Monday, July 19, 2010

STORIE


In questi giorni ho visto soffrire per il caldo pure il blog, al punto che - si vede che é proprio stanco pure lui - si é messo a fare le valigie e mi ha detto che si prende una pausa per un po'.
Io non smetto di scrivergli, però; vorrà dire che prenderò appunti su un blocknotes, visto che non riesco proprio a non mettere per iscritto qualche cosa, tutte le volte che la vita s'infila dentro strettoie di gioia o di dolore, tutto sempre e comunque degno d'essere vissuto, esperienza di quell'Amore più grande che nulla censura e tutto accoglie.

L'ultima nota di questa calda estate lombarda é una pagina rock'n'roll, sullo sfondo del Grand Canyon de noantri, quattro pareti di roccia di una cava sopra il lago di Pusiano.
Artisti noti insieme a meno noti, performances più riuscite, insieme ad altre un po' meno felici. Sul palco si susseguono in successione Lilly, la figlia di John Hiatt, con la sua band - un onesto e giovane country-rock di matrice nashvilliana - un brillante e forever young Tom Russell, un Dave Alvin che, per l'occasione, si presenta invece svaccatello anzicheno, accompagnato dalle sue Guilty Women, delle quali a me riesce di apprezzare solamente Cindy Cashdollar - vera e propria regina bionda incontrastata della steel guitar - ed infine quella costola di Uncle Tupelo che corrisponde al nome di Son Volt, e che, francamente, invece, é sempre un bel sentire e un bel vedere.
Una brezza estiva - a tratti in realtà aria gelata - da me accolta con piacere, ma capace di mettere a dura prova l'umore di mia moglie - accompagna la nostra musica tutta sera e, inizialmente, pure un'ottima salamella ed una birra fresca, da condividere al tavolo con vecchi e nuovi amici.
Quando poi, alla fine, sulla strada che porta verso casa, mi ritrovo solo, in compagnia di una feroce stanchezza e dei miei pensieri alla rinfusa, con mia moglie sdraiata sul sedile in fianco a me, ormai dolcemente accolta dalle braccia di Morfeo, mi sembra che il bilancio della serata, più che dentro lo spessore della musica, sia stato ancora una volta da cercare nelle storie che ho incontrato.
Storie ce ne sono - e tante - dentro le canzoni, narrino esse della madonna di Guadalupe o di vite alla deriva, passate dentro squallidi bar della periferia di Abilene. Ma storie, soprattutto, le ho scorte dietro agli occhi di ogni volto che ho incrociato, dentro voci roche eppure allegre, attraverso ogni stretta di mano, o bacio, o abbraccio che ho lasciato. Ed anche lui, l'abbraccio più forte di tutti, quello di un amico che questa sera non c'era suo malgrado, é volato per un po' sulle note di Nina Simone, prima di raccogliersi in preghiera per andare a raggiungere quello di tutti gli altri.

Quando l'auto raggiunge finalmente il garage di casa, le forze sono proprio finite per un'ultraquarantenne come me e sarà dura, domattina, ricominciare a lavorare. Ma il cuore non smette mai di battere per coloro che egli ama e pure per quelli che l'Amore lo devono ancora sperimentare in qualche modo. Ed é un cuore che non riesce a smettere di desiderare, quello con cui continuo ad imbattermi mio malgrado, sempre alla ricerca di storie sincere da incontrare.
Storie di musica, storie di amici.
Storie di gioia, di dolore e di passione.
Storie di semplice comunione.










foto by fausto 'cardioman' leali, copiate, incollate, fate quel che volete, ma citate la fonte :-)


Friday, July 16, 2010

CARDIOLOGIA

Continuo a vedere cuori, ogni giorno. Tra ieri ed oggi ne ho contati ventotto, più o meno contrattili, dietro a quelle meravigliose immagini che gli ultrasuoni sono capaci di creare.
Continuo a pensare ai cuori, ogni giorno. Muscoli solo in apparenza, in realtà anime che cantano per un perché. "Dottore, é il rumore del mio cuore, quello?": la parte doppler di un'ecocardiografia, quella che genera suoni, suscita sempre nei pazienti pensieri curiosi, o, più spesso, preoccupati; più delle sole immagini in movimento, che, tuttavia, appaiono anch'esse ai miei occhi di una bellezza travolgente.
"No, non é proprio il rumore del suo cuore, sa é la macchina...", ma perché invece non rispondere qualche volta in altro modo: "certo che sì, ma non é un rumore, é la musica del suo cuore", perché il cuore più che perdere tempo a parlare, spesso si fa capace di cantare.
Forse sarà per quello che faccio questa razza di mestiere. Perché amo la musica come amo il cuore. E sarà per quello che non riesco mai a fare a meno di coniugare tutto, pensieri, parole, opere, e, perché no, omissioni, ma anche preghiere, lungo una colonna sonora senza fine.
No, davvero, senza tutto questo, penso che la mia anima non riuscirebbe proprio a stare.

Eppure ciò che mi ronza di più in testa, in questi giorni, é ancora, sempre e soltanto quella scritta stampata in mezzo a una maglietta: "ciò che il tuo cuore desidera, esiste".
Una risposta di felicità reale, concreta, che nulla censura e tutto accoglie.
"Va bene, il suo cuore, stia tranquillo..." rispondo all'ultimo paziente. Il suo sorriso che accoglie il mio é l'abbraccio di un Amore più grande che sostiene tutti e due.


Saturday, July 10, 2010

GANCI, CANZONI E DESIDERI

Si é rotto l'impianto stereo. Anzi no, si era rotto, oggi l'hanno già aggiustato. No, non il mio, che poi quello é vecchio come me e prima o poi si rompe pure lui. Si é rotto quello dell'oncologia. Ah già, no, si era rotto, l'hanno aggiustato. Vabbé, comunque io la mia bella playlist l'ho fatta e lunedì mia moglie se la porta in ospedale e la piazza lì, tra una chemio e l'altra, pronta a spezzare (o aggiustare?) qualche cuore.

Intanto, però, se l'é ascoltata lei. E le é pure piaciuta, che non é mica poi così scontato. Perché tra le quintalate di dischi che faccio girare per casa, finisce che mette sempre su solo Van De Sfroos, Priviero e De Gregori e qualche volta per sbaglio anche i Swell Season, ma solo perché l'ho portata al concerto e si é innamorata anche lei di Marketa e Glen. Ah, e anche Claudio Chieffo, ma quello piace sempre pure a me, che lui, però, gioca in un campionato a parte.
Ma no, dai, che, a pensarci bene, una volta mi ha detto che le piaceva pure Dylan, ma lo so che in fondo era un modo come un altro per dirmi che mi vuole bene per davvero.

Vabbé, insomma, ho fatto la lista e adesso la trascrivo pure qui.
Però, sarà perché fa caldo, sarà perché ho voglia di sole ma solo di quello che c'é al mare, sarà perché la mia lista é piaciuta prima di tutto a lei, sarà che stamattina ho un mucchio di pensieri alla rinfusa, sta di fatto che mi viene in mente di tutto. Come ganci, canzoni e desideri, per esempio. Ganci perché pensavo a quella canzone - ma sì, dai, quella del Claudio nazionale - che parla di ganci in mezzo al cielo e che ascoltammo quella volta insieme, su una spiaggia ancora selvaggia sotto un pallido sole di primavera. Quando arrivò quella canzone io un gancio lo cercavo da un bel po' e francamente disperavo di poterlo trovare per davvero. E che le canzoni non potessero cambiar la vita, questo l'avevo già capito da un bel pezzo. Eppure di canzoni d'amore avevo bisogno allora come ne ho adesso. Quelle canzoni che parlano d'amore e desiderio, di tristezza che é saudade:

"Tutti noi abbiamo provato dentro di noi quella che i portoghesi chiamano saudade, che si traduce in un'inspiegabile desiderio, in un'anonima ed enigmatica brama dell'anima, ed é quel sentimento che vive nei regni dell'immaginazione e dell'ispirazione ed é il terreno fertile per la canzone triste, la canzone d'Amore. Saudade é il desiderio d'essere trasportati dall'oscurità fino alla luce, di essere toccati dalla mano di colui che non é di questo mondo. La Canzone d'Amore é la luce di Dio, giù nel profondo, che si fa largo tra le nostre ferite" (Nick Cave)

Tant'é, stamattina sono in preda a pensieri alla rinfusa, ho in mente tutto questo ed anche più.
Ho in mente la certezza e la tristezza. La gioia d'aver trovato quel gancio in mezzo al cielo e la tristezza di vedere che in certi momenti la vita invece sembra troppo dura. Altalenanza di immagini e sentimenti, confusione nella mente che troppo spesso si dimentica di farsi anche preghiera. Cuore alla ricerca di un terreno fertile dove la mano di un Altro possa seminare il seme che non muore. Poi, mentre stendevo i panni, perché uno la filosofia la fa mentre fa i conti col pane quotidiano, ho preso in mano la maglietta bagnata di mia figlia, appena uscita dalla lavatrice: "quello che il tuo cuore desidera esiste", c'é scritto sopra e lei l'ha appena sperimentato. Dentro la quotidianità di una vacanzina in montagna, con amici, compagni ed insegnanti di scuola. Dentro la commozione di ritrovarsi alla sequela di Altro, che ci prende per mano ad uno ad uno e rende l'avventura della vita una Compagnia in cui ritrovare ganci, canzoni e desideri, tutti vestiti di nuovo.

Vabbé, ho finito di stendere i panni ed é buffo come anche fare i mestieri di casa possa rendere felici. Ho messo su un cd, prima di andare avanti a fare il resto, quello con la playlist per gli ammalati d'ospedale. Speriamo possa piacere anche a loro, perché in fondo, anche dentro un cd non ci sono solo le canzoni, ma anche i ganci e i desideri.
E quello che il mio cuore desidera esiste per davvero.
Oggi l'ho sperimentato stendendo i panni al sole.


All The Money I Had Is Gone (The Deep Dark Woods)
Low Rising (The Swell Season)
Walk On The Wildisde (Jesse Malin)
Railroad Man (Eels)
Heart Like Mine (Miranda Lambert)
It Ain't Easy Being Me (Chris Knight)
New Orleans (Davide Van De Sfroos)
Washington Square (Counting Crows)
You And I (Wilco)
Live Ones (Christian Kjellvander)
Moonshiner (Uncle Tupelo)
Learning To Fly (Tom Petty & The Heartbreakers)
Sailing (Rod Stewart)
Piper To The End (Mark Knopfler)




Thursday, July 01, 2010

LEARNIN' TO FLY


Rieccomi un'altra volta qui. Di notte. In ospedale. Un'altra notte qui. E meno male che almeno c'é l'aria condizionata che come si fa a vivere là fuori, trenta e passa gradi già alle otto e mezza del mattino, che te ne andresti solo e soltanto al mare.
E invece questa notte sono di nuovo in ospedale, che poi é quel luogo dove tutti gli altri non vogliono mai entrare e dal quale, una volta dentro, non vedono l'ora di uscire. E questo cavolo di posto, sapessi quante volte sta stretto pure a me. Come quella volta che, parlando di lavoro, quel mio amico avvocato, ridendo, mi aveva detto : "sai, ho un amico che gestisce un circolo sportivo: i suoi clienti, quando entrano da lui sono sempre felici e sorridenti. I miei, invece, quando vengono da me sono sempre arrabbiati ed alla prese con un sacco di guai". Già, un sacco di guai, appunto. Esattamente come qua, in unità coronarica, o in pronto soccorso, qualche piano più sotto, che é uno di quei posti da dove non fanno altro che chiamarmi.
E allora vabbé, che davvero va bene lo stesso e poi c'é anche la macchinetta del caffé e lì davanti, alle tre del mattino, talvolta si fanno incontri strani ed intriganti, quelle robe che sanno di mistero e d'infinito e ti fanno sentire maledettamente vivo.


Questa notte, però, ho in mente altri pensieri. Ricordi di momenti in cui mi sono trovato dall'altra parte anch'io. Non é mica facile, per noi medici, provare a trovarci di là, dalla parte in cui si soffre. Non ci siamo abituati, noi sempre al di qua, alle prese con diagnosi, decisioni e terapia. Non che non sia dura, chissà se qualcuno riuscirà mai a capirlo, in mezzo a tutta quella gente che sta fuori, compresi alcuni che scrivono sui giornali e parlano di errori medici e quant'altro, trattando noi altri come se fossimo criminali. Ma sì, che invece tanti lo capiscono. Che è dura eccome fare questo mestiere con passione, superare le difficoltà, fare i conti con un continuo senso di pressione ed inadeguatezza. E che ci sono dei giorni che non ce la fai davvero più. Ma poi basta un sorriso, di un paziente o di un parente, per ritrovare l'Abbraccio di un Amore più grande, quello di Colui che non ti abbandona mai. Però essere dall'altra parte é davvero un'altra cosa. E quando ti ci trovi, quella dis-grazia diventa grazia e cominci a capire un po' di più lo strano lavoro che ti é capitato di fare.
Così, dicevo, ho ripensato a quei momenti, passati tutto il giorno in ospedale accanto ad una persona amata. Un ospedale non mio, una stanza d'ospedale dalla quale uscire ogni volta che entrava qualcuno - "può accomodarsi fuori per favore?" - fosse anche solo la donna delle pulizie, io che invece, quando entro in quelle stanze - quelle del mio, di ospedale - sono quello che fa uscire tutti gli altri, perché permesso, mi scusi, entra il dottore che deve visitare gli ammalati. E così, invece, eccomi lì, in quei momenti, stranamente solo ed indifeso, normale ed impotente come tutti, dentro quel mistero che si chiama malattia, una strana bestia che continuamente incontro e che ogni giorno mi fa diventare misteriosamente più uomo, perché mi fa capire che non ci siamo fatti da soli e che il nostro compito é solo dare una mano al Volto buono del Mistero.


Questa notte ho ripensato a quegli istanti, quando tornavo a casa solo alla sera, stanco, debole ed affranto, dopo tutte quelle ore passate accanto ad una sofferenza nella quale non ero, questa volta, protagonista a modo mio. Sofferenza da vivere sino in fondo, a cui partecipare in pieno. Sofferenza da offrire. Sofferenza per cui pregare. Sulla strada che portava a casa, immerso nel traffico dentro la mia auto, attraversando la città, potevo finalmente arrestare il correre del cuore e allora la musica di Tom Petty e degli Spezzacuori accompagnava dolcemente i miei pensieri. Quattro dischi dal vivo, una manciata di canzoni una più bella dell'altra, una Live Anthology che diventava quell'oretta in cui riprendere fiato, respirare, rimeditare tutto quanto nel profondo. E adesso, in questi giorni, quel disgraziato di rocker americano, il cuore ha ripreso a spezzarmelo un'altra volta, che Mojo é troppo bello per essere vero e dal lettore cd di quella benedetta macchina, proprio di uscire non ne vuole più sapere.

Ed ora, questa notte, sono di nuovo qui, a lavorare in ospedale, che poi, grazie a Dio, tra un malato e l'altro c'é sempre quella benedetta macchinetta del caffè. Questa volta, però, mi sono portato dietro pure il Mac, che, sempre tra un paziente e l'altro, voglio provare a fare qualche bella playlist su iTunes. Le devo fare perché così quelle liste le passo poi a mia moglie, che lei, che lavora in oncologia, domani le porta con sé in ospedale. Già perché là, in quella sala zeppa di poltrone dove gli ammalati fanno tutti insieme la chemioterapia, hanno messo pure l'impianto stereo ma - piccolo particolare - non ci hanno messo le canzoni. E allora ditelo pure a me, ci penso io, che ce n'ho un sacco di quelle canzoni, pronte a spezzare qualche altro cuore oltre al mio.

Dannazione, c'é il telefono che squilla, devo piantarla lì un'altra volta, come si dice in questi casi: è il dovere che chiama, non é vero? Ma poi ritorno, mica vado via. Sempre di corsa, che chi si ferma é perduto, tutti presi come siamo ad andare dietro ai sogni e alla realtà.
Ma io non ho paura di correre, sto imparando a volare, ho appena cominciato: é una folle e strana vita, questa, che ci troviamo a vivere con sempre più grande e affascinante intensità.
Dov'é che ero rimasto? Ah, sì, ecco, qui: "ladies and gentlemen, please welcome Tom Petty and The Heartbreakers": I'm learnin' to fly....