Tuesday, November 28, 2006

IL DIALOGO DELL'AMORE


Penso al viaggio del Papa in Turchia, l'ho in cuore, e mi viene in mente un amico.
Ulisse Caglioni era un sacerdote focolarino, partito da questa terra il 1° settembre del 2003.
Non era una di quelle amicizie fatte di occasioni frequenti, no tutt'altro.
Ma era una persona speciale, di quelle che incontri poche volte, lasciano un segno indelebile nel tuo cuore e tu sai che quel rapporto nulla e nessuno lo cancellerà più.
Ulisse aveva vissuto più di trent'anni in Algeria, un quotidiano semplice ma eroico, nelle cose di tutti i giorni e con quella solida tempra degna delle sue origini bergamasche.
Piccoli e grandi avvenimenti di tutti giorni, amare quello che ti sta di fronte nell'attimo presente, niente di più e niente di meno, ma alla fine della sua vita un seme che già aveva dato tanto frutto.

Poco prima della dipartita di Ulisse, così scrive Farouk, un suo amico musulmano, uno come tanti altri che lo aveva incontrato ed era rimasto conquistato:
"Carissimo Ulisse,
tu ci hai donato la tua vita,
tu ci hai donato la vita.
La tua vita intera é stata consacrata per testimoniare la presenza di Dio e del suo Amore.
Dopo la tua partenza per Roma, guardo intorno, in particolare a Tlemcen, e vedo le cose che tu hai costruito, piantato, fatto crescere; in più continuo a dirmi: Al di là di tutto, la cosa più bella che tu hai costruito é l'Ideale dell'Unità nella terra dell'Islam, nel cuore dei musulmani. Oggi quell'Ideale é nostro. Allora io comprendo in maniera certa e in concreto ciò che Chiara Lubich ha detto: "vi é una cosa che non verrà mai meno, é Dio". Oggi esiste una comunità, un popolo di Chiara in mezzo ai musulmani.
E' per tutto ciò che io ti ho sempre considerato come mio padre, come il padre fondatore. Tu hai donato il tuo amore a ciascuno, grandi e piccoli, in ogni momento. Tutti si ricordano di te; tutti vogliono vivere come tu hai vissuto, anche quando poteva essere pericoloso.
Mi ricordo ancora adesso quando tu mi hai detto: "tu non devi preoccuparti di fare tante cose, la cosa più importante é che tu devi agire dentro di te, vale a dire devi cambiare te stesso". Da allora sono passati degli anni, in me resta l'Ideale, e la mia vita é tesa verso di Lui. Prego perché la semente che é in me possa germogliare e generare altri semi tra i musulmani.
Io accolgo la tua offerta, mentre prego Dio di mantenermi fedele al suo amore perché l'avventura continui.
Prego Dio perché ti avvolga della sua Misericordia.
Restiamo uniti nella sua Misericordia.

Friday, November 24, 2006

OCCHI E STELLE


di Alberto Reggiori
" Di notte, quando attraversiamo quella fetta di buio che ci separa dalla casa dove dormiamo, e gli occhi, invece che investigare il terreno su cui poso i piedi, scoprono il cielo scintillante di stelle equatoriali che brulicano, formicolano e pulsano in quella pace immensa che la accoglie, ecco, allora é davvero difficile pensare che sotto questa volta ci sia un pezzo di terra bella come l'Uganda in una situazione così triste; tutto appare così poco significativo alla vista di quelle stelle ma nello stesso tempo tutto é così terribilmente serio, tragico, definitivo. Eppure questi brulicanti astri, questa tenebra misteriosa sono il vero punto da cui guardare tutto, anche le tragedie di questa terra, perché se non abbiamo un punto di vista diverso, distaccato, non capiamo cosa abbiamo davanti agli occhi. Se non ci stacchiamo da ciò a cui siamo avvinghiati, non riusciamo a vedere. Lo sguardo cade pesantemente ai nostri piedi e poche volte si alza alle stelle. E' un problema di stelle e di occhi, dunque, la vita.
(tratto da "Dottore, é finito il diesel. La vita quotidiana di un medico in Uganda, fra ammalati. poveri e guerriglia", di Alberto Reggiori, ed. Marietti)

Monday, November 20, 2006

MI SOVVIEN L'ETERNO


A volte mi torna in mente Leopardi.
Anni fa, al liceo, mi affascinò come nessun altro.
Sulle prime quel pessimismo debordante parve schiacciarmi, ma poi bastò poco per superare il disagio; mai nessuno era stato così capace di partire dal limite, da tutto ciò che sa di finitezza, di precarietà, per giungere al desiderio dell’eterno, “L’infinito ”, appunto.
Non mi sembrava di prender lucciole per lanterne nel cogliere in tutto questo una religiosità che mi affascinava, ma non era popolare – neppure allora – una piega interpretativa così.
Criticuccia di destra ” , ricordo, fu l’appellativo dato al mio modo di veder le cose dalla mia insegnante d’italiano ed io la contestai a suo tempo; ma ricordo quanto, in fondo, ci stimassimo a vicenda.
Non conoscevo Don Giussani, ma appresi più tardi della sua passione per il poeta e del suo autorevole pensiero nell’accostarne il desiderio del cuore al senso religioso dell’uomo. Appresi anche di come tutto questo non fosse stato esente da critiche, ma fui felice, comunque, di scoprire che quella che era stata una semplice sensazione di ragazzo, coinvolto a modo suo dalle liriche di un grande poeta, fosse qualcosa in più di una semplice questione d’impatto emotivo.

Oggi, ad anni di distanza e vedendo crescere i miei figli a vista d’occhio, mi domando spesso cosa voglia dire “educare” e mi tornano in mente quegli anni. Li confronto in qualche modo con questi, troppo colmi di disimpegno e di violenza, come testimoniano gli episodi di bullismo, sempre più presenti nelle prime pagine dei giornali.
Allora, spesso, ripenso a Don Giussani e quella sua frase all’indomani dell’assassinio dei nostri soldati a Nassyria: “se ci fosse un’educazione del popolo, tutti starebbero meglio ”.
Non so cosa voglia dire educare, guardo i miei figli e vado così spesso in crisi; ma spero di passargli in qualche modo un’esperienza : quella che parte dal limite, il mio, per cogliere la tensione all’infinito, al desiderio di un Altro.
Proprio come Leopardi, checché ne dicano i critici letterari.

Thursday, November 16, 2006

UNA CROSTA DA ROMPERE


Ci sono mattine in cui, al risveglio, mi ritrovo appesantito ancora dal negativo incontrato il giorno prima; giorni in cui il sorgere del sole, le ritrovate energie, non bastano a ricoprire di fascino l’irrompere di una nuova giornata, tutta da vivere con pienezza. So già che gioia ed allegria si mescoleranno inesorabilmente ad imprevisti scomodi e fastidiosi, a rabbie e paure, ad ostacoli in apparenza insormontabili. E mi ribello, incapace di riconoscere in quelle circostanze il Suo volto, quando, in un eccesso di follia d’amore, ha gridato anche Lui “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato ?”.
Allora, quando riesco, mi affido, e questa - invariabilmente - diventa la via d’uscita, capace, di dare la svolta alla mia giornata.
Perché “c’é una crosta da rompere”, ogni momento, come racconta Emilio Bonicelli, scrittore e giornalista del "Sole 24ore" in questo suo splendido libro:

Quando, avvolto nella coperta dorata, mi portavano lungo i corridoi dell’ospedale verso la dolorosa TBI, chiudevo gli occhi e desideravo di vedere il volto di Maria. Lo stesso volto del quadro che avevo lasciato nella mia camera. E invece di fronte a me compariva solo una crosta, come la pelle nera di un serpente. La luce stava dietro.
C’é una crosta da rompere. Da rompere ogni giorno. La crosta dell’egoismo e dell’invidia, la crosta della banalità e della meschinità, la crosta della violenza e della solitudine, la crosta della malattia e della morte. Ma la crosta é mescolata in modo profondo e umiliante alle nostre ossa e togliercela di dosso non ne siamo capaci. Noi desideriamo, cerchiamo, ci disperiamo, ma solo una grazia può squarciare quel velo. Solo lo stupore di fronte al mistero di Dio che viene a immischiarsi con noi e rende possibile una terra nuova.
La crosta non é scomparsa, ma un giorno, chiudendo gli occhi si é lacerata, come un’iniziale ferita, e da quel taglio scendeva la luce. La luce di Cristo, che gratuitamente si dona, che entra in noi e ci insegna ad amare. Nella carne, nella terra arata, nella collera, nella dimenticanza, nella selva che confonde la luce, nell’amicizia che sostiene. Ma, da questo grano della vita, a ogni istante possiamo alzare a lui lo sguardo, come mani levate, e la fede cambia la pioggia, cambia il dolore, cambia le ferite. Non più gelida notte, ma fervida attesa in cui, nella fraternità, si afferma la comunione. Luce del giorno che viene, per essere come lui nel suo amore. Sino a che la terra arata, il corpo segnato, le mani affaticate, le ginocchia infiacchite diventano culla di una gioia che nessuno può strappare. Culla di conversione.”

(tratto da “Ritorno alla vita. Il cammino di un uomo che lotta per vincere la leucemia”, di Emilio Bonicelli, ed. Jaca Book)

Tuesday, November 14, 2006

9 VOLT HEART


Sarà bello il crescere vertiginoso della tecnologia, ma francamente assistere allo svuotarsi dei negozi di dischi ed al crescere del numero di iPOD in circolazione, mi procura un po’ di tristezza.
Forse perché estrarre un cd dalla custodia (per non parlare di un bel vinile ...), tenere tra le mani la copertina, leggerne le note e i testi, scorrerne le immagini mentre ascolto la musica, per me significa qualcosa.
Davanti a un disco mi capita ancora di pensare al lavoro di un artista, a un progetto, a un’idea, al condividere un percorso.
Niente a che fare con un hit di successo, scaricabile mille volte come mp3, a riempire un disco fisso già stracolmo di cose che tra un po’ cancellerò.
Così finisco per stare coi vecchi eroi, come quel Dave Alvin che canta di una vecchia radio capace ancora di accendere emozioni....


NINE VOLT HEART
Dave Alvin/Rod Hodges


His mama said “Baby, wait for me in the car,”
And she went lookin’ for his daddy inside a bar
So he sat and let the radio take him far away
Listenin’ to XPRS and KRLA.
Plastic silver nine-volt heart
You click it on and let the music start
And the radio was his toy
The radio was his toy.
Well Rachel was twenty and he was seventeen years old
Sittin’ in a parked car on a country road
Runnin’ his fingers through her long black hair
And the Staples singin’ “Baby, I’ll take you there.”
Plastic silver nine volt heart
You click it on and let the music start
And the radio was his toy
The radio was his toy.
Doin’ the dishes long after midnight
Talkin’ about the evenin’ news with his wife
The baby wakes up and starts to cry
So they turn the radio on for his lullaby.
Plastic silver nine volt heart
You click it on and let the music start
Plastic silver nine volt heart
You click it on and let the music start
And the radio was his toy
The radio was his toy.

Sunday, November 12, 2006

MY HOMETOWN


Una personalità carismatica del nostro tempo, mutuando una frase di Santa Teresa del Bambin Gesù, disse ad un gruppo di persone un motto che mi é rimasto particolarmente impresso:
"Tu sai, mio Gesù, che, per amarti, non ho che adesso".
Quante volte la frenesia dei programmi e dei doveri della giornata, i problemi ed il mutare degli stati d'animo impediscono di cogliere la pienezza di ciò che ci accade nelle circostanze del momento presente ?
Talvolta però riesco a fermarmi, come quella mattina nella piazza della mia città...

Un giorno qualunque, in piazza del Duomo, con delle commissioni da sbrigare.
Il passo veloce, perché devo fare in fretta, come ogni milanese che si rispetti ….
Intorno a me tanta gente, facce d’ogni continente.
I peruviani col flauto di pan; più in là un giovane, jeans e chitarra acustica, il blues e il country nell’anima.
Poi il solito mimo, vestito da Belfagor, e l’uomo d’affari che passa veloce, schivando quattro giovani punk ( si chiamano ancora così ? ), vestiti in modo assurdo, che procedono in fila.
E ancora gente normale, un ubriaco, e un monsignore, con la tonaca nera, lunga fino a terra…
Il primo sguardo è divertito e rilassato allo stesso tempo.
Amo la mia città per tutto questo, per la sua varietà, per tutta la sua vita.
Poi un pensiero più profondo: TUTTI SONO CANDIDATI ALL’UNITA’.
Come li vedrà Dio ?
E allora il desiderio di fermarmi, di posare lo sguardo su questa folla frenetica, in cui si scorge anche tanta solitudine …
Cosa devo fare ?
Vivere l’attimo presente,
con ogni prossimo che incontro,
con tutto l’amore che posso.

“ SEI TU SIGNORE, L’UNICO MIO BENE “.

THE WOLVES ARE BACK



The wolves of the Barrio, Los Lobos, are back, with a new excellent album: “The Town And The City”. Anyway, if you have the time, draw out from the shelf an album they recorded more than twenty years ago, “By The Light Of The Moon”.
I love especially this one: it is called “Tears of God

When it's up to you
To figure out what's right and wrong
It's someone else's parade
And yours is an unhappy song
When it hurts so bad
And you feel that you can't go on
Each day go by too fast
And the nights are so very long
You'll find out true
What mother said to you
That tears of god will show you the way
The way to turn
When your only escape
Is a cheap nickel wine
And the peace you need in your heart
Is so very hard to find
It's a stubborn life we lead
And there's never no rest
Trouble's out there looking for you
Even when you try your best
Hide not your head
The way to turn
Hear what he once said
He'll show you the way
For there is a world for you and me
Where the blind too can see
Through the tears of god
The Son of the Maker said
This is my cross to bear
Taking off of our shoulders
Something we should have shared

Wednesday, November 08, 2006

HAPPY 60TH ANNIVERSARY, PETIT PRINCE !


"Good morning", said the little prince.
"Good morning", said the railway switchman.
"What do you do here ?" the little prince asked.
"I sort out travelers, in bundles of a thousand", said the switchman. "I send off the trains that carry them: now to the right, now to the left".
And a brilliantly lighted express train shook the switchman's cabin as it rushed by with a roar like thunder.
"The are in a great hurry", said the little prince. "What are they looking for?"
"Not even the locomotive engineer knows that", said the switchman.
And a second brilliantly lighted express thundered by, in the opposite direction.
"Are they coming back already?" demanded the little prince.
"These are not the same ones", said the switchman. "It is an exchange".
"Were they not satisfied where they were ?" asked the little prince.
"No one is satisfied where he is", said the switchman.
And they heard the roaring thunder of a third brilliantly lighted express.
"Are they pursuing the first travelers ?" demanded the little prince.
"They are pursuing nothing at all", said the switchman.
"They are asleep in there, or if they are not asleep, the are yawning. Only the children are flattening their noses against the windowpanes".
"Only the children know what they are looking for", said the little prince. "They waste their time over a rag doll and it becomes very important to them; and if anybody takes it away from them, they cry....".
"They are lucky", the switchman said.
(Antoine de Saint-Exupéry - Le Petit Prince)

Friday, November 03, 2006

SICUREZZA DI UNA SPERANZA


Il cuore pulsante della città é pochi passi là fuori.
Una Milano nervosa, sempre di fretta, schiava di efficientismo e desiderio di produttività ad ogni costo.
Ma dentro il muro di cinta del cimitero monumentale tutto questo - come é giusto che sia in un tal luogo - scompare.
Se ci si avventura qui é raro trovare gente numerosa, se non nel giorno dell'anno dedicato alla commemorazione dei defunti.
Qualche turista straniero, quello sì, perché questa é anche una splendida cornice d'arte, un luogo ricco di monumenti scolpiti da artisti illustri.
Ma poi, per il resto, solo tanta opulenza e silenzio, a far da contrasto col povero chiasso di fuori.
Eppure qui dentro c'é un posto diverso, quasi opposto a tutto questo ed é la tomba di monsignor Luigi Giussani.
Opposto perché, al contrario del resto, richiama alla vita.
Qui sì che puoi trovare gente di ogni tipo a qualsiasi ora, un lento ed incessante via vai di persone.
Uomini che vanno in ufficio, giovani studenti, donne con bambini, anziani pensionati.
Ognuno con qualcosa da raccontare, da offrire, da affidare.
Capita anche a me qualche volta di passare ed é sempre tempo speso bene.
Perché quel fiume di gente che incontri balza subito all'occhio ed allontana, come d'incanto, la sensazione di finitezza e di morte.
Come quel giorno che si avvicina a me un signore, capelli grigi e accento inglese.
"Chi é don Luici Ciussani ?" , mi chiede.
"E' il fondatore di Comunione e Liberazione", dico.
"Oh, beautiful !", mi risponde, con un bel sorriso.
Un luogo vivo, appunto.
Mi capita di guardare anche un po' più in là.
Trovo la lapide a ricordo dei caduti della campagna di Russia.
Migliaia e migliaia di morti, di reduci feriti e congelati, in quel tragico ripiegamento dal fronte del Don, così bene raccontato dalle pagine di Bedeschi e di Corti.
Poi, accanto, il ricordo dei morti di Nassyria e allora mi ritorna in mente Don Giussani, con quella sua frase all'indomani dell'uccisone : "Se ci fosse un'educazione del popolo, tutti starebbero meglio".
Già, perché non é così, perché quel grido di Giovanni Paolo II "mai più la guerra !" continua a rimanere inascoltato ?
Mi ritrovo lì, davanti alla tomba del Don Gius ed a quell'unica frase apposta : "Oh Madonna, tu sei la sicurezza della nostra speranza !".
I miei dubbi e le mie incertezze ritrovano una speranza, dentro una maternità.
Ora posso tornare là fuori.

Wednesday, November 01, 2006

OGNISSANTI


di Michele Zanzucchi
Va bene tutto; ma perché una ragazza apparentemente normale é riuscita a "scardinare le porte del cielo" in pochi mesi ? Come ha potuto rifiutare la morfina che i medici volevano somministrarle per lenire i dolori atroci delle metastasi ? Voleva avere ancora "qualche cosa da offrire"... Dove trovava la forza ? Un'esistenza - altrimenti archiviata con qualche lacrima, un trafiletto sul giornale locale e un coro di "povera ragazza, così giovane" - continua ad essere ricordata ed imitata. Insomma c'é la curiosità di capire come una ragazza abbia raggiunto in un niente, in pochi anni, vette di alta spiritualità.
Scrivo queste righe dinanzi a una delle sue ultime fotografie, un primissimo piano ripreso mentre giaceva ormai paralizzata nel letto della sua stanzetta di Sassello. Una peluria scura le ricopre il cuoio capelluto; non certo un taglio di capelli all'ultima moda, ma la testimonianza spudorata di una recente chemioterapia. Eppure i tratti del volto non sono quelli di un'ammalata in punto di morte, quanto di una ragazzina maturata in poco tempo. Sorride. Proprio così, sorride di un sorriso che tanti avevano amato. Con lei nella stanza, in quel momento, c'erano tre amici di Genova; avevano scambiato quattro chiacchiere con l'ammalata, avevano vissuto un altro di quei momenti di vangelo "in atto" che la ragazza prediligeva. "Momenti di unità", li chiamava.
Il cielo era sceso tra loro: quel sorriso lo testimonia. Ma soprattutto lo testimoniano quei due occhi grandi che non posso non fissare. Hanno un perché, sono sereni, sinceri. Sanno che "la medicina ha deposto le sue armi", ma anche che "tutto vince l'amore".
Ecco Chiara Badano, diciottenne. Anzi, Chiara Luce.
Come scrive l'Abbé Pierre: "I santi non si limitano a un catalogo, e noi ne incrociamo certamente tutti i giorni".
La giovane Badano era probabilmente una di questi.
(tratto da "Io ho tutto - i 18 anni di Chiara Luce", di Michele Zanzucchi, ed. Città Nuova)