Tuesday, September 20, 2016

JESUS ALONE

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“Sarebbe bello poter leggere il diario di Nick Cave; scorrerlo e conoscere tutti i particolari di una personalità così attiva e creativa, per scoprire il significato dei testi, incrociare le proprie impressioni con la sua realtà interiore e col suo stile, libero da schemi precostituiti”. Le prime righe della pagina iniziale del sito italiano dedicato all’autore australiano non potrebbero essere più chiare di così. Sarebbe bello, davvero. Possedere la chiave d’accesso al suo universo, scavare giù nel profondo del suo cuore, senza, per questo, esercitare alcun tipo di violenza: solo per affinità elettiva, per trovare quel terreno comune dove sono seminati i sogni, le aspirazioni, le gioie e i malesseri che ci accomunano tutti. E’ ovvio che non possa essere così. E che non debba essere questo il percorso da compiere, cercare la soluzione preconfezionata, la guida all’ascolto che ci dica in quale direzione andare e quale possa essere il risultato finale della nostra ricerca.
Il primo livello di lettura di Skeleton Tree, il nuovo album di Nick Cave, dovrebbe allora cercare innanzitutto di non scalfire solo la superficie, evitando il ricorso a facili quanto rischiose semplificazioni. Dire, ad esempio, che questo è un disco che gira intorno alla tragica perdita di Arthur, il quindicenne figlio di Cave morto nel luglio dello scorso anno, dopo essere caduto a precipizio dalle scogliere nei pressi di Brighton. O affermare che Nick, per l’ennesima volta, narra di morte e di dolore come solo lui sa fare, romantico e tormentato come uno scrittore dell’ottocento, cose, peraltro, corrette e risapute. “Sono ormai passati vent’anni – diceva Nick ancora nel 1999 – da che scrivo canzoni, e ancora ho dentro quel vuoto, ancora persiste quella inspiegabile tristezza, il duende, la saudade, l’insoddisfazione divina”. E gli anni trascorsi, adesso, sono quasi quaranta. (...)