"IN THE FURY OF THE MOMENT I CAN SEE THE MASTER'S HAND, IN EVERY LEAF THAT TREMBLES, IN EVERY GRAIN OF SAND" (BOB DYLAN)
Friday, December 30, 2011
HURT AND BLESSED, HEART OF MINE
Sunday, December 18, 2011
IN UN FRAMMENTO, IL TUTTO
Il panorama e le luci della città, però, sono sempre al loro posto. Quelle non sono riusciti a toglierle, non ce l'hanno fatta con loro. E così sono finite a fare da sfondo a una finestra lunga, disposta davanti ad uno spazio enorme, tutto nuovo. Disposizioni anti-incendio, hanno spiegato. Già, come se bastasse. Creare un po' di spazio intorno alle ferite che bruciano per mettere tutto a posto, spegnere ogni tipo di fuoco. Le ferite di chi sta qui dentro e le altre, di tutti quelli che sono ancora fuori.
Qualche giorno fa ne ho letta una veramente bella. Parlava del sogno di una giovane donna, sogno terribile. Lei si sveglia al mattino e corre dal marito. E' fragile e talvolta un po' insicura, come tutte le donne che aspettano un bambino. E dice che non riesce a capire quel sogno, ma crede che riguardi il figlio che sta per arrivare. Solo che quel figlio non lo nomina nessuno, anche se tutti corrono in giro da settimane a preparare quella che sembra una gigantesca festa di compleanno per lui. Lui però non c'é, non compare, non viene mai neppure nominato. "Sai Giuseppe? - gli confida tra le lacrime - Tutto era così bello e la gente così contenta, ma io avevo una gran voglia di piangere perché nostro figlio era completamente ignorato, non desiderato nella sua festa...".
Ho preso il mio caffé, laggiù alla macchinetta, e me lo sono portato fino a qua, quella finestra lunga davanti alle luci della città. Toh, non me ne ero accorto prima, ma adesso ci hanno aggiunto davanti qualcosa. Un tavolino del soggiorno, ricoperto da un telo, e sopra le casette, la grotta ed i pastori. E' davvero tutta un'altra cosa adesso. Ora sì che il panorama mozzafiato di quassù comincia a rispondere ad un bisogno.
E' un piccolo frammento di gioia, quello che si fa strada, mentre il mio sguardo si sposta dalla città per soffermarsi su quel Bambino, piccolo e indifeso, ma capace di riscattare tutta l'umanità. Ed é come se, a poco a poco, anche i mille occhi che stanno laggiù, dentro tutte le case illuminate della città, convergessero il loro sguardo fino a qui, una piccola capanna, un frammento d'universo.
Ma in quel frammento c'é il Tutto ed io non ho bisogno d'altro per sentire che adesso davvero ogni cosa mi appartiene: "Tutto é vostro - diceva San Paolo - ma voi siete di Cristo e Cristo é di Dio".
Che bella avventura, l'attimo presente della vita.
Sunday, December 11, 2011
SAVE IT FOR A RAINY DAY
Friday, December 02, 2011
INNI
Dice il sito ufficiale che quello di Inni é una sorta di percorso a ritroso, una strada di ritorno dopo essere partiti ed arrivati a Heima, che sposta l'attenzione sui singoli musicisti e sul prodotto del loro stare insieme - la musica - dipinto con le sole tinte del bianco e nero.
E' davvero così. Se Heima ci aveva affascinato con il magico accostamento delle sonorità di Jonsi & soci ai colori suggestivi dei paesaggi delle terre del nord, allo stesso modo é il bianco e nero che serve ora a camminare lentamente, ma con intensità, lungo questo nuovo percorso così introspettivo. A corredo del doppio cd, un dvd con immagini dal vivo, anch'esse prevalentemente in bianco e nero e filmate con una tecnica di ripresa che intensifica le emozioni attraverso tagli ed inquadrature bizzarre o messe a fuoco inusuali. Si é costretti a concentrarsi sulla musica, lasciando perdere tutti gli orpelli che non servono a penetrarne i recessi più nascosti per raggiungerne il senso più profondo. E si finisce per identificare quella stessa musica con il musicista e il suo strumento, si tratti dello xilofono o della bowed guitar (la chitarra suonata con l'archetto) oppure della stessa voce, quando utilizza ad esempio il vonleska (hopelandic, nella lingua inglese), efficacissimo metodo - accentuato dall' eterea voce in falsetto di Jonsi - che perde di vista il testo per trasformare le parole stesse in suoni da accoppiare alle melodie degli strumenti stessi.
In fondo mi sento un po' post-rock anch'io. Non m'interessano più gli stereotipi, le enciclopedie od infinite recensioni storico-biblio-musico-saccentografiche sparpagliate ormai un po' dappertutto. Mi appassiona sempre più ciò che riguarda la vita, musica che sia in grado di farmi aggrappare alla realtà, circostanze abbracciate e capaci di muovere l'anima ed il cuore, cuore attaccato dove deve stare, sul disegno del Volto buono del Mistero che ha a cuore sempre e soltanto il nostro bene.
Poco importa poi che questo accada mentre le note della musica fuoriescono dallo stereo dell'auto, riuscendo a trapassare anche la nebbia più fitta che la circonda al mattino, oppure nel profondo della notte, quando tutto ormai si é addormentato intorno a te ed al tuo sonno mancano ormai solamente le preghiere e l'ultimo esame di coscienza del giorno.
Un inno é qualcosa che nasce da quello che ti é maturato dentro e che ha fatto uscire gratitudine e gioia, desiderio e speranza che poggia su ciò che non muore. Musica come questa ci riesce, che poi si tratti di rock o post-rock é solo un dettaglio.
E' di anima che si tratta. E questo mi basta.
Tuesday, November 22, 2011
SHELTER FROM THE STORM
Wednesday, November 16, 2011
TOGETHER THROUGH LIFE
E pensare che questa sera non dovevo neppure essere qua. Due biglietti cercati troppo tardi, amici sguinzagliati alla ricerca di ciò che non c'é più. Desiderio che diviene rabbia per l'occasione perduta e poi, piano piano, lascia spazio ad uno sguardo verso le circostanze che ti dice che non sei tu ad organizzare la vita, perché quella stessa vita non si lascia organizzare da te. Ed é solo allora, quando lo sguardo si muta in amore anche verso ciò che é scomodo e stretto, che il miracolo accade. Bisogna saper perdere tutto per ritrovare ciò che vale. E allora anche i biglietti del concerto di Bob Dylan e Mark Knopfler saltano fuori. Yes, I believe in magic e il sogno si tramuta in realtà: la magia di due sedie in tribuna d'onore e di un posto auto dentro al forum. E quando, col telefono, ringrazio ancora un'altra volta l'amico grazie al quale siamo qui, la sua risposta é un disarmante "grazie a te per la tua amicizia". Together Through Life - appunto - anche qui.
Ricordo quando, nel 1979, uscì Slow Train Coming, il disco di Dylan della "conversione" alla fede cristiana, il disco fatto assieme a quel pezzo di storia del rock che porta il nome di Dire Straits. Decine di penne scrissero fiumi di parole, molte - come spesso accade - anche inutili. Io, che avevo solo orecchie per sentire, mi feci felice di quel lavorare assieme di Bob & Mark e, perché no, di partecipare di quel che Dylan aveva da dire e da dare, dentro quell'ennesimo pezzo di esistenza che aveva voglia di raccontare attraverso le sue canzoni.
L'amore per Dylan e per Knopfler ha continuato a camminare in tutti questi anni, due passioni a braccetto tra di loro, la gioia di poterli vedere sul palco ancora adesso, le rughe sul volto, i capelli di Mark che non ci sono più, andati via come la voce di Dylan, ma entrambi con la stessa voglia di rischiare la vita ancora là sul palco; loro due come ciascuno di noi, che rispetto a quel palco stiamo lì sotto, ma tutti uguali nel condividere l'avventura di una storia. Quando parte "Brothers in arms" non é nostalgia dei Dire Straits che si fa strada, ma solo un brivido che scorre sotto la pelle e che ti dice che in fondo é propro questo che siamo, tutti quanti: fratelli d'arme, nonostante tutto. Lo scrivo ad un amico, un sms sulle note della canzone, lui é appena un po' più avanti di me, lo posso vedere laggiù nel parterre. Non mi risponde subito, aspetta la canzone successiva a farlo: "On a speedway to Nazareth", mi scrive. Together Through Life, one more time.
Sul concerto di Dylan ho già letto e sentito tanto. Tutto e il contrario di tutto. Che Dylan ha ancora una bellissima voce, una nuova voce, un'altra di tutte le sue voci. O che di voce, invece non ne ha più. Che la band gira a mille, che Charlie Sexton l'ha rivitalizzata. O che invece questa degli Stu Kimball e dei Tony Garnier é ancora la stessa band di zombies che girava sino a poco tempo fa. Che il Dylan che suona la chitarra monoaccordo, l'armonica monofonica, le tastiere plinky plonk é inascoltabile. E che invece no, é Jerry Lee Lewis, é Robert Johnson, é - semplicemente - sempre e soltanto Bob Dylan. Che il suono di questa band é inascoltabile e che no, che diamine, é una fucina che sprigiona energia e passione.
Di tutto questo, al fondo, non m'importa nulla. Ho sentito i brividi lungo una Tangled Up in Blue dove l'uomo, inquieto, vagava per il palco convinto che a quel Mister jones stesse finalmente per accadere qualcosa che nemmeno lui sapeva cosa fosse. E mi sono accasciato sulla sedia davanti all'anticlimax di Spirit On The Water. L'ho guardato mentre cercava di ridar vita per l'ennesima volta ad una furiosa Highway 61 o ad una sempiterna Like A Rolling Stone. L'ho guardato, con tenerezza, quando ha alzato le braccia, neanche fosse, la sua, una recita del Pater Noster, alla fine dello show.
Non m'importa nulla, perché quel che mi sta a cuore veramente sono pezzi di strada percorsi assieme. Anche stasera ero qui, con Dylan, con Mark e qualche migliaio di altra gente. Pezzi di vita, cuori mescolati assieme, frammenti di reciprocità. Non c'é da scriverci sopra e neppure c'é bisogno di parlare. Solo di camminare insieme, lungo la strada che porta verso casa. Ain't talkin', just walkin'. Together Through Life.
Friday, October 28, 2011
HAPPY BIRTHDAY
Friday, October 07, 2011
TRE STORIE. E UNA CANZONE.
Tuesday, October 04, 2011
APPARTENENZA E LIBERTA'
Sunday, September 25, 2011
RIPORTANDO TUTTO A CASA
Riportando tutto a casa.
C’è una frase, scritta su un poster, appeso sopra il tavolo di cucina, che rincorre spesso i miei pensieri. Parole sulle quali lo sguardo assonnato del mattino si sofferma, tra una fetta biscottata e una tazza di caffé e che narrano di Giovanni e Andrea che seguirono Gesù fino a casa sua, perché o Cristo era un’esperienza del presente, o il loro io non sarebbe stato mosso né cambiato. Ecco cosa sto facendo anch’io, in fondo. Seguire. Andare dietro ad un avvenimento, che oggi ha la forma dell’ingresso di un arcivescovo a Milano, ma la cui sostanza è far diventare esperienza ciò che mi viene dato ora, perché divenga bellezza e felicità per la mia vita di ogni giorno.
Si comincia nella “sala blu” della mia parrocchia, al venerdì sera. E c’è già da incontrare un pezzo del nostro cuore. Don Piero Re, il vecchio parroco, è tornato in San Protaso, a raccontarci del suo amico Angelo Scola. Della sua vita, del suo magistero, dei suoi compagni di cammino. E’ un racconto, il suo, intenso e appassionato, fatto anche di pezzi di vita condivisa, dettagli sul cardinale che non si leggono sui giornali e che servono già a far crescere un’affezione: “impareremo a volergli bene”, ci dice subito, all’inizio, ed a noi non viene voglia di fare nient’altro se non d’intraprendere un cammino d’affetto, quello che il cardinale, un attimo dopo essere stato nominato, ha chiesto ai milanesi assieme alla preghiera. Un’ora e mezza passa in un baleno e serve a ciascuno per conoscere un po’ di più chi sta arrivando in città. Le ultime parole della serata sono quelle di alcuni giornalisti che lo hanno conosciuto: “non attendetevi un manager, ma un pastore, che desidera solo testimoniare e diffondere l’attenzione a Cristo e proporre a tutti la fede cristiana come il sale che dà il sapore e la forza alla vita dell’uomo. E’ uomo di grande intelligenza e cultura, ma sempre affabile e semplice: accoglietelo senza pregiudizi, vi sorprenderà”.
Già, perché quella del pregiudizio è un’ombra che sembra essersi già allungata: dicono che ci sia chi non gradisce l’arrivo del nuovo arcivescovo e che si stia già ostacolando il suo cammino. E’ una vecchia storia, roba già scritta nel Vangelo e nella storia della Chiesa, che sa tanto di quella persecuzione prerogativa della vita dei cristiani veri. Ma Milano, domenica pomeriggio, non sembra avere intenzione di dar retta a costoro e riserva al cardinale un bagno di folla in piazza Duomo. I maxischermi inquadrano il suo volto sorridente, mentre, dopo essere sceso dall’auto proveniente da S. Eustorgio, attraversa la piazza fermandosi a salutare tutti quelli che può, fino all’abbraccio più importante, quello con Dionigi Tettamanzi; abbraccio così forte che quasi entrano tutti e due a braccetto in chiesa ed è una tenerezza che si fa strada sotto forma di brividi che scorrono sotto la pelle. Noialtri, già dentro in cattedrale, abbiamo udito la raccomandazione di non applaudire più, dopo l’ingresso in Duomo, fine alla fine della celebrazione, ma nessuno riesce ad ubbidire e l’applauso si ripresenterà, anche durante alcuni momenti della liturgia. E’ la Milano della sequela e dell’affezione che cresce a poco a poco, mentre quella del pregiudizio imbocca tristemente a ritroso la strada dalla quale era venuta. Nell’omelia, l’arcivescovo donerà molti spunti che sarà bello riprendere e far diventare parola vissuta. Cita il cardinal Montini e Cesare Pavese (“quanta gente sembra sopraffatta dal mestiere di vivere!”). Ma ciò che rimane nel cuore è un appello a ciascuno – “Ho bisogno di voi per svolgere il mio compito nella gioia”- e l’accorato augurio finale: “metropoli di Milano, illuminata, operosa ed ospitale, non perdere di vista Dio!”
Quella parola - seguire - che guidò l’agire di Giovanni e Andrea, si riaffaccia ancora una volta nella mia mente, mentre l’auto, alla sera, percorre la strada che porta al lavoro. Un’altra notte in ospedale, un’altra notte lungo le mie torri di guardia. Spazio per pensare un po’ di più a ciò che ho vissuto. Sequela ed obbedienza, quella dovuta al nuovo pastore arrivato in città, cominciano a mescolarsi inesorabilmente ad una strana forma di lertizia. “Che vale la vita se non per essere data?” - dice Anna Vercors a Pietro di Craon, ne “L’Annuncio a Maria” di Paul Claudel - “E perché tormentarsi quando è così semplice obbedire?”, aggiunge. Eccolo, il centuplo di questo weekend, sulle tracce dell’ingresso a Milano di Angelo Scola. E’ il desiderio di fare della propria vita un dono ed è quello che porterò via con me anche domattina, lungo la strada che porta verso casa. Un pensiero dolce, che s’insinua a poco a poco e che dice che ciò che il mio cuore desidera esiste: basta saper seguire docilmente la volontà di un Altro, nell’attimo presente della vita. Ed io, questa vita, non ho più paura a darla tutta.
Sunday, September 11, 2011
NOTTE DI SETTEMBRE
E là, dove non c'é più la macchinetta del caffé, rimane solo la finestra dove un ragazzo é volato via.
Paura, venti di guerra, masters of war che non muoiono mai. L'uomo che sembra non voler cambiare mai.
Sono cambiato io?
Amore che, un giorno, mandò il Suo Figlio a sporcarsi le mani con noi.
Ed a lasciarci un testamento, che dice "Padre, che tutti siano uno".
Non vale la pena di vivere, per meno di questo.
Anche dopo l'undici settembre.
Sunday, September 04, 2011
UNA VIA D'AMICIZIA
“Cosa mi ha salvato da questa mia pazzia, cosa ha ricostituito il mio io dissociato? Un incontro, non un incontro qualsiasi ma con qualcuno con cui ho sperimentato la stessa tenerezza di Gesù con Giovanni e Andrea, Zaccheo, l’adultera, la samaritana, Matteo. Un incontro mendicato, cercato disperatamente perché senza una libertà instancabile che grida, l’io non si muove: l’incontro con don Giussani, l’abbraccio di don Giussani. Mi ricordo il giorno, era il 25 marzo 1989. Rivedo gli occhi luminosi di quell’uomo mentre mi parlava di Cristo parlando lui con Cristo. Quell’abbraccio era l’abbraccio di Dio. Dal giorno di quell’abbraccio ho sperimentato la differenza tra l’essere figli e discepoli”.
Quello di padre Aldo, alla fine, é un grido che sa di passione: “L’esperienza dell’abbraccio è una necessità, perché la vita non si impara: è ricevuta. È trasmessa da un padre. Mi ami tu? Un abbraccio che si trasforma in amicizia, compagnia, sostegno”.