Sunday, February 25, 2007

IL PAESE DEL SORRISO


Ripensare Bangkok quasi vent'anni dopo é immergersi con la mente in un viaggio d'altri tempi. Quando arrivai lì la globalizzazione era un termine ignoto e il web riguardava solo un ristretto gruppo di informatici americani. Allora per raccogliere informazioni su un paese lontano andavi in libreria, oppure da quell'amico fortunato che aveva girato il mondo ed era sempre pronto a farti vedere le diapositive dei suoi viaggi.
Oggi é tutto diverso ed un viaggio virtuale, fatto di siti internet o dvd guardati su schermi giganti con home theatre ed effetti surround, può dare piacevoli sensazioni anche senza salire fisicamente su un aereo e recarsi di persona in terre lontane.
Certo, rispetto ad un viaggio vero, non é la stessa cosa neppure ora, ma forse una volta arrivare in un paese straniero così distante aveva un po' più di fascino e mistero di quanto ne possa avere adesso.

Scesi dall'aereo, a novembre inoltrato, e la prima sensazione fu quella di un caldo strano, improvviso ed avvolgente, ma non sgradito, primo elemento di novità qual'era; così via la giacca ed il maglione, a dispetto dell'orario serale e poi fuori, a recuperare i bagagli e a superare la prima fila di tassisti, chiassosi e sorridenti, a gara per acchiapparti e portarti chissà dove.
"Taxi !", "Taxi, sir?". "No, thank you", via di corsa, a raggiungere quelli un po' più in là e più tranquilli, perché poi di un taxi avevo pur bisogno per uscire da lì.
E poco dopo eccomi in auto, sulla prima freeway che porta verso il centro, a guardar fuori da un finestrino un mondo sconosciuto, pieno di luci e di scritte incomprensibili.
La prima impressione di Bangkok é quella - affascinante - dello sbarco in un luogo ignoto, allegro e rumoroso, ma tanto bizzarro ed inconsueto quanto quello degli scenari esterni di Blade Runner.
"Hotel Asia, please" - mi rivolgo così al tassista di turno - e dire l'indirizzo é inutile: quelli di Bangkok non conoscono le strade e non sanno neppure leggere le cartine; oggi mi viene da pensare che non siano neppure in grado di gestire un navigatore; però allora sapevano a memoria l'ubicazione di ogni albergo e forse anche adesso sono rimasti uguali.
Così imparai subito la prima regola per girare da queste parti, dove affittare un auto e guidarla da soli é esercizio difficile quanto pericoloso: quando devi andare in un posto ti conviene chiamare un taxi, guardare il nome dell'albergo più vicino e farti portare lì.

Arrivo davanti al mio hotel e la seconda sensazione che subito mi assale sono gli odori.
Strani, dolciastri, talvolta sgradevoli, ma altre volte incredibilmente affascinanti, al punto da attrarre in qualche modo gli altri sensi, quasi che la vista e l'udito e tutto l'immaginario che li accompagna possano andare dietro all'olfatto, un senso che fino a quel momento avevo associato nella mia mente solo agli animali. Negli anni a venire quegli odori rimarranno impressi, anche più di alcune immagini. Immagini però che, pur sopite negli abissi della memoria, riaffiorano all'improvviso, insieme agli attimi di vita che le hanno accompagnate, quando quegli stessi odori fanno capolino di nuovo, magari passeggiando nella chinatown della mia città.
Non é una novità : ci aveva già pensato Proust a descrivere la magia di momenti così, nel suo "Du coté de chez Swann", ma sperimentare di persona qualcosa che prima consideravi solo una bella intuizione letteraria porta con sé un piacevole stupore.

Dopo alcuni istanti sono in albergo. L'ambiente é bellissimo, pieno di comfort, sembra fatto apposta per stupire d'efficienza gli occidentali, ma non c'entra niente con la città e allora in un attimo sono già fuori, a mescolarmi con la vita nelle strade, in una pretesa d'anonimato che qui non può sussistere perché i tratti del mio volto, diversi da quelli di tutti gli altri, m'impediscono di osservare tutto di nascosto. Così mi fermano spesso, continuamente - qui cercano di venderti tutto in qualsiasi momento - ma non importa perché c'é sempre il sorriso dei thailandesi, e allora nulla é fastidioso, anzi, basta rispondere con semplicità e stare al gioco.

La sera Bangkok, già così piena di vita di giorno, si trasforma ancor di più.
Molti si accomodano per terra e cenano tranquilli; compaiono ristoranti improvvisati, fatti di un carretto con sopra stoviglie e fornelli in quantità. C'é tanta povertà ma é anche un modo di vivere la strada e di stare assieme. Passeggio tra la gente e continuo a guardarmi intorno: l'insieme mi colpisce, ma l'occhio prefererisce soffermarsi sui particolari e, ogni volta, appagato, sembra quasi non volersi distaccare più da quel qualcosa di nuovo che per l'ennesima volta lo ha attirato. E' un volto,un gesto inconsueto, frasi e toni di voce sconosciuti; oppure oggetti che sulle prime non riesco ad identificare, immagini da scoprire, da interpretare.

Mi soffermo su uno strano carretto, con una sorta di rete appoggiata sopra in verticale; piccole sagome scure in fila vi sono appese sopra e la luce serale, che filtra attraverso gli spazi liberi, crea una strana sorta di effetto speciale. Sono solo pochi attimi ed il mistero é svelato, quando qualche passante si ferma a comperare quel che non é altro che pesce grigliato pronto per la cena.
Mi sembra abbastanza per questa sera e credo di aver bisogno di un pasto un po' più "normale", così rientro in albergo.
Il flashback successivo della mia memoria é quello di un tempio, il Wat Phra Keo, attiguo al palazzo reale.
L'ho già visitato nei giorni precedenti e tutto quell'insieme d'oro, pietre preziose, statue raffiguranti personaggi strani in pose danzanti, budda dai tratti sereni ed austeri, ha già colpito la mia mente, abituata a scenari occidentali completamente differenti.
Decido però di dedicare ancora un po' di tempo a questo luogo e vi torno nel tardo pomeriggio, acquistando uno degli ultimi biglietti d'ingresso prima della chiusura serale.
Così mi ritrovo quasi da solo, senza più folle di turisti intruppati intorno a guide locali, circondato solo da qualche fedele assorto in preghiera. E' in questi momenti che la prorompente bellezza del tempio passa d'improvviso in secondo piano, lasciando affiorare suoni che il frastuono della gente prima soffocava. Sono i tintinnii dei campanelli appesi lassù, in cima ad ogni stupa e punta di pagoda. Mi fermo quasi incantato e improvvisamente mi sento meno estraneo, più partecipe di quel mondo che non mi appartiene e percepisco il fascino di una serenità talvolta sconosciuta a noi occidentali. Suggestione, ma anche esigenza di spiritualità: molti negli anni settanta giungevano in India o sino a qui alla ricerca di qualcosa di nuovo. Io però non percepisco il contrasto, riesco in qualche modo a pregare anch'io e non sento soluzione di continuità tra la mia fede e l'animo religioso di questi luoghi e di questo popolo.


Un'altra immagine riaffiora ed é quella di un fast food, vicino a un grande albergo, enorme e con stand che offrono cibo di ogni tipo, quasi fosse un'improvvisata fiera alimentare.
Dalla pizza agli involtini primavera, dai menu thailandesi a vere e proprie stranezze, come le bistecche di cobra che però nessuno, evidentemente, si azzarda a comperare.
Ai tavoli c'é gente di ogni tipo, compresi, anche qui, i lavoratori in pausa pranzo.
Il ricordo più curioso però é poco dopo la cassa, dove ognuno prende le posate. Io, dovendo scegliere, non ho dubbi nel prendere la forchetta, ma poi devo capitolare di fronte ad un tedesco che, capelli biondi ed occhi azzurri, mangia davanti a me maneggiando impeccabilmente un paio di bacchette cinesi...

Ultimo ricordo e sono da Asia Book, una delle librerie più grandi della città.
Mi soffermo su uno scaffale con numerose pubblicazioni riguardanti il cosiddetto "cultural shock". Non so di cosa si tratti, ma sembra che molti occidentali lo subiscano quando si trovano a dover stare a lungo da queste parti. Mi tornano in mente le prime immagini della città, su quel taxi filante verso il centro, e mi sembra di capire di cosa si tratti, ma certo é molto di più: un altro modo di pensare, di comunicare, altre radici culturali.
Sfoglio altri libri, mi capita in mano "The stones cry out", di Molyda Szymusiak.
Narra della Cambogia, un paese sfortunato, di cui si parla poco nel mio paese.
Eppure i fatti tragici che lo riguardano non sono poi così lontani.
L'agire di un criminale, Pol Pot, e le conseguenze del suo modello di comunismo rurale, che nella seconda metà dei settanta produssero un genocidio spaventoso, colpendo in toto la popolazione del paese e cancellando completamente tutta la classe dirigente e chiunque avesse un briciolo di cultura. Non so nulla, allora, di quel popolo ed acquisto quel libro, testimonianza drammatica di una sopravvissuta.
Mi capiterà in seguito di trovare anche l'edizione italiana, tradotta da Natalia Ginzburg (1); lo rileggerò e non sarà esercizio inutile : col tempo ho imparato a conoscere meglio la storia, fuori dagli schemi di certa cultura, che giunge a ritenere alcuni fatti tragici più importanti - e quindi sempre degni di maggior rilievo - rispetto ad altri.


La rivista Città Nuova pubblica in questi giorni un bell'articolo di Michele Zanzucchi (2), che fotografa l'attuale situazione del paese. In fondo, penso, non é poi così cambiata e, soprattutto, la globalizzazione non ha aiutato questa nazione ad uscire fuori dai propri limiti.
Limiti fatti di contraddizioni.
Come la voglia di democrazia unita però a continui colpi di stato dei militari, che intervengono ogni volta che il tranquillo regime di pacifica corruzione comincia a tagliarli troppo fuori.
Desiderio di spiritualità, che cogli nel monaco buddista che incroci per strada al mattino, sempre nutrito dalla popolazione, unito alla disinvoltura con cui il paese continua ad accettare prostituzione e traffico di droga come importanti componenti del bilancio economico.
Ricchezza ostentata negli alberghi, a disposizione di turisti occidentali sempre meno critici, a fianco della presenza di vasti strati della popolazione ancora vegetanti negli slums della periferia e con poche speranze di elevarsi ad un rango di maggiore dignità.
Fondamentalmente un paese povero, ma con una dolcezza tutta particolare, che forse noi tracotanti ed esuberanti occidentali dovremmo imparare a conoscere e ad usare, almeno qualche volta.
E' un po' quella che descrive Khru Prateep, ex senatrice, quando conclude il suo incontro con Zanzucchi e parla della povertà del suo paese : "Penso che si debba ridefinire la categoria di poveri. Non basta più il solo criterio della ricchezza, dei beni posseduti. Nella povertà é la sofferenza che conta, i pericoli che si corrono, la tranquillità, l'infelicità insomma". E alla domanda, ma allora qual é la qualità principale dei thailandesi, risponde: "La pazienza. Senza di essa sarebbe saltato tutto per aria da parecchio tempo".



Note:
(1) Molyda Szymusiak - Il racconto di Peuw bambina cambogiana - ed. Einaudi
(2) Michele Zanzucchi - Chiaroscuri, più chiari che scuri - reportage dalla Thailandia - Città Nuova, n° 3/2007

Sunday, February 18, 2007

EMOTIONALLY YOURS


Mons. Luigi Giussani,
15 ottobre 1922 - 22 febbraio 2005

"Di monsignor Giussani ho un ricordo che non si cancellerà mai. Avevo avuto con lui un colloquio personale poco dopo quello storico incontro dei Movimenti con il Papa in piazza san Pietro, la vigilia di Pentecoste del 1998. E' una delle poche volte che ho avuto l'impressione di incontrare un santo, una santità conquistata con non poche sofferenze. (...) quell'incontro era stato per tutti noi, come monsignor Giussani ha poi scritto in una lettera alla sua Fraternità, "la giornata più grande della nostra storia". E aggiungeva : "L'ho detto anche a Chiara e a Kiko, che avevo di fianco in piazza san Pietro: come si fa, in queste occasioni, a non gridare la nostra unità? La nostra responsabilità é per l'unità, fino a una valorizzazione anche della minima cosa buona che c'é nell'altro". (...) Nel cuore mi resta un'immensa gratitudine per la sua vita spesa senza risparmio a servizio di un carisma che ha immesso nella Chiesa una nuova corrente di intensa vita spirituale, spalancando a migliaia di uomini e donne del mondo l'incontro personale con Gesù e suscitando tante opere concrete in risposta alle attese del nostro tempo. Ora la mia, nostra preghiera é non solo per lui, ma per la sua Opera, nella certezza che porterà nuovi abbondantissimi frutti dello Spirito"
(Chiara Lubich)

Caro don Giuss,
non ti ho conosciuto di persona, ma mi sono affezionato ai tuoi.
Ed è stato come incontrare te.
Così oggi vedo loro, vivo l'amicizia con ciascuno ed é aver davanti te.
Li guardo e ti penso e allo stesso tempo colgo uno sguardo, dolcezza e passione unite insieme.
Doveva essere così, credo, quando incontravi qualcuno. Avevi a cuore il Destino e questo non poteva che essere coinvolgente: nulla dell’umanità di chi ti stava di fronte poteva passare inosservato, perché dietro coglievi il di più.
Allora non vi era spazio per l’indifferenza e molti, colti da quell'abbraccio, non se ne sono andati più.
Come nella canzone di Chieffo "il capitano", tanti dei tuoi hanno capito che “il punto non é guardare il capitano, ma guardare il mare, cioé guardare attraverso la persona del capitano la direzione e l’orizzonte”. E per me, incontrare i tuoi é stato questo: salire su una barca di marinai forti, capaci di issare le vele, titubanti a volte - perché quando salpi dal porto non sai dove troverai la tempesta - ma insicuri sulla rotta mai e sempre certi dell’approdo finale.

Perché lo sguardo verso il mare, ai tuoi, l'avevi insegnato bene.
Ed oggi, nel ricordo della tua partenza, ripenso alle parole di Carron, che descrisse il TUO, all'indomani dell'ultimo giorno quaggiù:

" (...) E' stato uno sguardo di quelli che segnano. Non lo dimenticherò mai. Lo porterò negli occhi per tutta la vita, lo sguardo che Don Giussani aveva l'ultima volta che era lucidamente cosciente, pochi giorni prima di scendere nella profondità dell'Essere, salendo al Cielo. Uno sguardo che ci ha rivolto, fissando noi che eravamo intorno a lui. Era come se fosse ritornato all'improvviso dall'altra riva per dirci: "Ciao!", prima di un lungo viaggio.
Ci ha fissato uno ad uno con quello sguardo penetrante che ti commuoveva fino al midollo. Quante volte aveva guardato così i suoi. Non solo i suoi, ma chiunque entrava nell'orizzonte della sua vita. (...)
Ecco, uno sguardo da amico. Tutta la commozione e l'intensità dell'esperienza umana sgorgano da lì. Proprio come era accaduto a Zaccheo, a cui Gesù disse: "Scendi dall'albero, perché devo venire a casa tua". E quell'uomo si precipitò giù e corse a casa contento come non era stato mai, trafitto da quello sguardo "umano" di Dio. Per tutta la sua vita l'umanità di Don Giussani ci ha comunicato il cristianesimo come esperienza, ben altra cosa che una serie di istruzioni per l'uso o un discorso corretto e pulito. E' una vita, la Chiesa, un'esperienza umana così affascinante che ti cattura. Questa é la sua bellezza. (...)"

Concedimi, alfine, un ultimo pensiero, che é memoria di quell' "Ave Maria splendore del mattino", fatta di note e parole di chi ha saputo cantar bene il tuo Ideale :
Madre tu che soccorri i figli tuoi,
fa’ in modo che nessuno se ne vada,
sostieni la sua croce e la sua strada,
fa’ che cammini sempre in mezzo a noi

Sono versi di chi ha compreso che la grandezza della tua paternità, alla fine, é stato il mettere tutti nelle braccia di una Madre, “sicurezza della nostra speranza”.
Quella figliolanza, questa sera, é anche un po' più mia.

Thursday, February 15, 2007

IL WEST CHE PREFERISCO


E' difficile non innamorarsi subito dell'ultimo disco di Lucinda Williams.
Ma poi, ascolto dopo ascolto, il fascino cresce sempre più.
"West" sembra il punto d'arrivo di un lungo viaggio, che comincia giù in Louisiana, la terra d'origine della cantante, ed attraversa le radici della buona musica americana.
Un viaggio che parte da lontano, dai primi dischi di Lucinda e soprattutto da quel capolavoro che é stato "Car Wheels On A Gravel Road", passando dal blues del sud e dal country sano di Nashville, da note youngiane ed echi di Dylan e di Paisley Underground.
Rock d'annata insomma, come quello dei tempi migliori.
Eppure West é qualcosa in più.
Una tappa, lucidissima, già pietra miliare nella discografia della cantante, ma anche, in un certo senso, straordinario interiore punto d'arrivo.
Il percorso sin qui é minato dalla sofferenza - l'amore deluso, la perdita della madre - ma non vi è rabbia né orgoglio, solo grande maturità, preludio - forse chissà - ad altri approdi, come capita spesso nella vita.
Lo cogli nei testi, lo senti nelle note delle canzoni del disco, per lo più ballate struggenti, ricche di un pathos fuori dal comune, complice anche quella voce, melodica quanto grintosa, strascicata quanto seducente.
Lo dice la stessa Lucinda, quando afferma: "Questo é stato probabilmente il momento più prolifico della mia vita di scrittrice. Sono passata attraverso tanti cambiamenti - la morte di mia madre ed una relazione tumultuosa finita male - perciò é logico che vi sia dolore e lotta, ma tutto approda in uno sguardo verso il futuro. Sono stanca di sentir dire dalla gente che le mie canzoni sono tristi e oscure. C'é molto di più di tutto questo. Alcuni dovrebbero leggere Flannery O'Connor e coglierne l'aspetto oscuro - e lo é, oscuro e disturbante - ma anche quello filosofico della vita, così come quello comico a volte. Credo che nel disco ci sia tutto questo. E' stato come chiudere un cerchio, essere passati attraverso una metamorfosi".

West é un grande album, imperdibile per chi ama il rock e per chi, forse, comincerà ad amarlo ora.
Sarebbe già disco dell'anno se non fosse che siamo solo a febbraio.
Ma vedremo chi sarà capace di tenergli testa...

Friday, February 09, 2007

STRADE DI CAMPAGNA




Quando, al tramonto, mi capita di percorrere quel tratto di strada che porta, nella bassa milanese, da Abbiategrasso a Motta Visconti, passando per zone di campagna ancora intonse e risparmiate dall'edilizia moderna, rovina di tanti paesaggi antichi, l'animo non può fare a meno di distendersi e cogliere attimi della tranquillità di un tempo.
La frenesia cittadina appare davvero lontana da qui e quando la sagoma dell'abbazia di Morimondo comincia a intravedersi, l'immaginazione si spinge ancor più in là nella memoria, quando, su strade sterrate o di selciato, il primo segno di vita era il profilo di una chiesa laggiù, confusa nella nebbia.

Attraverso Morimondo e non posso non pensare a San Riccardo Pampuri.
La figura del santo é molto nota e venerata da queste parti, ma ora Trivolzio, dove riposa il suo corpo, é divenuto meta di pellegrinaggio anche per molti che vengono da fuori.
Quando passo da qui non riesco a non immaginarlo mentre, medico condotto, si aggirava col suo cavallo o la sua bicicletta tra le cascine del tempo, a dispensare tra i poveri cure, assistenza e spesso anche quel poco denaro che riusciva a guadagnare.
Lo vedo al mattino, in quelle giornate di freddo e di nebbia tipiche della bassa, con il lungo elenco delle visite domiciliari da fare, magari pure di lunedì, quando tutto sembra più pesante e gravoso di quel che sia in realtà.
Insomma, lo penso una situazione di lavoro per certi aspetti simile alla mia, in ospedale, ma non mi pare cupo e rattristato, magari anche arrabbiato col mondo intero, come invece capita a volte a me, proprio il lunedì.
Riccardo, invece, me lo immagino diverso, probabilmente come altri vedevano anche Don Giussani, quando affermava che "la giornata più bella della settimana è il lunedì, perchè il lunedì si riinizia, si riinizia il cammino, il disegno, si riinizia l'attuazione della bellezza, della affezione" (1).

Era felice, Riccardo, al mattino, quando si recava in visita ai malati.
Amava persino scherzare, altro che lunedì mattina : "...se non fosse per la responsabilità professionale, dovrei confessare che il mio lavoro si assomiglia ora assai ad un divertimento. Pensa infatti se tale non si potrebbe, fisicamente, chiamare una tranquilla passeggiata giornaliera per belle strade ombreggiate e comodi sentieri, in mezzo al verde giocondo degli alberi e dei prati e fra i boschi disseminati dei più graziosi e variopinti fiori!". (2)
Eppure quel che sembra un atteggiamento ingenuo e superficiale non é l'abito da mettere addosso al dottor Pampuri. Lo scrupolo professionale, che ne fa un medico competente, é sempre in cima ai suoi pensieri: "....Mi sembra che questo sia un chiaro avvertimento del Signore, perché abbia da raccogliermi una buona volta dalla mia troppa dissipazione, tralasciando ogni occupazione o preoccupazione inutile o superflua ed estranea, per attendere con più attenzione ed amore e tranquillità allo studio ed alla cura dei miei ammalati, poiché essendo questi affidati in modo tutto speciale ed esclusivo a me, per dovere professionale, di questi dovrò rendere conto speciale al Signore". (2)


Parole e atteggiamenti d'altri tempi, da primo novecento ?
Forse, ma in fondo, a pensarci bene, non é affatto così.
Attenzione, amore e tranquillità non sono esigenze superate; fanno solo un po' più contrasto coi tempi moderni, frenetici, fuorvianti e frustranti per tutti, sia medici che pazienti.
Il gioco si é fatto più duro, forse, ma la sostanza é ancora la stessa.
E allora grazie, san Riccardo, perché la tua esperienza é ancora presenza e a me serve per ricominciare.

L'auto prosegue, nel suo percorso lungo questa strada.
Dal lettore cd esce la mia amata musica rock, abituale e fidata compagna di viaggio dei miei pensieri; anche lei oggi appare più tranquilla del solito.
Dietro di me un'altra macchina freme, non mi lascia respiro.
Ma la fretta, almeno per oggi, non mi appartiene più.
Rallento e la lascio passare...


Note:
(1) Luigi Giussani - Dal temperamento un metodo - ed. BUR, 2002
(2) Laura Cioni - Il santo semplice. Vita di San Riccardo Pampuri - ed. Marietti

Tuesday, February 06, 2007

SEMI DI FRATERNITA'

Trabzon, Trebisonda in italiano, Turchia.
Prove generali di fraternità nella chiesa di Santa Maria.
Questo é il luogo dove fu ucciso Don Andrea Santoro, il 5 febbraio dello scorso anno.
Nello stesso luogo, ieri, la Messa a suffragio, uno di quegli eventi che non hanno mai risalto sui media, fatte salve poche eccezioni.
Eppure, qui dentro, l'ordinario - una messa a suffragio, appunto - diviene straordinario, nell'abbraccio tra i familiari di Don Andrea e quelli del giovane assassino.
Un gesto piccolo, che non ha bisogno d'interpreti, ma che ha la portata dell'urlo di un umanità ormai stanca di violenza.

No, non é morto invano Don Andrea, non ha creduto in qualcosa d'impossibile.
Ne sono testimoni quelle parole dei genitori di chi ha ucciso: dolore, partecipazione, gioia al vedere la famiglia di Don Santoro e la stessa capacità di perdono dei familiari, unita alla consapevolezza che la forza del cristianesimo é costituita dai suoi martiri.
Semi di fraternità, che continuano ad essere posti nella terra.
Dio solo sa come l'umanità abbia finalmente bisogno di vederne i frutti.

Saturday, February 03, 2007

COMPAGNI DI VIAGGIO



Circondarmi di persone migliori di me é un tipo di assedio che mi é sempre piaciuto.
E di gente così, ne ho incrociata e continuo a incrociarne parecchia.
A volte incontri di un giorno, ma che lasciano il segno; altre volte veri e propri compagni di strada, capaci di autentico sostegno. Gli amici veri, insomma, che ti indicano la strada e ti fanno volare e che se cadi ti aspettano, senza però pretendere mai di prendere il tuo posto, di sostituirsi a te.

La possibilità di una compagnia al cammino é uno dei doni più belli che l'uomo abbia a disposizione.
Uomo nato libero - anche la libertà é donata - ma plasmato di una natura che non é fatta per star da sola. E sempre di più mi sembra che l'uso più straordinario della libertà sia il mettersi al servizio di colui che hai di fronte nell'attimo presente.
Un cammino così, pieno di stupore, attento a ciò che accade, é insieme avventura e apprendimento.
Quel che dovrebbe essere l'educazione, se non fosse pensata - anche nella scuola - ad un misero nozionismo fine a se stesso, fatto di obbligo e di fatica o, peggio, deriva comportamentale figlia di un relativismo etico, che penalizza il significato vero della parola libertà. Educazione invece é scoperta continua, curiosità soddisfatta nella gioia, entusiasmante avventura nello scoprire i mille aspetti della Realtà, sempre mutevole, pronta a mostrarsi in tanti aspetti, come un raggio di luce bianca che si rifrange nei sette colori dell'arcobaleno.

Se l'animo é così disposto é facile trovare maestri in ogni circostanza e non solo quando l'autorevolezza di qualcuno ti colpisce, indipendentemente da come ti senti dentro.
Si può vivere così, allora, certamente, ma é necessario un passo in più che é l'affidarsi, in un certo senso disarmati e senza condizioni.
Tutto questo ha a che fare con l'umiltà e un amico di un tempo fu maestro in questo.
Fu l'amore reciproco a far scoprire a Domenico la dimensione dell'essere umile non per sé, ma per amore del fratello. "Per amore a ciascuno vorrei avere meno entusiasmo, meno parole, e molto più ascolto, più attenzione. Far posto al Gesù presente nell'altro, "non essere per essere", come scriveva Chiara Lubich, per fare entrare Dio nella propria vita". (1)


Domenico non c'é più, un tumore l'ha portato all'Incontro cinque anni fa.
Ma l'educazione di un maestro non si dimentica mai e a me piace ricordarlo così, con le parole di sua figlia Maria Flora:
"Le persone adesso mi appaiono in una luce nuova: se prima cercavo di usare attenzione, cura, nei confronti di chi avevo accanto, adesso sento che papà mi ricorda incessantemente di "non lasciar andare neanche un minuto della mia vita senza amare", ovunque io sia. (...)
Papà amava la leggerezza, che lo portava a farci sorridere di fronte a tanti momenti per noi difficili. Una delle prime notti dopo la sua partenza l'ho sognato. Maglione rosso, al telefono, mi guarda, s'illumina con un meraviglioso sorriso e mi dice: "Non é vero niente, sai ?". Lo guardo perplessa, felice, incredula e ribadisco che, ahinoi, é tutto vero invece. "No - ripete - , non é vero niente. Fai tutto come sempre. Non é cambiato niente
". (1)

Note:
(1) Paolo Crepaz - Frammenti di reciprocità. La vita di Domenico Mangano - ed. Città Nuova

Friday, February 02, 2007

ROCK AND ROLL IS HERE TO STAY


Ma chi l'ha detto che il rock é una cosa che appartiene al passato ?
Certo che quando i capelli grigi cominciano ad essere un po' troppi e si ascoltano con piacere i nuovi lavori di vecchietti come Dylan o Jerry Lee Lewis, qualche dubbio viene sicuramente.
Ma per fortuna basta imbattersi in dischi come il nuovo live dei My Morning Jacket per ritrovare fiducia anche nelle nuove leve.
Freschezza, vitalità ed energia da vendere, unite a classe, virtuosismo e senso melodico sopraffino.
E come tutte le cose sane e belle, che sempre hanno radici ben piantate nelle migliori tradizioni, anche questi ragazzi mostrano un background culturale di tutto rispetto. Andatevi a sentire la loro versione di "It Makes No Difference" sul recente "Endless Highway", album di tributo a The Band, la band americana per eccellenza, e capirete di che stoffa é fatto questo gruppo.

Il rock é vivo e vegeto, per fortuna.
MY MORNING JACKET - OKONOKOS - double live album.
Don't you dare miss it !