lettera di padre Aldo Trento,
22 giugno 2009
Carissimi,
“Il pensiero piú risoluto, piú scientifico non é nulla di fronte a ció che accadde, la pazzia consiste nel credere eventi i semplici pensieri”.
Questa affermazione di Pavese descrive bene la mia storia ed anche il lavoro quotidiano di cui parla Carron, che sono chiamato a fare su me stesso. Un lavoro sostenuto in modo davvero eccezionale dal dolore che mi circonda e che é dentro di me durante le 24 ore del giorno. Sembrerá per molti un assurdo, peró trovo molto bella una frase che oggi mi ha detto un amico, commentando la frase di Pavese: “il rimedio alla pazzia é dato dal dolore, che ci fa mettere i piedi per terra”.
Mettere i piedi per terra é la grande battaglia da 20 anni ad oggi, che compio 38 anni di sacerdozio. E che cosa mi permette questo miracolo, che é quello di amare la veritá dei “piedi per terra”, della realtá, per cui vivo comosso, in pace anche quando, come in questi giorni, le circostanze sembrano (il dramma dei pensieri o pensieri cattivi, che sono ció che distraggono dalla veritá, dalla realtá) negative, mentre sono positive?
La grazia, mendicata attimo per attimo, anche fisicamente, ripetendo sempre “Io sono Tu che mi fai” o “anche i capelli del vostro capo sono contati”. Oggi, 38 anni fa, ero ordinato sacerdote. Il vangelo del giorno é quello di Matteo 6,24-34, dove Gesú pone ai suoi discepoli tante domande che hanno come fondo quanto Carron ci ripete spesso: “anche i capelli del vostro capo sono contati”.
Ma allora capite che davvero il primo lavoro da fare é chiedere che questo capitolo 6,24-34 di Matteo diventi carne? Umilmente, peró veramente guardando me stesso, la mia storia, ció che accade qui, é letteralmente quanto scrive San Matteo. Ma pensate se la mia vita non fosse cosi, se tutte queste opere non fossero cosí: ma che senso avrebbero?
Nessuno. Sì, per uscire dalla “pazzia”, cioé dalle immaginazioni, dai progetti, dai pensieri é neccessario che le parole di Matteo diventino carne.
Cari amici, mentre vi scrivo queste cose, sono qui davanti ai miei piccoli crocifissi: Victor, Aldo e Cristina. Per cui potete capire cosa vuol dire per me la parola “dolore”. Nella stanza a fianco, Marziana di 20 anni é sempre piú grave. Al suo fianco Claudia, di 35 anni, evangelica, mi ha detto: “sono alla fine, voglio confessarmi, la comunione, tornare alla Chiesa cattolica”. In due giorni, poi, due morti, fra cui una giovane mamma, morta dopo aver cantato: “Ti adoriam ostia divina...” e dicendo “adesso ho cantato tutto”.
Adessso sono arrivati i miei bambini della casetta di Betlemme, quelli piú grandicelli. Con me faranno la processione con il Santissimo. Staranno a fianco di ogni ammalato grave e anche moribondo. Loro sono educati a guardare in faccia la veritá della realtà. La realtà non fa mai paura perchè grida la sua presenza.
Guardateli nella foto, appena fatta, con Attilio, anche lui alla fine. Guardate le loro faccie e quello di Attilio. “Dov'é o morte il tuo pungiglione?”
Attilio e i miei bambini guardano in faccia alla morte, come guardano la vita. Osservo e capisco la bellezza della frase di Pavese. Giasmina, quella con la faccina fra le mani, vedendo Marziana mi dice: “che bella, sembra la mia mamma quand´era viva qui in clinica”. Ogni sabato vogliono venire qui a vedere il letto, la camera dov'é morta la loro mamma. Come vedete la realtá é stupendamente amica, come ogni circostanza, che per noi é il sorriso di Dio.
È proprio bello la vita.
Buone vacanze, peró vissute cosí...
P. Aldo
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