Monday, June 29, 2009

FRUITS OF AN AMERICAN FLAG



Non sono ceneri di una luminosa bandiera americana, quelle rimaste dopo la fine dei gloriosi Uncle Tupelo. Sono semi, invece, rimasti a marcire nella terra e che hanno dato vita ad alberi capaci di produrre frutti maturi .
I Wilco ed i Son Volt sono splendide realtà dell'odierna scena musicale americana e rendono un po' meno dolorosa la nostalgia, quella cartella della mia memoria dove avevo riposto i files delle gesta della band originale di Jeff Tweedy e Jay Farrar, a fare compagnia a quelle di quei Green On Red di cui non ho mai digerito troppo bene la fine.
Luoghi della mente accuratamente riposti e da non disturbare, per non accentuare il dolore della perdita; una forma di rispetto che non avevano certo avuto Dan Stuart & soci, per esempio, che con il loro patetico ritorno alle scene di tre anni fa non avevano fatto altro che rendere ancor più doloroso il senso del rimpianto.

Ma a rendere felici le sere d'estate, ecco innanzitutto il dvd Ashes Of American Flag, splendido documento dal vivo per godersi le gesta dei Wilco, la cui musica sembra sempre più il motore di una fantastica fuoriserie, capace di straordinarie accelerate e frenate, testacoda ed inversione ad U, passando attraverso tratti di viaggio forte, sicuro ed inebriante.
La musica dei Wilco é bella come é bella la vita, quella tutta intera; quella che non censura nulla e non privilegia i giorni di tempesta piuttosto che quelli di sole e di bonaccia.
Passare da canzoni come Bull Black Nova e You And I é come trovarsi alla fine della giornata, quando la luce del sole del tramonto scalda dall'orizzonte un campo verde e rigoglioso, cresciuto anche grazie al freddo della brina ed ai momenti di vento e pioggia sferzante.
La più grande rock band sulla faccia della terra non mi delude mai e questa volta riesce ad accarezzare radici sonore capaci di farmi percorrere i tratti autostradali più quieti della mente, fatti di sensibilità ed emozioni dalle quali amo spesso farmi cullare.
Ma non c'é solo l'ultimo capitolo della saga della band di Jeff Tweedy a rallegrare il mio cuore. Quasi fosse una sorta di duello virtuoso tra forze del bene, i Son Volt di Jay Farrar se ne escono contemporaneamente ai loro fratelli d'arme, con un disco, American Central Dust, che riesce ad esaltare la vena alternative country che non ha mai smesso di portare sangue al mio cuore, costantemente nel bisogno d'essere ossigenato.
Il nuovo lavoro del gruppo di Jay Farrar sarà pur meno fantasioso e talentuoso di quello di Tweedy & soci, ma é quel tipo di compagnia che rallegra miglia e miglia dei percorsi delle mie giornate. Passare dai Son Volt ai Wilco è un magnifico viaggiare e a questo punto non importa dove si va, l'importante é andare.



Jay Farrar, recentemente intervistato, ha dichiarato che la propria musica é uno stile di vita, che fa quel che fa perché non riuscirebbe a pensare a qualcosa di diverso. Mestiere? No, accidenti, questa é vocazione e l'ultimo che mi ricordo avesse parlato così era quello là , quello che é partito con la chitarra in mano dal freddo Minnesota, un sacco di anni fa.  "Devi sapere che stai facendo ciò che stai facendo" - aveva detto - "Devi avere un credo. Devi avere uno scopo. Devi credere di poter passare attraverso i muri", aveva aggiunto (1) e come é vera per tutti questa cosa, la passione che ci metti in ciò che fai, sia che tu faccia il dottore piuttosto che il cantante rock.  Jeff Tweedy, uscito dal tunnel nero dell'alcool e di quant'altro non parla in fondo di cose differenti, quando racconta del suo feeling col pubblico che si reca ai suoi concerti. Come a dire che il talento ci vuole, ma senza quella posizione di verità di fronte a ciò che fai e chi hai di fronte, non si produrrà mai l'alchimia capace di far fuoriuscire qualcosa degno di restare lì anche quando tu te ne sarai andato.

Insomma questi sono dischi che sarà difficile tornino troppo presto dentro lo scaffale, anche perché, come dice il mio amico Ragman, ho il difetto che i dischi che mi piacciono devo ascoltarli almeno 800 volte.
Dischi, beninteso e nulla più, perché non si parla mica d'infinito: hey guys, this is only rock'n'roll.
Ma é pur sempre un bel dolce naufragare, il mio, in questo mare.




Note:
(1) Bob Dylan, A Candid Conversation, Playboy vol. 25, n. 3, marzo 1978

3 comments:

ciciuxs said...

bella cardioman, finalmente qualche bella parola per i son volt, ultimamente bistrattati da tutti in una improbabile quanto improponibile gara/comparazione coi magnifici wilco.
adoro i poster di hatch show print e questo degli uncle tupelo mi fa compagnia tutti i giorni qui in ufficio!
ciao

Maurizio Pratelli said...

i magnifici wilco sono davvero saliti su un altro pianeta. Però questo Farrar è un'altra cosa rispetto a quello che vidi timoroso al cospetto di dave alvin.

Vernè said...

Cardioman, permetti che ti chiami anch'io così?, mi hai fatto sobbalzare il cuore ascoltando i Son Volt, che ancora non conoscevo... (mea culpa, mea maxima culpa...) . Se dovessi avere una ricaduta so a chi appoggiarmi!
Grandissimi, credo che dopo la tua dichiarazione d'amore per questi due gruppi, debba al più presto rifornirmi di queste opere!