L'ile de la Cité é un vascello, la cui prua infrange dolcemente i flutti della Senna.
Mentre i miei figli giocano sereni nei giardini lungo il fianco della cattedrale, io non riesco a smettere di ammirare Nostra Signora di Parigi. Incastonata come l'albero maestro della nave, questo gioiello di pietra ha resistito agli scempi del tempo e degli uomini, sinché qualcuno ha ricominciato a preservarla. C'é poco tempo, più tardi, per visitarla nel dettaglio, oggi c'é il vescovo della città ed é giusto che la cattedrale sia tutta per lui e per il popolo. E, d'altra parte, é per questo che é nata; perché la meraviglia dell'arco a sesto acuto fosse segno di una presenza visibile. E luogo dove dare testimonianza della bellezza di un avvenimento: quello del Verbo incarnato, sempre presente in mezzo a coloro che sono uniti nel Suo nome.
Forse il mistero che mi lega eternamente a questa città é nel cuore di questa cattedrale. E' per questo che continuo a guardarla, a girarle intorno, a scattare mille foto ai suoi portali ed ai gargouilles, fermandomi stupito sempre in modo nuovo, fino a portare a sfinimento una combriccola di moglie e figli che non possono stare all'infinito dentro i miei pensieri.
Quindi dopo un po' si scappa via, per correre fin lassù in cima, le altezze della Torre Eiffel, dove inseguire il sogno di vivere una città à vol d'oiseau, un luogo alto dove magari assistere a quel "risveglio di campane", descritto così bene da quel Victor Hugo, che come nessun altro amò questa città immensamente: "(...) ascoltate questa piena orchestra di campanili, spandete su tutto il mormorio di mezzo milione di uomini, il lamento eterno del fiume, l'infinito spirare del vento, il quartetto grave e lontano delle quattro foreste schierate sulle colline all'orizzonte, come immensi mantici d'organo, smorzate in questo come in una tinta neutra tutto ciò che lo scampanio della città avrebbe di troppo roco o di troppo acuto, e ditemi se conoscete al mondo qualcosa che sia più ricco, più gioioso, più dorato, più splendente di questo tumulto di campane e campanelle; di questa fornace di musica; di queste diecimila voci di bronzo che cantano insieme dentro flauti di pietra alti trecento piedi; di questa città che é tutta un'orchestra; di questa sinfonia che tuona come l'uragano" (Notre-Dame De Paris)
Se Parigi val bene una messa, la Sainte Chapelle val bene una coda, neppure, tutto sommato, troppo lunga, anche perché Andrea, il più piccolo, trova il modo per giocare anche lì.
Quando hai visto le vetrate del luogo voluto da San Luigi per custodirvi le reliquie della passione di Cristo, non riesci più a guardarne altre in nessun altro posto. E' così che si rimane a lungo sospesi, sguardi prolungati per immagazzinare nella memoria immagini che nessun servizio fotografico riuscirà mai a registrare in modo fedele e permanente. Non c'é nulla che possa riprodurre la luce del sole, magari quella del tramonto, mentre, passando attraverso pitture di vetro dai mille colori, arriva dritta dentro la tua mente ed il cuore delle tue emozioni. Fremiti e sussulti, fuoriusciti dai rosoni del transetto della cattedrale di Notre-Dame, giunti magicamente fino a qui ed ora rimbalzanti senza sosta da una vetrata all'altra.
Sopravvissuta alle ingiurie del tempo e delle guerre degli uomini, la Sainte Chapelle é un altro gioiello custodito sulla plancia del vascello della Cité.
Prima di cominciare a dipingere il quadro, hanno sistemato tutti la cornice.
I pittori di Montmartre, disposti ordinatamente l'uno accanto all'altro, lungo il profilo quadrato della piazzetta, riescono a coprire la vista dall'orribile serraglio di tavoli di ristorante disposto tutto al centro. E così, nonostante gruppi di turisti spietatamente posti in posa per decine di scatti fotografici di terribile fattura, questo luogo riesce a non perdere il suo fascino.
Dopo un picnic improvvisato, consumato tranquillo in una viuzza laterale, passeggiamo senza fretta, grandi e piccini, lontani finalmente dal traffico e dallo smog, mentre, da lontano, il suono di una fisarmonica accompagna mille pensieri, liberi di correre finalmente senza freni.
Tre o quattro giorni, in una città così, son troppo pochi.
Ce ne vorrebbero dieci, cento, più di tutti quelli che vi ho già passato. Per questo Parigi non mi stanca mai, é un luogo dove non smetterei mai di tornare. Come Roma del resto. O come Assisi. Per mille motivi, simili e differenti allo stesso tempo. Ma anche per l'unico motivo che il cuore, in questi luoghi, non smette mai di battere impazzito.
Ma "una città non basta", scrisse una volta Chiara Lubich, in una sua splendida meditazione.
Non basta perché il cuore dell'uomo desidera qualcosa di ancora più grande delle bellezze di una città. Ed é a questo desiderio che, giunto a casa, decido di puntare; perché la nostalgia non prenda il posto della realtà; perché la bellezza sia contenuta nell'istante, il Mistero dentro l'attimo presente che ti capita innanzi nella vita.
Attimo da vivere, tutto intero.
"(...) Ma con un Dio che ti visita ogni mattina, se vuoi, una città é troppo poco.
Egli é colui che ha fatto le stelle, che guida i destini dei secoli.
Accordati con Lui e mira più lontano: alla tua patria, al mondo.
Ed ogni tuo respiro sia per questo, per questo ogni tuo gesto; per questo il tuo riposo e il tuo cammino.
Arrivato là, vedrai ciò che più vale e troverai ricompensa al tuo amore.
Fà in modo di non doverti pentire in quell'ora d'aver amato troppo poco"
(Chiara Lubich, Una Città Non Basta)