"I just knew that what I was doing was extremely honest.
It was all the things I wanted my music to be"
(Bon Iver)
Non c'é niente da fare, mi ricorda troppo Into The Wild.
Questo disco, le sue atmosfere, la storia che sta dietro. Per fortuna non la fine, perché stavolta é lieta, quella di un autore e del suo lavoro, che finiscono su un'etichetta indipendente e trovano anche un po' di fortuna, gente che la ascolta, questa musica, in mezzo a tutta la porcheria che c'é in giro; e si accorge che, accidenti, é proprio bella.
Musica intrisa di bellezza e di malinconia; fredda come freddo é l'inverno del Wisconsin, dove Justin Vernon, in arte Bon Iver (un francesismo, che bizzarra cosa decidere di chiamarsi Buon Inverno), si rifugia un bel giorno, fuggendo dalla delusione di un amore perduto, alle prese con la malattia - una mononucleosi che se l'é presa col suo fegato - insomma il desiderio di starsene da solo per un bel po', tre mesi nella casetta di montagna di suo padre, solo il rumore della natura intorno a sé.
Tre mesi per stare tra sé e sé, curare tutte le proprie ferite, forse non farsi neppure troppe domande, sicuramente senza avere in mente una strenua ricerca dell'ispirazione per comporre un disco, perché lo scopo, lo dice lui, era ben altro: "it wasn't planned, the goal was to hibernate".
E invece piano piano vengono fuori melodie, una dopo l'altra e poi sopra queste i testi, liriche che sappiano galleggiare sopra quegli stessi suoni, che vadano d'accordo con quella dolcezza e con quell'armonia.
Ho letto questa musica e poi mi son seduto ad ascoltare bene le parole.
Ho aspettato a farlo per un po', perché c'era bisogno, prima, di far piazza pulita di tutto quanto intorno a me; eliminare il traffico e poi la frenesia, grida di voci che corrono all'impazzata. Ho messo questo disco quando si é fatto buio, la strada che sfilava finalmente dritta davanti a sé e tutto intorno era solo prati ed alberi e foglie, resi misteriosamente scuri dalla notte.
Allora un po' di malinconia, di questo bellissimo For Emma, Forever Ago, é entrata delicatamente anche dentro me, a fare compagnia alla mia, a dirle non sei sola, non lasciarti andare, perché non siamo mai soli su questa terra, mai, anche quando vorremmo fuggire da tutto il male fuori e dentro noi.
E' allora che mi é venuta in mente quella lettera (1), scritta da un'amica di cui conosco solo il nome. Lettera che parla d'incertezza e depressione, di crisi di panico e poi d'inattesa via d'uscita. Lettera che fa parlare un'anima che quella via d'uscita, finalmente, é in grado di spiegarla, perché ha lasciato che entrasse dritta dentro sé, dentro le proprie ferite e le proprie crepe, smettendo di opporle resistenza.
Una lettera d'amore, perché d'amore si tratta, é quella l'esperienza viva, quando il cuore aderisce con passione al reale stato delle cose: "nell'uomo vi é un'inestinguibile aspirazione nostalgica verso l'infinito... Disagio, insoddisfazione, tristezza, noia, non sono sintomi di una malattia su cui intervenire coi farmaci, come accade sempre più spesso in una società che confonde l'inquietudine del cuore col panico e con l'ansia. Sono piuttosto segni di quale sia la natura dell'io. Il nostro desiderio é più grande di tutto l'universo" (Julian Carron) (2)
Questo disco, le sue atmosfere, la storia che sta dietro. Per fortuna non la fine, perché stavolta é lieta, quella di un autore e del suo lavoro, che finiscono su un'etichetta indipendente e trovano anche un po' di fortuna, gente che la ascolta, questa musica, in mezzo a tutta la porcheria che c'é in giro; e si accorge che, accidenti, é proprio bella.
Musica intrisa di bellezza e di malinconia; fredda come freddo é l'inverno del Wisconsin, dove Justin Vernon, in arte Bon Iver (un francesismo, che bizzarra cosa decidere di chiamarsi Buon Inverno), si rifugia un bel giorno, fuggendo dalla delusione di un amore perduto, alle prese con la malattia - una mononucleosi che se l'é presa col suo fegato - insomma il desiderio di starsene da solo per un bel po', tre mesi nella casetta di montagna di suo padre, solo il rumore della natura intorno a sé.
Tre mesi per stare tra sé e sé, curare tutte le proprie ferite, forse non farsi neppure troppe domande, sicuramente senza avere in mente una strenua ricerca dell'ispirazione per comporre un disco, perché lo scopo, lo dice lui, era ben altro: "it wasn't planned, the goal was to hibernate".
E invece piano piano vengono fuori melodie, una dopo l'altra e poi sopra queste i testi, liriche che sappiano galleggiare sopra quegli stessi suoni, che vadano d'accordo con quella dolcezza e con quell'armonia.
Ho letto questa musica e poi mi son seduto ad ascoltare bene le parole.
Ho aspettato a farlo per un po', perché c'era bisogno, prima, di far piazza pulita di tutto quanto intorno a me; eliminare il traffico e poi la frenesia, grida di voci che corrono all'impazzata. Ho messo questo disco quando si é fatto buio, la strada che sfilava finalmente dritta davanti a sé e tutto intorno era solo prati ed alberi e foglie, resi misteriosamente scuri dalla notte.
Allora un po' di malinconia, di questo bellissimo For Emma, Forever Ago, é entrata delicatamente anche dentro me, a fare compagnia alla mia, a dirle non sei sola, non lasciarti andare, perché non siamo mai soli su questa terra, mai, anche quando vorremmo fuggire da tutto il male fuori e dentro noi.
E' allora che mi é venuta in mente quella lettera (1), scritta da un'amica di cui conosco solo il nome. Lettera che parla d'incertezza e depressione, di crisi di panico e poi d'inattesa via d'uscita. Lettera che fa parlare un'anima che quella via d'uscita, finalmente, é in grado di spiegarla, perché ha lasciato che entrasse dritta dentro sé, dentro le proprie ferite e le proprie crepe, smettendo di opporle resistenza.
Una lettera d'amore, perché d'amore si tratta, é quella l'esperienza viva, quando il cuore aderisce con passione al reale stato delle cose: "nell'uomo vi é un'inestinguibile aspirazione nostalgica verso l'infinito... Disagio, insoddisfazione, tristezza, noia, non sono sintomi di una malattia su cui intervenire coi farmaci, come accade sempre più spesso in una società che confonde l'inquietudine del cuore col panico e con l'ansia. Sono piuttosto segni di quale sia la natura dell'io. Il nostro desiderio é più grande di tutto l'universo" (Julian Carron) (2)
Diceva, tanti anni fa, una mia zia ormai anziana, con un'ineffabile e smagliante accento toscano: "mi dispiace morì, perché se ne impara una nova ogni dì". E' proprio vero che ogni giorno c'é una novità inattesa, capace di spalancarti il cuore: oggi quella novità é arrivata col suono di un bel disco e le dolci parole di una lettera che mi ha parlato di speranza.
Non c'é niente da fare, la speranza, quella del Bello e del Vero, non l'ammazzerà mai nessuno.
Perché é bello vivere.
E perché é proprio bella la vita.
E perché é proprio bella la vita.
Post Scriptum:
grazie a Paolo Cognetti ed al suo blog, che mi ha fatto scoprire quest'autore.
Note:
(1) "Il panico, le quattro frecce e la nostalgia di Lui" - lettera di Alga, Bergamo, tratta dal sito di Tracce: http://www.tracce.it/?id=285
(2) Julian carron - Quella nostalgia verso l'infinito - Corriere della Sera, 24 dicembre 2009
6 comments:
porca miseria mi tocca riascoltarlo! gurda dalle mie parti che avevano combinato glenn e marketa a milano nel pomeriggio....
il vites mi prendeva per il culo quando gli dicevo che a me piace
faceva male :-)
http://www.youtube.com/watch?v=JfAS6nwYc9g
Brividi!
Anche questo, come l'uomo + alto del mondo (che pero' suona ad Istambul) in Italia ce lo scordiamo.. :-(
Ma sì pace, abbiamo Scanu eheheh
http://www.youtube.com/watch?v=gU6d9EE8lsc
Cazzo siamo messi malissimo..
Carliniiii torna in pista!!
ps è vero Cardioman, bon iver e into the wild, c'è qualcosa che li accomuna..
stavo cominciando a farmelo piacere ma adesso che piace a peter gabriel che ha inciso proprio una cover di flume, non mi piacerà più.
ps: flume è bellissima
pps: organizziamo un festival al dente del gigante per qs meravigliosi broken hearted losers
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