Monday, July 06, 2009

IO SONO TU CHE MI FAI


"Tutto concorre al bene per coloro che amano Dio", questa frase di Paolo indica forse l'unica condizione che rende qualsiasi tentativo umano, non violento né artificioso, ma fruttuoso di conoscenza e di bene.
Tutto può essere misteriosamente positivo quando ci si accosta all'uomo, quando ci accostiamo ad un altro, ricordandoci del desiderio d'infinito che costituisce la natura più profonda ed intangibile del nostro io"

(Felice Achilli)



Conservo nella mente pochi istanti, come una breve serie di fotogrammi messi assieme. Ed un rumore, quello dell'urto.
Una domenica sera d'agosto, di qualche anno fa. Sto uscendo da McDonalds con la mia famiglia; di lì a breve, dopo averla accompagnata a casa, me ne andrò a far la notte in ospedale. Prima di cena ci eravamo fermati tutti insieme in chiesa, davanti all'altare della Madonna, dopo la messa nella nostra parrocchia. Un luogo caro a tutti noi, dove riporre le ansie, le brevi gioie, dove affidare la nostra vita insieme.
Pochi attimi, in cui non fai neppure in tempo a renderti conto di ciò che sta per accadere. Mio figlio Marco attraversa la strada, vedo una macchina arrivare ed io non faccio in tempo a fermarlo. Non lo vedo più e sento solo un rumore, il suono dell'urto di un corpo contro un'auto. In quell'istante, rimasto fisso per sempre nella mia memoria, vedo mio figlio già in un altro luogo, oppure ancora tra noi, ma come un pesce rosso, attaccato a mille tubi in un reparto di rianimazione.
Un istante lungo, interminabile, quasi eterno, rotto come d'incanto, ad un certo punto, da un pianto, il pianto di mio figlio.
Mi precipito in mezzo alla strada: Marco sta bene. Andremo in pronto soccorso, ma dopo poche ore saremo tutti insieme a casa: se l'é cavata solo con pochi graffi.
Quel momento della vita si stampa in eterno nella mia mente e diviene cemento tra di noi, specie quando ci fermiamo ancora a riporre i pensieri del nostro cuore davanti all'altare di quella Madonna, spesso - ora come allora - tutti insieme, alla fine della messa domenicale. 
Ma, soprattutto, ciò che si fissa per sempre nel mio cuore da quel giorno é la certezza che i tuoi figli, cioé ciò a cui tieni di più nella vita, coloro per i quali saresti disposto a dare la vita senza pensarci su neppure per un attimo, non sono tuoi.  Cioé sono tuoi e non sono tuoi, perché sono dentro il disegno di un Altro capace di un amore infinitamente più grande del tuo.
Li hai generati tu, ma non li hai fatti tu: "Io sono Tu che mi fai", ci ripete spesso padre Aldo.


Qualche giorno fa un camion investe in pieno un bambino, Andrea Achilli, 12 anni e se lo porta via. Il quarto, l'ultimo dei quattro figli di Felice Achilli, primario cardiologo all'ospedale di Lecco. I soccorsi tempestivi, la corsa all'ospedale, l'intervento chirurgico d'urgenza, ma Andrea non ce la fa. Andrea parte per il cielo. Marco invece é ancora qui con me.  Destini diversi, per motivi sconosciuti e misteriosi. Conosco il dottor Achilli come collega, come presidente per molti anni dell'associazione Medicina e Persona e ne ho sempre apprezzato la capacità di saper trasmettere a tanti altri una modalità nuova, diversa, di far fronte ad una professione così impegnativa come quella di noi medici.
Felice ha scritto una lettera al giornale di Lecco, per ringraziare chi gli é stato vicino e per dare testimonianza di ciò che gli é accaduto.
La trascrivo qui, con una gratitudine in cuore senza limiti davanti a maestri così.
Nella consolazione dello sperimentare sempre di più, ogni giorno, un cammino in cordata. 
E nella certezza che nulla accade per caso, dentro quell' io sono tu come mi fai.  

Egr. direttore,
La ringrazio per l’opportunità che offre a me e alla mia famiglia di ringraziare tutti coloro che ci hanno testimoniato umana vicinanza, in questo momento di dolore indicibile e ineliminabile, per la separazione dal nostro amatissimo ultimo figlio Andrea. E’ infatti per noi impossibile raggiungere ognuno personalmente, come desidereremmo. In questi giorni, misteriosamente segnati per noi non solo dal dolore, ma anche da un’infinita dolcezza, non siamo mai stati soli: né di giorno né di notte, in ospedale prima, a casa poi. Abbiamo percepito di appartenere a un popolo, che vive nel nostro Paese, che ancora riconosce il Mistero di cui è fatta la vita di ogni persona, che “sente” irragionevole considerare la morte come la fine di tutto e percepisce la decisività per la vita della presenza di Dio.
È stato così più facile, per noi, credere alle parole che don Julian Carron ci ha detto nell’omelia: “Non guarderemmo adesso veramente Andrea, se non guardassimo alla totalità della sua vita. E qual è la totalità della sua vita? Non c’è un Andrea che non sia Andrea battezzato e cresimato cioè, un Andrea che è stato legato, per sempre, a Cristo! Non c’è, non c’è un’altra modalità, non c’è un’altra realtà, non c’è un’altra storia, non c’è un altro mondo, non c’è un’altra cosa che può far fuori il fatto che Cristo è risorto. Possiamo sentirlo vicino o lontano, possiamo far prevalere adesso il dolore e lo sconforto, ma la nostra fede non è un sentimento, la nostra fede è una conoscenza nuova”.
In questi giorni stiamo scoprendo un Andrea sconosciuto, con un desiderio infinito, una passione per le cose e le persone, sorprendenti per un bambino della sua età. Sono arrivate persone che lo avevano conosciuto, magari per poche ore o giorni.
Così anche noi abbiamo dovuto riconoscere (ri-conoscere) il fatto: Cristo l’ha afferrato per compiere il desiderio più segreto, più nascosto del suo cuore, il misterioso cuore del nostro amatissimo Andrea, che certamente riabbracceremo, anche se non sappiamo quando. 
Non è vero che “Dio dà e Dio toglie”, Dio ci ha donato Andrea e ha poi compiuto il suo desiderio più vero, ciò che abbiamo visto e udito in questi giorni ce lo dimostra.
Per questo vogliamo ringraziare tutti.

Felice e Daniela, Federica, Chiara e Pietro Achilli


5 comments:

Maurizio Pratelli said...

Rimane il dolore più grande, indicibile mi sembra proprio il termine giusto, che si possa provare. un abbraccio, caro doc

Yanez said...

un dolore coì grande non si può superare, e forse non si deve.
Lo si accoglie e lo si cura, come una madre col suo figliolo, perchè col tempo, non svanisce, si evolve e tanto più grande esso è, tanto maggiore sarà la gioia nel vederlo trasformarsi quando un'altra dimensione ci chiamerà...

factum said...

OT
Non posso dire che non ho pensato a e nel mio ultimo post

factum said...

Son tornato per rileggere.
A Torino pochi giorni fa un bambino non ce l'ha fatta, ecco cosa ci ha scritto un amico sacerdote.


Cari amici,

martedì 30 giugno alle ore 17 il cuore del piccolo Enrico ha cessato di battere. Ma questo è solo l'apparenza. In realtà ha iniziato a battere con il cuore di Gesù. Ora vi ringrazia tutti per le tante preghiere che in tutte le nostre famiglie si sono fatte per lui. E vi dice: "Grazie perchè mi avete dato la gioia di vivere, grazie perchè avete sostenuto i miei genitori Riccardo e Cristina. Gesù mi ha fatto un miracolo molto più grande: quello di poter vivere con Lui che avevo già conosciuto, ma sapeste quanto è più bello vederlo da vicino". Don Primo

Fausto Leali said...

Il dolore é un mistero grande, ma Cristo l'ha preso su di sé.

grazie a chi é passato da qui e per ciò che ha scritto.