Monday, July 20, 2009

HAVE A NICE SUMMER




Nulla possono le circostanze quando gli occhi si fanno capaci di guardare in faccia alla realtà come a qualcosa capace di provocare la tua vita, al punto da farle scorgere il significato che la sostiene.
Così, mentre scorri distrattamente la posta elettronica alla sera, ti accorgi che basta poco perché si rompa quella cappa di piombo fatta della stanchezza della giornata, di tutto il caldo, della frenesia e della caduta di ogni entusiasmo che ti pareva di aver scorto da qualche parte al mattino.
Basta che la tua amica Cris ti dica che "tutto é per gridare al mondo la bellezza", che ti richiami al fatto che "qualunque sia il posto, qualunque sia la compagnia" devi avere "a cuore il destino dell'altro, la sua "funzione" tra di voi, perchè ognuno è segno, ed è scelto come segno, e va trattato come Cristo lo ha chiamato".
Il bello é che quell'amica, con quelle righe ti sta semplicemente augurando buone vacanze, cioé ti sta dicendo di prendere sul serio un momento prezioso dell'anno; prezioso perché - se ci tieni - é il momento in cui hai più tempo per pensare a te stesso, cioé ciò per cui pensi valga davvero la pena di spendere il tuo tempo mentre stai al mondo.
Poi - non fai nemmeno in tempo a pensarci troppo su - e ti cade l'occhio sull'ultima lettera di padre Aldo. E sulle ultime parole di Marciana, che - dannazione - é morta di tumore, ma sembra che invece parli proprio della gioia del paradiso:
"Al mio carissimo Padre Aldo.
Il mio viaggio e’ próssimo alla fine e non voglio andarmene senza dirle che ho passato i giorni piu’ belli della mia vita in questa clinica; ho incontrato i miei fratelli e sorelle ammalati come me ai quali ho voluto tanto bene. Mi duole sapere che ho ancora pochi giorni per stare con loro. La prego Padre per l’incarico che le do’: abbia cura di loro, perche’ so che donera’ il meglio di se’, che e’ tanto amore. Ed io da questo momento mi prendero’ cura di lei.


Non so com'é, ma negli ultimi tempi mi capita sempre di più di pensare a quella canzone di Francesco De Gregori, quella dell'angelo di Lione. E quindi di ascoltarla, anche, spesso e volentieri.  E' buffo, quando faccio così con una canzone che mi piace troppo finisce per stufarmi e quindi cerco di non farlo quasi mai, per non rovinare qualcosa di troppo prezioso. 
Ma con questa no, questa non mi stanca mai.
Forse perché parla di uno straccione fattosi libero da tutto, pur di guardare davvero in faccia la realtà, alla ricerca della perla preziosa, dell'unica cosa che conta per davvero.
Ma forse, soprattutto, perché parla di mendicanza, l'unico metodo che sento sempre più vero per tenersi in piedi nella vita.
Quest'estate me ne vado in giro un po', chissà che non lo trovi anch'io quell'angelo di cui parla la canzone. Nascosto dietro quella statua lassù sul monte e in mezzo al mare, quella dell'arcangelo San Michele; oppure in mezzo ai doccioni di una cattedrale, mentre guarda assorto dall'alto la città.
Se lo trovo, comunque, torno indietro a dirlo a tutti, pure qua sopra, se ci riesco.
Intanto metto in pausa il blog per un po': molto meglio quella mendicanza di mille delle mie inutili parole.
Stay warm, my friends, ci si vede un po' più in là.


Thursday, July 16, 2009

AUGURI EMMAUS



Oggi, 16 luglio, é il compleanno di Maria Emmaus Voce, attuale presidente del Movimento dei Focolari. Mi piace ricordare, in questo giorno, questo scritto di Chiara Lubich del 25 dicembre 1973, divenuto vero e proprio suo testamento.
Auguri Emmaus !

“Se oggi dovessi lasciare questa terra, e mi si chiedesse una parola come ultima che dice il nostro Ideale, vi direi, sicura d’esser capita nel senso più esatto: “siate una famiglia”.
Vi sono tra voi coloro che soffrono per prove spirituali o morali ?
Comprendeteli come e più di una madre, illuminateli con la parola e con l’esempio.
Non lasciate mancar loro, anzi crescete attorno a loro il calore della famiglia.
Vi sono tra voi coloro che soffrono fisicamente ?
Siano i fratelli prediletti. Patite con loro, cercate di comprendere fino in fondo i loro dolori.
Fateli partecipi dei frutti della vostra vita apostolica, affinché sappiano che essi, più di altri, vi hanno contribuito.
Vi sono coloro che muoiono ?
Immaginate di essere voi al loro posto e fate quanto desiderereste fosse fatto a voi fino all’ultimo istante.
C’é qualcuno che gode per una conquista o per un qualsiasi motivo ?
Godete con lui perché la sua consolazione non sia contristata e l’anima non si chiuda, ma la gioia sia di tutti. 
C’é qualcuno che parte ?
Lasciatelo andare non senza avergli riempito il cuore di una sola eredità: il senso della famiglia, perché lo porti dove é destinato.
Non anteponete mai qualsiasi attività di qualsiasi genere, né spirituale – quindi neanche le preghiere o la Messa – né apostolica, allo spirito di famiglia con quei fratelli coi quali vivete.
E dove andate per portare l’Ideale di Cristo, per estendere l’immensa famiglia dell’Opera di Maria, niente farete di meglio che cercare di creare, con discrezione, con prudenza, ma con decisione, lo spirito di famiglia.
Esso é uno spirito umile, vuole il bene degli altri, non si gonfia, é la carità vera, completa.
Insomma se dovessi partire da voi, in pratica lascerei che Gesù in me vi ripetesse : “Amatevi a vicenda affinché siano tutti uno “.

(Chiara Lubich)

Tuesday, July 14, 2009

14 LUGLIO


"Qual é la cosa più coraggiosa che tu abbia mai fatto? L'uomo sputò un grumo di catarro e sangue sulla strada. Alzarmi stamattina, disse. Davvero? No. Non starmi a sentire. Forza, andiamo".
(Cormac McCarthy, La Strada)


Festa nazionale, per i cittadini d'oltralpe, che in questi giorni soffrono pure un po' , perché vedere un italiano in maglia gialla non gli é mai garbato, fin dai tempi di Gino Bartali.
Comunque sia, oggi la grandeur francese non si risparmierà in festeggiamenti, anche se, a ben pensare, ciò che si ricorda, accaduto ducentoventi anni fa, non fu certo un'allegra passeggiata verso la libertà.  Morte e tristezza come in ogni rivoluzione, eccessi e follie in nome di una ragione ben lontana dall'essere tale, se capace persino di trasformare un gioiello dell'arte come la cattedrale di Notre-Dame di Parigi in un deposito di vini. 
Tuttavia quel famoso motto - liberté, égalité, fraternité - ha resistito sino ad oggi come sintesi di ciò che l'uomo moderno ritiene assomigli il più possibile all'idea di civiltà.
Non fosse però che, mentre di libertà ed uguaglianza si é parlato a dismisura, della fraternità sembra non si sia mai occupato quasi nessuno.

La fraternità come il principio disatteso, in realtà unico motore capace di produrre vera libertà ed uguaglianza, perché contenente in sé amore e gratuità.  Una fraternità che nasce dal dono di sé é quanto di più lontano ci sia dal buonismo, peccato della  modernità quasi più dannoso del male che l'uomo é talvolta inconsapevolmente capace di produrre col proprio agire.  Dono di sé che é essenza della vera libertà, perchè si fa capace di amare la circostanza davanti a sé, indipendentemente dai meriti di essa e senza attendere d'essere corrisposto.  
Ci vuole coraggio a vivere così, perché significa sputare sangue per terra e sbattersi per qualcosa che vale la pena d'essere vissuto.  E può apparire senza dubbio anche impossibile, perché é facile sperimentare la resa, nel momento in cui la consapevolezza del limite fa apparire le energie insufficienti a raggiungere lo scopo. 
 
A meno che quel limite sia qualcosa di differente, perché dentro di esso ci si possa sentire afferrati da chi una strada l'ha già tracciata - in modo rivoluzionario - più di duemila anni fa.
Un gancio in mezzo al cielo, quando la via sembra smarrita. 
Uno più grande di quel limite perché l'Unico che l'abbia già preso su di sé.
Allora attaccarsi a quel gancio, magari nel preciso momento del tuo giorno più nero, del tuo fallimento realmente sperimentato, é divenire strumento, cioé testimone, di quella speranza che corrisponde al nome di fraternità.
E allora magari ti accade pure di dare gomito all'amico che ti sta di fianco, per rivolgere insieme lo sguardo verso Ciò che sta davanti.
Portatore di speranza, proprio nel momento più nero della tua giornata.

Monday, July 06, 2009

IO SONO TU CHE MI FAI


"Tutto concorre al bene per coloro che amano Dio", questa frase di Paolo indica forse l'unica condizione che rende qualsiasi tentativo umano, non violento né artificioso, ma fruttuoso di conoscenza e di bene.
Tutto può essere misteriosamente positivo quando ci si accosta all'uomo, quando ci accostiamo ad un altro, ricordandoci del desiderio d'infinito che costituisce la natura più profonda ed intangibile del nostro io"

(Felice Achilli)



Conservo nella mente pochi istanti, come una breve serie di fotogrammi messi assieme. Ed un rumore, quello dell'urto.
Una domenica sera d'agosto, di qualche anno fa. Sto uscendo da McDonalds con la mia famiglia; di lì a breve, dopo averla accompagnata a casa, me ne andrò a far la notte in ospedale. Prima di cena ci eravamo fermati tutti insieme in chiesa, davanti all'altare della Madonna, dopo la messa nella nostra parrocchia. Un luogo caro a tutti noi, dove riporre le ansie, le brevi gioie, dove affidare la nostra vita insieme.
Pochi attimi, in cui non fai neppure in tempo a renderti conto di ciò che sta per accadere. Mio figlio Marco attraversa la strada, vedo una macchina arrivare ed io non faccio in tempo a fermarlo. Non lo vedo più e sento solo un rumore, il suono dell'urto di un corpo contro un'auto. In quell'istante, rimasto fisso per sempre nella mia memoria, vedo mio figlio già in un altro luogo, oppure ancora tra noi, ma come un pesce rosso, attaccato a mille tubi in un reparto di rianimazione.
Un istante lungo, interminabile, quasi eterno, rotto come d'incanto, ad un certo punto, da un pianto, il pianto di mio figlio.
Mi precipito in mezzo alla strada: Marco sta bene. Andremo in pronto soccorso, ma dopo poche ore saremo tutti insieme a casa: se l'é cavata solo con pochi graffi.
Quel momento della vita si stampa in eterno nella mia mente e diviene cemento tra di noi, specie quando ci fermiamo ancora a riporre i pensieri del nostro cuore davanti all'altare di quella Madonna, spesso - ora come allora - tutti insieme, alla fine della messa domenicale. 
Ma, soprattutto, ciò che si fissa per sempre nel mio cuore da quel giorno é la certezza che i tuoi figli, cioé ciò a cui tieni di più nella vita, coloro per i quali saresti disposto a dare la vita senza pensarci su neppure per un attimo, non sono tuoi.  Cioé sono tuoi e non sono tuoi, perché sono dentro il disegno di un Altro capace di un amore infinitamente più grande del tuo.
Li hai generati tu, ma non li hai fatti tu: "Io sono Tu che mi fai", ci ripete spesso padre Aldo.


Qualche giorno fa un camion investe in pieno un bambino, Andrea Achilli, 12 anni e se lo porta via. Il quarto, l'ultimo dei quattro figli di Felice Achilli, primario cardiologo all'ospedale di Lecco. I soccorsi tempestivi, la corsa all'ospedale, l'intervento chirurgico d'urgenza, ma Andrea non ce la fa. Andrea parte per il cielo. Marco invece é ancora qui con me.  Destini diversi, per motivi sconosciuti e misteriosi. Conosco il dottor Achilli come collega, come presidente per molti anni dell'associazione Medicina e Persona e ne ho sempre apprezzato la capacità di saper trasmettere a tanti altri una modalità nuova, diversa, di far fronte ad una professione così impegnativa come quella di noi medici.
Felice ha scritto una lettera al giornale di Lecco, per ringraziare chi gli é stato vicino e per dare testimonianza di ciò che gli é accaduto.
La trascrivo qui, con una gratitudine in cuore senza limiti davanti a maestri così.
Nella consolazione dello sperimentare sempre di più, ogni giorno, un cammino in cordata. 
E nella certezza che nulla accade per caso, dentro quell' io sono tu come mi fai.  

Egr. direttore,
La ringrazio per l’opportunità che offre a me e alla mia famiglia di ringraziare tutti coloro che ci hanno testimoniato umana vicinanza, in questo momento di dolore indicibile e ineliminabile, per la separazione dal nostro amatissimo ultimo figlio Andrea. E’ infatti per noi impossibile raggiungere ognuno personalmente, come desidereremmo. In questi giorni, misteriosamente segnati per noi non solo dal dolore, ma anche da un’infinita dolcezza, non siamo mai stati soli: né di giorno né di notte, in ospedale prima, a casa poi. Abbiamo percepito di appartenere a un popolo, che vive nel nostro Paese, che ancora riconosce il Mistero di cui è fatta la vita di ogni persona, che “sente” irragionevole considerare la morte come la fine di tutto e percepisce la decisività per la vita della presenza di Dio.
È stato così più facile, per noi, credere alle parole che don Julian Carron ci ha detto nell’omelia: “Non guarderemmo adesso veramente Andrea, se non guardassimo alla totalità della sua vita. E qual è la totalità della sua vita? Non c’è un Andrea che non sia Andrea battezzato e cresimato cioè, un Andrea che è stato legato, per sempre, a Cristo! Non c’è, non c’è un’altra modalità, non c’è un’altra realtà, non c’è un’altra storia, non c’è un altro mondo, non c’è un’altra cosa che può far fuori il fatto che Cristo è risorto. Possiamo sentirlo vicino o lontano, possiamo far prevalere adesso il dolore e lo sconforto, ma la nostra fede non è un sentimento, la nostra fede è una conoscenza nuova”.
In questi giorni stiamo scoprendo un Andrea sconosciuto, con un desiderio infinito, una passione per le cose e le persone, sorprendenti per un bambino della sua età. Sono arrivate persone che lo avevano conosciuto, magari per poche ore o giorni.
Così anche noi abbiamo dovuto riconoscere (ri-conoscere) il fatto: Cristo l’ha afferrato per compiere il desiderio più segreto, più nascosto del suo cuore, il misterioso cuore del nostro amatissimo Andrea, che certamente riabbracceremo, anche se non sappiamo quando. 
Non è vero che “Dio dà e Dio toglie”, Dio ci ha donato Andrea e ha poi compiuto il suo desiderio più vero, ciò che abbiamo visto e udito in questi giorni ce lo dimostra.
Per questo vogliamo ringraziare tutti.

Felice e Daniela, Federica, Chiara e Pietro Achilli


Thursday, July 02, 2009

TONIGHT I'LL BE STAYING HERE WITH YOU


Aveva trascinato con sé sul palco quella cosa nera sera dopo sera, poi, finalmente, vi si era avvicinato.
Una luce fioca ad illuminarla, le prime note che fuoriuscivano da essa e dopo pochi istanti si era capito. "My God, it's a piano", aveva pure esclamato qualcuno. No quello non era un piano e quella non era la sua prima performance in quel modo, in ventiquattro anni di esibizioni in Inghilterra. Era un'altra cosa, molto di più, un viaggio in un universo surreale, forse. La rivincita di Giuda, l'ennesima maschera di quell'uomo, troppo abituato a tirare dritto per la sua strada, solo contro tutti, fiero nella sua corsa dietro al desiderio del destino di se stesso.
Poche note, un inizio quasi timido, poi le mani sempre più veloci lungo la tastiera; la voce inizialmente incerta, poi più sicura, sempre più fiera. Il pubblico non grida più "Giuda!", questa volta é impazzito, cerca di corrergli dietro felice, ma non ce la fa, non ce la può fare, lui corre più veloce, troppo veloce questa volta.
E' partito seduto, poi si aggiusta lo sgabello, le mani via via sempre più impazzite, poi non ce la fa più e si alza in piedi.
Una chitarra, quella meravigliosa di G.E., a stargli dietro, e lui sempre più pazzo, un po' Charlie Chaplin, un po' Jerry Lee Lewis.
Disease Of Conceit, questa sera, é la più grande canzone rock di tutti i tempi, più grande ancora di Like A Rolling Stone.



Poco prima li aveva già condotti tutti per mano fino al paradiso.
"The crowd went bananas", aveva detto quel tale, che poi si era arreso anche lui alla follia,  quando aveva visto il piano. Si era arreso come tutti gli altri, fatti una cosa sola col cantante, lassù sul palco.
I Want You, quella sera, era la canzone del desiderio del cuore corrisposto. Smorfie, sorrisi e poi sempre più allegria, le dita a scorrere matte sulla tastiera della chitarra, le ginocchia piegate come solo a modo suo, le labbra sull'armonica, per terminare una canzone che non riusciva e non doveva mai finire.  
Il pubblico finalmente é con sé, questa sera sì, questa sera che era la musica a suonare attraverso lui, l'incantesimo riuscito, l'alchimia compiuta; ci si trova tutti lassù, dentro territori inesplorati, possiamo gettare le maschere e le difese, finalmente. Siamo tutti un cuore e un'anima sola.



Ed ora, un sacco di tempo dopo, eccoti ancora lì, dietro una pianola che ora sembra non attirare più nessuno, sempre in corsa sul treno sbuffante dei tuoi desideri.
Nessuno freme e trepida adesso, come quella sera all'Hammersmith di Londra, in quel freddo inverno del 1990.
Eppure siamo ancora lì, sbuffanti anche noi, arrabbiati e scontrosi perché tu ci hai abituati così, con la tua assurda abitudine a desiderare sempre qualcosa di troppo grande rispetto a ciò che da soli siamo capaci di ottenere.
Difficilmente la première di Jolene, ieri sera nel Wisconsin, sarà stata anche solo minimamente paragonabile alla Disease Of Conceit di quella sera.
Ma noi, in un modo o nell'altro, finiremo per essere sempre lì con te.
Desiderosi di cogliere l'ultimo  sbuffo d'assoluto sullo slow train di Bob Dylan.
Ancora per una sera, 
questa volta ancora.

Note:
Post liberamente ispirato alla nostalgia,
alla recensione di Clinton Heylen, del concerto di Bob Dylan all'Hammersmith Odeon di Londra, l'8 febbraio di un ormai lontano 1990,
ed al mio inguaribile e neverending love per Bob.