Che voglia di scappare da tutto, che ti aveva assalito all'improvviso.
Fuggire da pazienti ed elettrocardiogrammi, via lontano, da tutto il male, quello intorno, con la sua richiesta incessante che ci fosse qualcuno che se ne prendesse cura e quello dentro sé, sempre troppo difficile da sostenere.
Ti era venuta voglia di scappare via, in caduta libera e correre libero, dentro un prato pieno di fiori, sbocciati su piante nate da semi marciti tra le lacrime e cresciute dentro una terra ricoperta solo da brina e notti senza stelle. Correre fino a non sentire più le gambe dal dolore e poi arrivare giù, giù, fino al mare, per sedersi un po', affaticato e oppresso, finché non fosse tramontato il sole, finché la tristezza non se ne fosse andata via tutta per davvero, imbarcata per sempre per lidi lontani, sulla prima barca giunta all'alba del nuovo giorno.
Eppure ti ricordavi che era già successo. Ricordavi che ce l'avevi fatta.
Tirar su quelle povere ossa al mattino e non sentirti già così stanco da far sembrare impossibile il tirar sera.
Le disunità e le lacerazioni dell'anima possono anche far questo: distruggere il corpo come se avesse lavorato tutto il giorno in un cantiere. La fatica e l'ira, gli scatti d'impazienza, la risposta infedele al Volto buono che ti viene incontro dentro l'imprevisto dell'attimo presente, tutto ti aveva disteso a terra, stordito, reso confuso e dolorante. Ma gli incidenti di percorso, le asperità del cammino, tutto ciò, lo sapevi, non poteva definirti appieno. Anche se ti aveva ridotto così, sanguinante, mentre continuavi a ripeterti "non é nulla, it's life and life only", la vita soltanto, in fondo.
Ma il giorno prima, sulle scogliere aguzze del tuo io, avevi provato a ricostruire tutto quanto. Anzi, non avevi fatto nulla, in fondo, ti eri messo solo da parte, lasciando che un Altro rimettesse su casa dalle macerie frutto dell'agire del tuo io sulle circostanze.
Era stato così, ti eri messo sotto, di buzzo buono, a ricostruire ogni rapporto, libero finalmente dall'orgoglio della stima di te stesso; libero cioé vuoto e quindi pronto a lasciarti riempire da qualcosa o da qualcuno: volti e braccia, sguardi e pensieri, idee e desiderio d'ascolto di chi ti si parava innanzi di volta in volta.
Era pure arrivato l'sms di quell'amica, piombato addosso come un macigno quasi inopportuno, ma liberatorio, invece, proprio davanti a quel paziente, in quell'ambulatorio, nel momento della fatica e del cedimento: "il mio prossimo paziente, una fatica immensa.. mi viene in mente padre Aldo: mi inginocchio davanti ai miei malati perché sono Cristo. Veni Sancte Spiritus. E' tutto quello che posso offrire nella mia poca umanità! Che grazia oggi averlo sperimentato!".
Per quello al mattino di quel giorno ce l'avevi fatta.
Per quello ti eri alzato finalmente riposato.
Caduta l'ideologia di te stesso - quella falsa stima basata sui successi, ma così rapida a crollare sempre, inesorabile, davanti ai fallimenti - era rimasta in piedi solo la persona dentro la sua libertà.
Già, la libertà, che bella che era, ora che cominciavi a provarne il gusto. Libertà dal giudizio su di te e sugli altri, libertà nel saperti mettere finalmente nelle mani di un Altro più grande di tutto il tuo agire. Era stato necessario che diventassi nudo, invisibile, una pietra rotolante, dura roccia divenuta finalmente fango, capace di farsi spalmare, di diventare quella scultura che l'Artista aveva in mente sin da principio, sin da quando contemplava assorto la massa informe di marmo grezzo, pronto ad essere colpito dallo scalpello.
Le disunità e le lacerazioni dell'anima possono anche far questo: distruggere il corpo come se avesse lavorato tutto il giorno in un cantiere. La fatica e l'ira, gli scatti d'impazienza, la risposta infedele al Volto buono che ti viene incontro dentro l'imprevisto dell'attimo presente, tutto ti aveva disteso a terra, stordito, reso confuso e dolorante. Ma gli incidenti di percorso, le asperità del cammino, tutto ciò, lo sapevi, non poteva definirti appieno. Anche se ti aveva ridotto così, sanguinante, mentre continuavi a ripeterti "non é nulla, it's life and life only", la vita soltanto, in fondo.
Ma il giorno prima, sulle scogliere aguzze del tuo io, avevi provato a ricostruire tutto quanto. Anzi, non avevi fatto nulla, in fondo, ti eri messo solo da parte, lasciando che un Altro rimettesse su casa dalle macerie frutto dell'agire del tuo io sulle circostanze.
Era stato così, ti eri messo sotto, di buzzo buono, a ricostruire ogni rapporto, libero finalmente dall'orgoglio della stima di te stesso; libero cioé vuoto e quindi pronto a lasciarti riempire da qualcosa o da qualcuno: volti e braccia, sguardi e pensieri, idee e desiderio d'ascolto di chi ti si parava innanzi di volta in volta.
Era pure arrivato l'sms di quell'amica, piombato addosso come un macigno quasi inopportuno, ma liberatorio, invece, proprio davanti a quel paziente, in quell'ambulatorio, nel momento della fatica e del cedimento: "il mio prossimo paziente, una fatica immensa.. mi viene in mente padre Aldo: mi inginocchio davanti ai miei malati perché sono Cristo. Veni Sancte Spiritus. E' tutto quello che posso offrire nella mia poca umanità! Che grazia oggi averlo sperimentato!".
Per quello al mattino di quel giorno ce l'avevi fatta.
Per quello ti eri alzato finalmente riposato.
Caduta l'ideologia di te stesso - quella falsa stima basata sui successi, ma così rapida a crollare sempre, inesorabile, davanti ai fallimenti - era rimasta in piedi solo la persona dentro la sua libertà.
Già, la libertà, che bella che era, ora che cominciavi a provarne il gusto. Libertà dal giudizio su di te e sugli altri, libertà nel saperti mettere finalmente nelle mani di un Altro più grande di tutto il tuo agire. Era stato necessario che diventassi nudo, invisibile, una pietra rotolante, dura roccia divenuta finalmente fango, capace di farsi spalmare, di diventare quella scultura che l'Artista aveva in mente sin da principio, sin da quando contemplava assorto la massa informe di marmo grezzo, pronto ad essere colpito dallo scalpello.
Allora, alla fine della corsa, adesso potevi anche tornare.
Non eri un angelo caduto, in fondo, perché quella caduta libera ti aveva reso libero per davvero. Potevi ricominciare un'altra volta, in quella vita insostenibilmente rock'n'roll. E riprendere su di te il nuovo dolore e la nuova tristezza del giorno che sarebbe venuto. Ma pronto e preparato, questa volta, perché reso capace da Qualcuno di prendertene finalmente cura, l'alba di un nuovo giorno in cui Quel dolore l'avevi riconosciuto uguale al tuo.
Ti era tornata voglia di rischiare, di smettere di difenderti, perché era vero, come si era sentito rispondere Enzo quella volta, che ti stavi comportando come se tutto dipendesse dalle tue mani e che stavi andando avanti cercando quello che meno ti feriva, che ti mettesse a posto senza rischiare (1).
No, non poteva durare all'infinito, l'alba del giorno nuovo adesso era arrivata, quella che un Altro aveva già preso su di sé.
Lui, l'Abbandonato, l'Uomo dei dolori, Colui che aveva già sciolto in sé anche tutti i nostri, una volta per sempre, alle ore tre di un giorno di tanti anni fa.
Note:
(1) Enzo é Enzo Piccinini e la questione del difendersi, del rischiare e della libertà la raccontò magistralmente un giorno : "(...) ero lì in corridoio, Giussani si avvicina e dice: «Come va?». Io dico: «Non c’è male». Lui si ferma: «Come, non c’è male? Cosa c’è?». Dico: «No, stupidaggini. Dopo quello che abbiamo detto prima lì all’incontro, queste sono stupidaggini. Dai, andiamo, non importa». Lui si è fermato di colpo, era stanchissimo, si è fermato di colpo (in corridoio - eh! - passava la gente): «Ma scusami, Enzo, con tutte le stupidaggini che ci diciamo, quando c’è una cosa che conta davvero non ne parliamo?». Io rimango inchiodato e dico: «Scusami, guarda, non volevo, ma m’è successo questo e mi do un po’ di colpe, insomma, non riesco più a dormire. Cioè, dormo un’ora, poi mi viene in mente questa cosa. E anche mia moglie è preoccupata, perché dopo un’ora che dormo mi alzo su, e va un po’ avanti così». Lui mi guarda e mi dà una risposta che era la più impensata in assoluto, non potevo neanche immaginarla. Mi guarda e mi fa: «Ma Enzo, proprio tu», ma con una faccia delusa: «Proprio tu ti comporti come se Cristo non ci fosse?! È come se tutto dipendesse dalle tue mani: ma come credi di poter andare avanti così? Non farai mai più niente di quello che fai, farai come tutti: cercare quello che meno ti ferisce, che ti mette a posto. Non rischierai più». Poi fa: «Comunque, in ogni caso, io ne voglio riparlare. Puoi venire appena puoi?». Figurati! Due giorni dopo ero su. Così, ci vediamo a pranzo e dice: «Allora, racconta di nuovo». Allora ho accennato, però gli ho detto: «Senti, Giussani, guarda io non voglio rubarti del tempo, perché poi adesso ho capito. Guarda, da me c’è una cappellina e adesso io prima di andare in sala operatoria vado lì e dico una preghiera e le cose si rimettono insieme. Sono più tranquillo». Lui scatta: «Enzo, ma che pregare e pregare! Il problema non è pregare, è che tu non sai offrire. Il tuo problema è che non sai offrire, e offrire significa che la realtà non è una cosa che hai in mano tu, non è tua, e che tutto quel che si fa è come se avesse dentro la domanda che il Signore, padrone di questa realtà, si riveli, perché è così che si vive, e tu, guarda - te l’ho detto, ma te lo ridico un’altra volta - smetterai di fare quel che fai e avrai paura di rischiare»
(tratto da "Tu sol pensando o ideal sei vero")
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