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E così oggi mi tocca prendere il treno, per andare a fare la notte in ospedale.
D’altra parte, se la macchina è guasta, in qualche modo ci dovrò pure andare al lavoro.
E allora prendo il metrò, vado alla stazione e mi mischio insieme ad un mucchio di persone, popolo di pendolari che ritorna a casa.
Quanto tempo era che non mi capitava più. Troppo abituato a fare i conti coi miei pensieri in auto, avanti e indietro tutti i giorni per la stessa strada, ad ascoltare musica dal lettore cd, a rispondere al telefono, a chiacchierare qualche volta – troppo poco, in verità – con Quello che sta lassù.
Così mi metto a guardare le persone - accidenti, mi piace l'idea! - e per giunta non sono neanche troppo stanco: io a lavorare ci sto andando adesso, mentre molti di questi la giornata l'han già vissuta quasi tutta.
Quanta gente tutta diversa, cresce la curiosità e lo stupore. E si fa strada anche un pensiero, che vorrebbe essere condivisione: quante storie riesci a intravedere, dietro al volto di ciascuno ?
Il metrò si ferma alla stazione e salgono papà e mamma nomadi, col figlio piccolino.
All'improvviso cresce il disagio intorno a me e, ad essere sincero, anche dentro di me.
Perchè non è mica gente facile quella lì: quante volte mi è capitato di curarli in ospedale e come è faticoso ogni volta; perchè spesso non si fanno affatto aiutare, nel loro rifiuto delle regole, nel vivere una vita così diversa, fuori dai nostri schemi abituali.
Ad un certo punto l'uomo attacca a suonare: ha una fisarmonica al collo, augura a tutti la buona sera e si mette a cantare. E la musica, ancora una volta, mi attrae e catalizza la mia attenzione. E mentre ascolto, si riaffacciano alla memoria quei musicisti improvvisati, che affollavano i metro' di Londra e Parigi già tanti anni fa e che mi avevano così affascinato la prima volta che li avevo visti. Ma la musica dura poco, giusto lo spazio di una fermata. Il treno rallenta e il bimbo passa tra tutti i passeggeri, mostrando a ciascuno la desolazione di un bicchiere di carta troppo vuoto.
Apro il borsellino e il sorriso di quel bimbo arriva all'improvviso: segue solo di un istante il rumore della mia monetina sul fondo vuoto del bicchiere.
Davanti a me un uomo che sembra avere la mia età, bello e impeccabile nel suo completo scuro; scrive e-mail al palmare, con una mano sola, e come faccia non lo so: il mio cellulare qua sotto non prende neppure la linea; ma lui è tutto indaffarato, in quello che ai miei occhi appare un gioco, ma che invece è una cosa seria, perchè - che diamine - siamo milanesi e noi sì che lavoriamo sempre.
Quel bambino lo sfiora, lui invece manco lo guarda, anzi si scosta piuttosto infastidito.
Per un attimo mi sento più bravo di lui, ma è solo un momento.
Pochi secondi appena e mi ricordo i farisei, quelli che non piacevano per nulla a Gesù. E allora è lo spazio di un istante, e mi rimetto subito in riga.
E intanto mi rendo conto che è così: quel gesto non mi ha reso migliore, proprio per niente.
Ma il sorriso di quel bambino, quello sì che mi ha cambiato.
Poco a poco sta scendendo dentro me e mi scalda col suo calore, come il sorriso di Uno più grande, Colui che move il sole e l'altre stelle.
Come facevi a saperlo, Signore, che avevo proprio bisogno di quello per cominciar bene la mia giornata ?
Quel sorriso, finalmente, era ciò che mi mancava.
Questa sera me lo porterò al lavoro.
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