci". Per più di due ore parliamo di tutto. Di matrimonio e fedeltà, di amici, della mostra di Dante che ha visto e che le ha allargato il cuore. Di gioia di vivere, al fondo di tutto. Poi, sugli ultimi cinquanta chilometri che ci separano da Milano, si addormenta anche lei. Sono stanco, maledettamente stanco, ma felice. Ho trovato un'altra volta il cuore ed ho capito cosa sia, lo ha detto don Stefano Alberto a tutto il popolo del meeting: "cosa sia il cuore lo capiamo dalla testimonianza degli amici". Ed io, di testimoni, qui ne ho trovati parecchi, quelli che mi aiutano ad andare avanti tutti i giorni, nonostante la mia pochezza, perché grazie a loro si genera Quella presenza in mezzo a noi che é l'unica capace di cambiarlo, quel cuore desideroso d'infinito.
Quando arriviamo a casa troviamo mia moglie in piedi ad aspettarci. E' stanca, ma felice anche lei. Che siamo tornati, certamente, ma soprattutto che siamo stati là. Mi é mancata parecchio in questi due giorni, anche se il "suo" meeting ora é diventato anche il mio. E il suo cuore l'ho sentito palpitare laggiù con me, anche se lei era lontana.

"Quello che il tuo cuore desidera, esiste". L'ho percepito tutta estate, ho cercato a lungo quel desiderio. L'ho trovato, finalmente, lungo la strada che porta verso casa.
Ora posso ripartire per davvero.
Nell'avventura dell'attimo presente della vita.